Il fulmine dormiva accanto al camino spento, la terra aveva
preso posto nel giardino, le nuvole si rincorrevano sulle cime degli alberi, le
piogge zampillavano nella fontana.
Caterina non era stanca del suo lungo volo, era stupita di
essere arrivata, soprattutto perché il sogno e l’immaginazione si erano
adagiati sulla realtà e non vi erano crepe tra il desiderio solo immaginato e quello
che stava provando. Lui si avvicinò, lui ha un nome segreto che non possiamo
pronunciare ad alta voce, lui si avvicinò e la prese tra le braccia. Le ali
splendenti si ripiegarono al suo tocco e anche gli occhi di lei diventarono,
per un istante, verdi come le acque della fontana di Vaucluse.
Ogni dono contiene il suo reciproco, ogni dono è uno scambio
amoroso, così lui dovette togliere il maglione perché la schiena fremeva come
un puledro impazzito, e quando lo tolse sentì le giovani ali che lei gli aveva
trasmesso dispiegarsi e risplendere nella luce.
Vieni, gli disse Caterina vestita di promesse, vieni con me.
Per non spaventarlo lo fece scendere in giardino, lo portò in una piccola
radura cinta di rose in fiore e con un solo colpo di reni si slanciò verso il
cielo. Lui non ebbe tempo di decidere, vide solo la casa diventare piccola, poi
piccolissima, poi svanire e solo il vapore acqueo avvolgeva le cose e i loro
corpi volanti, calati nella vita dell’aria. Le stelle rimanevano lontane, non
erano la meta di quel volo celeste, il mondo umano era la loro àncora, il tempo
non era un abisso pieno di date, ma una nuvola di incertezza e di possibilità
non ancora scritte, quel volo umano non si sarebbe infranto nel volo di Icaro, perché
era simile agli dèi chi sapeva lasciar crescere quelle ali intessute d’amore e
di immaginazione.
Videro dal settimo cielo il pianeta farsi simile a un’arancia
blu e azzurra, respiravano quella luce che le stelle scagliavano contro noi
tutti e ne fecero parole umane per poter narrare il ritorno.
Perché dire solo il viaggio di andata risveglia la curiosità
per quanto accadrà al di fuori di noi, ma è solo con il viaggio di ritorno che
potremo misurare le dimensioni del cambiamento.
Piano si lasciarono portare dai venti ascensionali e poi si
tuffarono verso le acque profondissime del Mare Mediterraneo. La spiaggia era
deserta, le onde piatte, il sole non era ancora giunto al suo zenit e prima che
ciò accadesse, sapevano di dover ritornare. Le ali di lui stavano crescendo e
avrebbe già potuto volare da solo, ma perché non farlo ancora abbracciati?
Si slanciarono verso i venti che li avrebbero condotti a casa,
si abbandonarono all'aria come ci si abbandona al mare, immobili, invincibili,
con il viso rivolto al sole.
La casa li stava chiamando, non c’erano rotte da impostare o
stelle da seguire, bastava lasciarsi andare al vento, bastava affidarsi al
volo. Tutto sarebbe accaduto nell'ordine desiderato, ogni sosta un naufragio e
una scoperta, il lungo viaggio era appena iniziato.
Cosa siamo in fondo noi, ogni volta che sospiriamo verso un
cielo magnifico che le vicende terrestri ci precludono?
Nuotatori celesti, naufraghi dei cieli.
(anche il titolo di questa Cronaca è un verso di Pedro Salinas)
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