lunedì 13 aprile 2020

Cronache dall'anno senza Carnevale/36: il vento che abbiamo dentro


Ci diciamo attraversati dal vento, siamo sconquassati dalle raffiche, ci pieghiamo su noi stessi ed avanziamo se proprio non possiamo farne a meno, cerchiamo un rifugio se non possiamo proseguire.

Il vento trascina le nuvole, sconquassa gli alberi, agita il mare.

È soffio divino, simbolo della collera di un dio inferocito, impedisce il ritorno di Ulisse e lo costringe a soste che non aveva cercato.

Il vento è voce del mondo, sua incarnazione, non udremo il suono degli alberi e delle nuvole se non fosse il vento a farsi carico di questa incombenza.

Essere la voce di qualcun altro è una sfida altissima che non sempre va a buon fine. Poeti e scrittori spesso affermano di voler essere la voce di qualcun altro, la voce dei diseredati, degli ultimi del mondo.

Due sono le strade che possono poi intersecarsi, la prima è quella della cronaca che diventa storia, penso tra i tanti autori a Paolo Rumiz e Ryszard Kapuściński.

La seconda strada è forse ancora più ardua perché attraverso l’immaginazione vuole dare voce a chi non l’ha avuta, non ce l’ha e non l’avrà mai.

La voce e il vento diventano così strumenti di riscatto e di memoria, sconfitta dell’oblio cui tutti siamo destinati.

Poi ci sono le malattie del vento, così le chiama la medicina tradizionale cinese, ma non solo.

L’etnopsichiatra Piero Coppo, autore del libro Guaritori di follia, ne aveva parlato durante un suo intervento alla Libreria Utopia circa un quarto di secolo fa, raccontando del popolo Dogon.

Il vento porta la ragione fuori di sé, entra in noi e ci possiede, ci smaschera ci fa diventare altri rispetto a ciò che eravamo stati. Ci rende forse autentici? Ci accompagna verso la libertà?

Il teologo Vito Mancuso, in una recente intervista che si può leggere sul suo sito, dice “Questa malattia attacca i polmoni, ricordandoci quanto dipendiamo dal respiro. In greco, in latino, in ebraico, in sanscrito, nella lingua indù, la parola spirito significa proprio respiro, aria che si muove, vento. La domanda è: perché tutte queste lingue, tra le tantissime parole che avevano a disposizione, sono andate a prendere proprio questa per nominare quella parte dell’essere umano che noi chiamiamo spirito? Ha la risposta? Suppongo che sia perché l’aria è la cosa più imprendibile che ci sia. Non si vede. Non si sa da dove viene. Né dove va. È imprevedibile e inclassificabile. Cosa vuol dire questo? La spiritualità non è andare in Chiesa: è qualcosa che riguarda tutti gli esseri umani che vogliono essere liberi, cioè tutti quelli che si pongono il problema di gestire le raffiche di vento che hanno dentro. Non di eliminarle, né di rimuoverle. Perché è questo caos che ci distingue da tutti gli altri esseri viventi e ci rende uomini”.

Le raffiche di vento che abbiamo dentro sono simbolo del nostro desiderio di essere liberi.

Il vento è il respiro che entra dentro di noi, sosta e viene poi espulso. Leggete il blog di Nicoletta Cinotti e guardate i suoi video su Youtube: la consapevolezza del respiro è uno dei primi passi per la consapevolezza più ampia del nostro essere su questa terra, in questa casa cui siamo arrivati senza averlo chiesto, dove troviamo nutrimento e riparo.

A nessuno di noi possono bastare nutrimento e riparo, l’anelito alla libertà e alla pienezza della vita è tutto quel vento che ci agita dentro.

Il poeta Attilio Bertolucci, padre dei registi Bernardo e Giuseppe, ha scritto una delle poesie che più amo sul vento:


Vento
Come un lupo è il vento
che cala dai monti al piano,
corica nei campi il grano
ovunque passa è sgomento.
Fischia nei mattini chiari
illuminando case e orizzonti,
sconvolge l’acqua nelle fonti
caccia gli uomini ai ripari.
Poi, stanco s’addormenta e uno stupore
prende le cose, come dopo l’amore.


Attilio Bertolucci

Sirio
Alessandro Minardi Editore 1929

Se Bertolucci ci consola e ci dà un sollievo temporaneo, è di nuovo Danilo Bramati a squarciare questo nostro tempo di respiri corti e di vento impazzito.

Il vento

Il vento succhia, tira, strappa,

stropiccia folle di alberi,
il vento incalza, ti costringe
a uscire fuori da te.
Tu non vuoi, ti ribelli,
inutilmente.

E le strade sono inquiete,

tutti che cercano riparo
infagottati negli abiti pesanti.
Non c’è sciarpa, non c’è bavero che tenga,
dovranno subire questo vento.

Vento, perché ci assali,

ci torturi, ci strapazzi?
Sgombra le nostre strade,
lasciaci liberi di andare!

Ma siamo tutti incamminati

nei medesimi sentieri
e un vento ci scava dentro:
questo è il clima, questo è il tempo.

Danilo Bramati
Dietro ogni silenzio
Atì editore 2017

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