lunedì 6 aprile 2020

Cronache dall'anno senza Carnevale/29: la rosa irraggiungibile e un sogno di Borges


Un antico poeta sentiva che il tempo era il fiume che lo trascinava e sapeva di essere il fiume, che il tempo era una tigre che lo divorava e sapeva di essere quella stessa tigre.

Il mondo era reale, troppo, reale, a nulla erano valsi i tentativi di smembrarlo e ricostruirlo nell’infinito gioco di specchi, nelle infinite gallerie della biblioteca universale.

Mentre l’assassino riponeva la sua lama in una teca e la vedova ne custodiva il nome, mentre le creature più disparate trovavano il loro posto in un bestiario fatto solo di parole, mentre gli Achei sconfitti contemplavano ancora il viso di Elena e invidiavano la perseveranza di Ulisse, Borges il poeta si arrendeva alle ombre che erano il suo unico mondo.

Contemplava nel silenzio della sera l’ultimo fuoco e ne fece versi, costringeva il mistero del colore della rosa a svanire nel suo stesso profumo che imprigionò in più di una poesia.

Mille fiumi si raccoglievano nell’incavo del suo collo e costringevano quelle valli inesplorate a cedere alla luce.

I gelsomini fiorivano a ogni stagione ed erano essi stessi la patria cui ritornare, anche il loro profumo venne imprigionato in versi che stringevano la madre in un abbraccio.

Cosa resta di un poeta che non può più guardare? Cosa resta di uno sguardo accecato dal tempo villano e ostile?

Dio diede a Borges il dono della più grande biblioteca di Buenos Aires e gli prese in cambio il dono della vista e gli regalò lo sguardo fedele del giovane che sarebbe diventato Alberto Manguel.

Senza più occhi capaci di comprendere la sapienza di quelle antiche torri e attraversare tutta la pianura con uno solo battito di ciglia, Borges l’anziano scelse un lago per poter provare una vera nostalgia per ciò che non poteva più vedere.

O almeno, così raccontò al mondo prima di morire.

Ma io so, l’ho sognato tanti anni fa, che il poeta ha abbandonato Borges al suo destino mortale e si è ritirato in un convento di pietra e mattoni rossi. Io l’ho visto uscire da una cella spoglia e recarsi senza bastone al giardino delle rose.

Solo lì allo scrittore venne dato il permesso di tornare, ci sono parole che si lamentano in agonia se cerchi di trasportarle oltre il confine della sillaba.

Seduti al centro del giardino delle rose, stavano il poeta e lo scrittore finalmente riconciliati e in pace.

Entrambi potevano sentire il profumo accecante di tutte quelle rose, era colpa loro se avevano perduto la vista e il dono?

Glielo chiesi nel sogno, ma i due Borges si rivolsero con lo sguardo al cielo che diventò uno specchio e si infranse al bordo di quel giardino.

Non so se fu il poeta o invece lo scrittore a porgermi le rose che abitano la mia poesia e la vivificano e la fanno inesauribile e misteriosa.

Il canto di ogni rosa resta un enigma e un mistero: il poeta può cantare ciò che sente e vede ma non il suono originario, quello della rosa delle rose.

Qui mi congedo, dopo avere svelato un sogno che ancora non mi spiego, solo mi fermo di tanto in tanto in quel giardino a cercare la rosa che ancora, non ho cantato.

La rosa
Jorge Luis Borges

Fervore di Buenos Aires
Adelphi 2010
Traduzione di Tommaso Scarano



La rosa,
l'immarcescibile rosa che non canto,
quella che è peso e fragranza,
quella del buio giardino a notte alta,
quella d'ogni giardino e d'ogni sera,
la rosa che per arte d'alchimia
nasce di nuovo dalla tenue cenere,
la rosa dei persiani e dell'Ariosto,
quella ch'è sempre sola,
quella che è sempre la rosa delle rose,
il giovane fiore platonico,
l'ardente e cieca rosa che non canto,
la rosa irraggiungibile.
  
§§§

La rosa, la inmarcesible rosa que no canto,
la que es peso y fragancia,
la del negro jardín de la alta noche,
la de cualquier jardín y cualquier tarde,
la rosa que resurge de la tenue
ceniza por el arte de la alquimia,
la rosa de los persas y de Ariosto,
la que siempre está sola,
la que siempre es la rosa de las rosas,
la joven flor platónica,
la ardiente y ciega rosa que no canto,
la rosa inalcanzable.

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