domenica 19 aprile 2020

Cronache dall'anno senza Carnevale/42: come il giunco mi piego e resisto, ritorno

Ero seduta in riva a un corso d’acqua, il mare non era lontano, sentivo il frangersi delle onde sulla spiaggia.

Accanto a me una folla di giunchi si lasciava spettinare e trascinare dall’acqua in movimento, ma era solo un’illusione ottica, al minimo scarto del vento ecco che le cime dei rami si sollevavano e tornavano a danzare nell’aria.

Nel sogno camminavo lungo le rive, incerta se fermarmi o arrivare al mare. Ho sentito anche le rondini, finalmente, che davvero ieri sera sono arrivate nel mio cortile a rinnovare i nidi, e anche un gabbiano solitario.

Il chiarore dell’alba saliva dietro il filo dell’orizzonte, mi sono fermata e ho aspettato.

Ora che sono sveglia, le immagini del sogno si sono depositate sulla riva della realtà e mi interrogano.

Quei giunchi siamo noi fermi nei nostri luoghi, sollecitati dal vento e dalla pioggia loro, dalla chiusura al mondo noi.

Ma il giunco sa che il vento non è più forte, che non sarà quell'aria sfrontata ad averla vinta.

Amelia Rosselli scriveva in Documento:

La notte era una splendida canna di giunco
i suoi provvisori accecamenti erano di giunco
i suoi averi scappavano dalle mie mani
le sue filantropie erano di giunco.
Oh potessi avere la leggerezza della prosa
o di quel inverno che fu così ben racchiuso
fra i tetti impiantati: questa strada d'inverno
è come se qualcuno l'avesse saccheggiata.
Oh potessi realizzare le rissa degli angioli
indovinati fra le colonne vertebrate, così
come la strada precipita senza segno, senso
per un vuoto putiferio per un mistico
soliloquio.

Anche la mia notte è stata una splendida canna di giunco, così continuo a cercare nelle parole dei poeti il senso di quel sogno e del nostro stare.

Anna Achmatova dice che non visiterà i nostri sogni:

Ma io vi prevengo che vivo
per l'ultima volta.
Né come rondine, né come acero,
né come giunco, né come stella,
né come acqua sorgiva,
né come suono di campane
turberò la gente
e non visiterò i sogni altrui
con un gemito insaziato.

E Federico Garcia Lorca vede il giunco e la penombra tremare insieme:

Il campo
di ulivi
s'apre e si chiude
come un ventaglio.

Sull'oliveto
c'è un cielo sommerso
e una pioggia scura
di freddi astri.

Tremano giunco e penombra
sulla riva del fiume.
S'increspa il vento grigio.

Gli ulivi
sono carichi
di gridi.

Uno stormo
d'uccelli prigionieri
che agitano lunghissime
code nel buio.

Saettano le immagini dei poeti e le loro parole, so soltanto che quei giunchi siamo noi e in silenzio resistiamo anche se impauriti e soli.

Una rondine si fa sentire più delle altre e io tengo in me tutte le primavere passate in cui ho sentito lei e prima ancora i suoi genitori e i genitori dei suoi genitori.

La vita continua nel profondo di noi, non ha bisogno di essere esibita.

Questa immobilità forzata ci costringe a guardare all'essenziale, a interrogare i nostri cuori, a non rimpiangere il passato, ma ad amarlo per quello che è stato e lasciarlo andare.

Possiamo scegliere di stare nel presente, nel respiro, nella gioia dell’istante, seguire le rondini impazzite di luce e anticipare la stagione calda che così tanto aneliamo.

Possiamo continuare ad amare, anche nel chiuso delle nostre case.

Questa poesia l’ho scritta questa mattina al risveglio e anche questo è un dono per il giorno nuovo:

Come un giunco è il mio amore,
si piega a ogni vento, inchina
il capo alla tempesta, sa che
passeranno, pioggia e paura.

Ma il mio giunco d’amore resta
saldo nella sua posizione, non
teme il tempo perché anche
il tempo passa, non teme
il sole e il ghiaccio, tutto
muta e trascorre, tutto
passa, ma non il mio giunco,
non il mio amore che resta
saldo giorno dopo giorno,
nel suo angolo di mondo,
invisibile agli occhi.





2 commenti:

Camilla Miglio ha detto...

Mi hai fatto pensare al cantico dei cantici!

Unknown ha detto...

Dopo una giornata pesante le tue parole mi hanno fatto spiccare il volo. I poeti che belle creature!