Mi
addormento, sogno, mi risveglio, è ancora giorno non riesco a capire l’ora,
fuori è tutto così silenzioso e chiaro.
I due lupi
dei Pireni sono tornati a visitarmi in sogno, sono tranquilli, non si staccano
mai uno dall’altra e mi hanno guardato per tutto il tempo mentre impastavo il
pane.
Che creature
misteriose sono i lupi e che immensa compagnia fanno grazie al loro silenzio.
Se ne sono
andati solo quando sono uscita sul patio e mi sono fermata a guardare il
tramonto, un’esperienza che ho condiviso con milioni di altre creature.
La notte non
mi ha mai fatto paura, ma da quando ci sono i lupi sono ancora più tranquilla.
Cosa ne farò
di tutti questi frammenti di vita? Dove li conserverò? In una poesia o in un
racconto?
E. M. Forster
scriveva di Virginia Woolf che lei apparteneva al mondo della poesia, ma che
essendo affascinata, da un mondo diverso, il mondo del romanzo, non faceva
altro che “protendersi dal suo albero incantato per afferrare frammenti del
flusso della vita quotidiana che scorre via, e per tentare con quei frammenti,
di costruire romanzi”.
Ammiro da
sempre la Woolf, ne ho scritto il profilo biografico per l’Enciclopedia delle
donne e la considero una delle mie maestre, ogni lettura dei suoi libri mi fa
scoprire cose sul mondo e sulla scrittura anche se sono passati decenni da
quando ho letto per la prima volta il suo Diario
di una scrittrice.
Anche io cedo
al richiamo dei frammenti e con la poesia cerco di scrivere romanzi.
Non sento la
cesura, il salto tra i due linguaggi, la poesia chiede solo maggiore e diverso
rigore perché deve rispondere alle regole interne di equilibrio tra ritmo,
forma, immagini, contenuto, metafore, sillabe, spazi, enjambement, in un
movimento continuo che evoca il fluire circolare del nostro pianeta, del
sistema solare, di tutta la galassia, cioè tutto ciò che attiene allo stile, l’equilibrio
interno della pagina per poi diventare forma, cioè l’unione tra materia e
astrazione, corpo e spirito, come ha detto la Livi in un’intervista.
So di avere
già scritto che la mente si riposa nella narrativa ma non è del tutto vero.
Grazia Livi,
che è stata una delle più importanti scrittrici italiane del Novecento oltre
che, per mia fortuna, un’amica così descriveva la sua preparazione alla
scrittura:
“Dovetti
inventare il silenzio e farne, in certe ore, la mia condizione di vita.
Nel silenzio
mi imposi un lavoro assiduo, come un falegname che pialla il legno.
Volevo
ridestare da quel giacimento di cui ho detto prima - oscuro, grumoso - il
maggior numero di parole possibili. E di volta in volta volevo legare quelle
parole al bagaglio in trasformazione dei miei pensieri e dei miei sentimenti.
Col tempo si
creò un ricco scambio fra il sentire e le parole che lo avrebbero rivelato:
scambio che la scrittura rese visibile.
Non una
grande scrittura, una scrittura che faceva il suo tirocinio un po' a sbalzi.
Che insisteva, si ripeteva. Che cercava di non disgregarsi nei compiti
familiari - spesso noiosi - anzi li teneva insieme con la volontà di viverli
fino in fondo.
Imparai che
non bisogna scartare nulla di una vita: ogni minima cosa, anche la più trita, è
seme per l'esperienza.
A poco a poco
la mia identità prese a riconoscersi - e a sfaccettarsi - attraverso le parole
scritte e le parole presero a radicarsi nell'identità.
Il linguaggio
- uno scavo nella coscienza - si approfondì e mi promise di diventare il mio
fedele specchio.
Quante severe
implicazioni, in questo miraggio! Quanta
concentrazione!
Ma era
finalmente un lavoro rivolto all'interno, è sempre questo che intendo quando
dico "scrittrice"”.
Quel lavoro
da falegname ci ha lasciato alcuni tra i più bei libri dedicati alla scrittura
e alle scrittrici come Da una stanza all’altra,
Le lettere del mio nome, Narrare è un destino e il bellissimo romanzo Lo sposo impaziente che era poi Tolstoj
in viaggio di nozze.
Solo adesso,
mentre sto tessendo insieme Woolf e Livi, mi rendo conto che Virginia e suo
marito venivano chiamati dagli amici The Woolfs giocando tra l’assonanza della
pronuncia del loro cognome con la parola wolf,
lupo, appunto.
Mi piace
indagare questi salti della mente per scoprire che due delle mie scrittrici
preferite stiano dialogando nei libri di Grazia, mentre i due lupi woolfiani sono
diventati i numi tutelari della scrittura di queste Cronache.
Grazia Livi
continua a starsene sul suo balcone:
“Rigiro
questi pensieri seduta sul mio balcone, nel buio. La partenza è per domani.
Intanto bevo un bicchiere di vino ghiacciato, fra tralci d'edera, sperando che
nessuno mi chiami al telefono. Desidero starmene nascosta, nel silenzio delle
cose che m'attorniano. Solo il silenzio produce equilibrio, per me. Temo ogni
repentinità, ho paura di essere distolta. Siccome abito a un quindicesimo
piano, la città mi sta attorno, ammansita e notturna. La grande città! Ora
posso osservarla, in piena calma. Di fronte a me il lume verde d'un ascensore
percorre l'armatura di ferro di una torre. È lontano abbastanza per apparirmi
oscillante come la stella di un presepe. Ci deve essere una terrazza, all'ultimo
piano, là dove l'ascensore si arresta a lungo, affinché i turisti contemplino
il paesaggio in una illusione di dominio, mentre il vento del parco irrompe
tutt'attorno.
La città,
vista dall'alto, è bella. So d'averla amata al tempo in cui, vari anni fa,
decisi di stabilirmici”.
Ecco che
sento la bellezza delle parole fluire in me, mi lascio trascinare, mentre i due
lupi si sistemano accanto alla mia scrivania da cui vedo la finestra che resta
illuminata spesso sino a notte fonda.
Scegliere la
propria finestra, non importa se verso l’esterno o verso l’interno, è una delle
prime decisioni da prendere quando si scrive.
Il mio
congedo serale è un’ulteriore riflessione di Grazie Livi che è perfetta per
chiudere queste divagazioni in compagnia dei lupi.
“Prima
bisogna avere scelto deliberatamente il proprio margine, la finestra da cui
guardare. Allora il linguaggio fluisce e accoglie. Fluisce e accompagna lungo
quella via rischiosa, piena di illusioni, dove l'inconscio si fa conscio a
spese dell'abito, della maschera, del ruolo assunto o recitato, delle figure
millenarie, assimilate senza saperlo”.
Scegliete la
finestra, scegliete il vostro lupo selvaggio e non cercate di addomesticarlo,
limitatevi a contemplarlo, proteggete il suo sonno e accoglietelo quando rientra
all'alba, le parole che arriveranno saranno uniche e piene di vita vera e
selvaggia.
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