sabato 11 aprile 2020

Cronache dall'anno senza Carnevale/34: il silenzio prima della Resurrezione


Il tempo è compiuto, il cielo si è squarciato, l’evento è accaduto e l’orrore è diventato visibile ai nostri occhi.

La scena numinosa della morte di Cristo in croce era una fonte di sgomento negli anni dell’infanzia.

Prima di quella morte il mondo non aveva un prima e un dopo, il mondo fluiva e con esso il tempo, in un’unica direzione.

Quella morte atroce ha costituito per l’umanità, credenti e non credenti, una cesura netta e implacabile tra il prima e il dopo.

Il giorno del sabato, dopo il venerdì della morte e prima della domenica della Resurrezione, è quella cesura, è il giorno del silenzio in cui non vengono pronunciate orazioni o parole, il giorno in cui la stagione si ripiega su se stessa come una rondine nel nido e aspetta.

Il sabato è dunque il giorno del silenzio e dell’attesa. Ma cosa stiamo aspettando? Non lo sapevano e non potevano immaginarlo i contemporanei di Cristo, mentre noi, due millenni dopo, credenti e non credenti, sappiamo che dalla morte si può ritornare.

Il sabato del silenzio può essere metafora di queste settimane che sono una quarantena a tempo indefinito ma non indeterminato.

Il nostro vecchio mondo è morto, quello che nascerà ancora non riusciamo a immaginarlo.

Ma non possiamo permetterci di continuare ad adorare la cenere di ciò che è stato; come diceva Gustav Mahler, la tradizione è conservare il fuoco, non adorare la cenere.

Questo silenzio è la condizione che ci permette di distinguere ciò che è estinto da ciò che ancora vibra e scintilla e su cui possiamo soffiare per tenerlo in vita. Il soffio vitale è un’altra immagine che rimanda alla cristianità sotto la cui iconografia siamo cresciuti, soprattutto noi italiani. Per tutte le immagini e rappresentazioni sacre vale il Cenacolo vinciano qui a Milano, che ho visitato diverse volte e di quelle visite ne ricordo una in particolare nel giugno del 1988, dove ero andata a vederlo con la mia amica Annemarie. C’eravamo solo noi nella sala e siamo rimaste ferme un tempo lunghissimo, senza parlare, a contemplare la messa in scena di uno dei momenti più importanti nella vita umana. Il tempo del pasto, la condivisione del cibo, la presenza degli amici alla propria tavola, cioè tutto ciò che nell'anno senza Carnevale, non ci è dato vivere.

Il sabato del silenzio è il margine del tempo in cui noi stiamo in bilico tra un mondo morto e uno non ancora nato, come scriveva Edgar Morin.

Stare in bilico tra il vecchio e il nuovo non è proprio una delle specialità di noi esseri umani, perché o conserviamo il vecchio in adorazione perpetua, o lo abbandoniamo con slancio feroce verso la ricerca del nuovo.

Stare fermi è una delle cose più difficili al mondo, anche stare in silenzio lo è.

Quando ero bambina alle scuole elementari, la maestra esausta ci faceva fare il gioco del silenzio. Una bambina a lei benvoluta usciva per scrivere alla lavagna il nome delle compagne che bisbigliavano. Quelle che invece erano capaci di vincere il gusto naturale della parola e stavano al banco con le braccia conserte, il busto ritto e la bocca ben sigillata, concorrevano per un premio. Non ricordo proprio quale fosse il premio per la bambina più silenziosa o composta, forse non l’ho mai vinto o forse l’ho dimenticato perché era poco importante.

Così sto attraversando questa giornata silenziosa in attesa della Resurrezione, della domenica che sancirà la vittoria della vita sulla morte.

Un ritorno alla vita che ha un prezzo altissimo. Noli me tangere disse il Cristo alla Maddalena, Non toccarmi o forse Non trattenermi come si è più propensi a tradurre oggi.

Perché Noli me tangere, dunque? Forse perché chi è tornato ha visto quelle cose che non possono essere dette, chi è tornato deve ritornare lì da dove è venuto.

Mi fermo in questo silenzio perché la Resurrezione sarà domani, nel tempo che ancora deve venire.

So che verrà, perché mi hanno detto di alberi che sembravano morti e che sono sbocciati di nuovo, ne ho visti due proprio in questi giorni, una quercia e un olivo centenari, sono lontani migliaia di chilometri ma comunicano tra loro come accade tra le creature che sono tornate alla vita. I lupi vanno a visitarli e si fermano ad ammirare la luna. Quando il lupo sotto la quercia ulula, in lontananza la lupa risponde nella loro lingua segreta e le stelle fanno capolino e sembra si fermino ad ascoltare quel canto.

Il congedo di questa sera è una poesia di Danilo Bramati.


Dietro ogni silenzio

Mai, in verità, ho raggiunto

le soglie estreme del silenzio.

Mai, mai, neppure

quando ascoltavo il grande platano
sillabare nella nebbia,
quando tacevo con gli amici,
con la gente.

C’è un silenzio oltre quel platano,

un silenzio oltre il silenzio.
Guardo il cielo che si oscura:
in ogni stella una stella tace.


Danilo Bramati

Dietro ogni silenzio
Atì editore 2017


1 commento:

Unknown ha detto...

Alla mia generazione il silenzio e stato spesso imposto e visto come una punizione. Con gli.anni ho imparato ad apprezzarlo perché dava ossigeno al cervello impedendo il ristagno delle parole vacue. Spero che "gli uomini di buona volonta"ci indichino x il futuro un percorso più umano