venerdì 17 aprile 2020

Cronache dall'anno senza Carnevale/40: scrivere in compagnia dei lupi


Mi addormento, sogno, mi risveglio, è ancora giorno non riesco a capire l’ora, fuori è tutto così silenzioso e chiaro.

I due lupi dei Pireni sono tornati a visitarmi in sogno, sono tranquilli, non si staccano mai uno dall’altra e mi hanno guardato per tutto il tempo mentre impastavo il pane.

Che creature misteriose sono i lupi e che immensa compagnia fanno grazie al loro silenzio.

Se ne sono andati solo quando sono uscita sul patio e mi sono fermata a guardare il tramonto, un’esperienza che ho condiviso con milioni di altre creature.

La notte non mi ha mai fatto paura, ma da quando ci sono i lupi sono ancora più tranquilla.

Cosa ne farò di tutti questi frammenti di vita? Dove li conserverò? In una poesia o in un racconto?

E. M. Forster scriveva di Virginia Woolf che lei apparteneva al mondo della poesia, ma che essendo affascinata, da un mondo diverso, il mondo del romanzo, non faceva altro che “protendersi dal suo albero incantato per afferrare frammenti del flusso della vita quotidiana che scorre via, e per tentare con quei frammenti, di costruire romanzi”.

Ammiro da sempre la Woolf, ne ho scritto il profilo biografico per l’Enciclopedia delle donne e la considero una delle mie maestre, ogni lettura dei suoi libri mi fa scoprire cose sul mondo e sulla scrittura anche se sono passati decenni da quando ho letto per la prima volta il suo Diario di una scrittrice.

Anche io cedo al richiamo dei frammenti e con la poesia cerco di scrivere romanzi.

Non sento la cesura, il salto tra i due linguaggi, la poesia chiede solo maggiore e diverso rigore perché deve rispondere alle regole interne di equilibrio tra ritmo, forma, immagini, contenuto, metafore, sillabe, spazi, enjambement, in un movimento continuo che evoca il fluire circolare del nostro pianeta, del sistema solare, di tutta la galassia, cioè tutto ciò che attiene allo stile, l’equilibrio interno della pagina per poi diventare forma, cioè l’unione tra materia e astrazione, corpo e spirito, come ha detto la Livi in un’intervista.

So di avere già scritto che la mente si riposa nella narrativa ma non è del tutto vero.

Grazia Livi, che è stata una delle più importanti scrittrici italiane del Novecento oltre che, per mia fortuna, un’amica così descriveva la sua preparazione alla scrittura:

“Dovetti inventare il silenzio e farne, in certe ore, la mia condizione di vita.
Nel silenzio mi imposi un lavoro assiduo, come un falegname che pialla il legno.
Volevo ridestare da quel giacimento di cui ho detto prima - oscuro, grumoso - il maggior numero di parole possibili. E di volta in volta volevo legare quelle parole al bagaglio in trasformazione dei miei pensieri e dei miei sentimenti.
Col tempo si creò un ricco scambio fra il sentire e le parole che lo avrebbero rivelato: scambio che la scrittura rese visibile.
Non una grande scrittura, una scrittura che faceva il suo tirocinio un po' a sbalzi. Che insisteva, si ripeteva. Che cercava di non disgregarsi nei compiti familiari - spesso noiosi - anzi li teneva insieme con la volontà di viverli fino in fondo.
Imparai che non bisogna scartare nulla di una vita: ogni minima cosa, anche la più trita, è seme per l'esperienza.
A poco a poco la mia identità prese a riconoscersi - e a sfaccettarsi - attraverso le parole scritte e le parole presero a radicarsi nell'identità.
Il linguaggio - uno scavo nella coscienza - si approfondì e mi promise di diventare il mio fedele specchio.
Quante severe implicazioni, in questo miraggio!  Quanta concentrazione!
Ma era finalmente un lavoro rivolto all'interno, è sempre questo che intendo quando dico "scrittrice"”.

Quel lavoro da falegname ci ha lasciato alcuni tra i più bei libri dedicati alla scrittura e alle scrittrici come Da una stanza all’altra, Le lettere del mio nome, Narrare è un destino e il bellissimo romanzo Lo sposo impaziente che era poi Tolstoj in viaggio di nozze.

Solo adesso, mentre sto tessendo insieme Woolf e Livi, mi rendo conto che Virginia e suo marito venivano chiamati dagli amici The Woolfs giocando tra l’assonanza della pronuncia del loro cognome con la parola wolf, lupo, appunto.

Mi piace indagare questi salti della mente per scoprire che due delle mie scrittrici preferite stiano dialogando nei libri di Grazia, mentre i due lupi woolfiani sono diventati i numi tutelari della scrittura di queste Cronache.

Grazia Livi continua a starsene sul suo balcone:

“Rigiro questi pensieri seduta sul mio balcone, nel buio. La partenza è per domani. Intanto bevo un bicchiere di vino ghiacciato, fra tralci d'edera, sperando che nessuno mi chiami al telefono. Desidero starmene nascosta, nel silenzio delle cose che m'attorniano. Solo il silenzio produce equilibrio, per me. Temo ogni repentinità, ho paura di essere distolta. Siccome abito a un quindicesimo piano, la città mi sta attorno, ammansita e notturna. La grande città! Ora posso osservarla, in piena calma. Di fronte a me il lume verde d'un ascensore percorre l'armatura di ferro di una torre. È lontano abbastanza per apparirmi oscillante come la stella di un presepe. Ci deve essere una terrazza, all'ultimo piano, là dove l'ascensore si arresta a lungo, affinché i turisti contemplino il paesaggio in una illusione di dominio, mentre il vento del parco irrompe tutt'attorno.
La città, vista dall'alto, è bella. So d'averla amata al tempo in cui, vari anni fa, decisi di stabilirmici”.

Ecco che sento la bellezza delle parole fluire in me, mi lascio trascinare, mentre i due lupi si sistemano accanto alla mia scrivania da cui vedo la finestra che resta illuminata spesso sino a notte fonda.

Scegliere la propria finestra, non importa se verso l’esterno o verso l’interno, è una delle prime decisioni da prendere quando si scrive.

Il mio congedo serale è un’ulteriore riflessione di Grazie Livi che è perfetta per chiudere queste divagazioni in compagnia dei lupi.

“Prima bisogna avere scelto deliberatamente il proprio margine, la finestra da cui guardare. Allora il linguaggio fluisce e accoglie. Fluisce e accompagna lungo quella via rischiosa, piena di illusioni, dove l'inconscio si fa conscio a spese dell'abito, della maschera, del ruolo assunto o recitato, delle figure millenarie, assimilate senza saperlo”.

Scegliete la finestra, scegliete il vostro lupo selvaggio e non cercate di addomesticarlo, limitatevi a contemplarlo, proteggete il suo sonno e accoglietelo quando rientra all'alba, le parole che arriveranno saranno uniche e piene di vita vera e selvaggia.

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