lunedì 15 giugno 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/99: le pietre dormono sotto la neve con sogni verdi nel cuore


C’era un filo teso tra i mandorli in fiore, era una primavera precoce, l’ultima che ho visto per anni e anni prima di addormentarmi.

Al risveglio il bosco era innevato, le nuvole basse, avevo fame e sete e non sapevo come proteggermi dal gelo.

Indossavo lo stesso abito leggero con le spalline sottili e la gonna lunga, bianco come la neve, tanto che, se non fosse stato per i miei capelli neri come la notte, non credo che mi avrebbero vista.

Ma forse non avevano bisogno di notarmi in quel vasto paesaggio di sempreverdi e stelle cadute.

Mi avevano sentita dall'odore lieve di fiori e pasta di pane che ancora mi impregnava le mani.

Il branco non era molto numeroso, meno di venti lupi lo componevano. La coppia alfa era composta da un enorme lupo nero e da una lupa candida.

Mi avevano circondata in un attimo, mi guardavano, ma nessuno tra loro mi mostrava i denti.

Non avevo paura, ero solo molto curiosa. I lupi mi guardavano immobili, stavano forse aspettando un mio falso movimento?

Così iniziai a cantare una vecchia ninna nanna portata al mio villaggio da un viaggiatore arrivato dal Nord e che parlava di lupi.

Anche in questo canto c’era una donna smarrita nella neve, che pregava il lupo di non assaltare il suo bambino.

Io non avevo figli e non avevo conosciuto ancora un uomo.

Cantavo e cantavo senza paura, mentre i lupi mi guardavano e piano stringevano il cerchio.

Fu uno dei lupi giovani a staccarsi per primo, era maestoso quanto il padre e sul muso aveva una macchia bianca come sua madre.

Si avvicinò e si mise ad annusarmi, con discrezione, quel che sentì dovette piacergli perché lancio un ululato altissimo verso e il cielo e il resto del branco lo seguì.

Poi si rotolò nella neve e scivolò sul ghiaccio e mi guardava e io avevo l’impressione che stesse sorridendo.

Quando si rialzò venne a spingermi con il suo muso che mi arrivava alla spalla.

Presi la direzione che mi indicava e lui non mi spinse più, mi affiancò, mentre il resto del branco si dispose nella usuale formazione, dove i lupi alfa aprivano la strada e il grande vecchio, grigio e un po’ malfermo sulle zampe, chiudeva il corteo.

Non sapevo che quello sarebbe stato il mio corteo nuziale. E chi poteva immaginarlo?

Arrivammo ai piedi della montagna dove la roccia era spaccata e si poteva intuire che sotto il ghiaccio dormiva una cascata maestosa.

Non sentivo più i piedi e le mani, non ero più candida come la neve ma azzurra come il cielo che si stava mostrando tra le nuvole in corsa.

Nella caverna c’era un fuoco che ardeva e i lupi mi condussero vicino tanto quanto il loro timore lo permetteva.

Mentre sentivo il calore del sangue avere la meglio sul gelo, mentre le membra riprendevano vita, mi chiesi se mi avevano portata nella grotta per nutrirsi di me.

Fu la lupa alfa ad atterrarmi e prendermi alla gola. Ma io non avevo paura. Non sapevo come fossi arrivata nella terra dell’inverno perenne. Ma sentivo che un motivo profondo, anche se ancora sconosciuto, mi aveva portato sin lì.

Le zanne della lupa non mi avevano ferita, ma solo sfiorata. A turno, uno dopo l’altro, tutti i lupi vennero ad assaggiare il mio sangue. Mi respiravano sul viso, sorridevano, riconoscevano ancora quel profumo di fiori e di pasta di pane?

L’ultimo a venire fu il giovane maschio con la macchia bianca sul muso.

Prima respirò la mia stessa aria, poi mi leccò il viso, le orecchie, i capelli e mi strappò il vestito dalla schiena.

Mi accucciai, non sapendo cosa aspettarmi tenni gli occhi chiusi. Lui continuava a leccarmi come se io fossi un piatto prelibato, e un colpo di lingua dopo l’altro la mia pelle divenne sottile e si spaccò.

Sotto, la mia nuova scintillante pelliccia grigia e bianca risplendeva accanto al fuoco.

Quando il mio lupo finì di trasformarmi io divenni lupa quanto lui, senza perdere però i ricordi del mio corpo umano.

Uscimmo dalla caverna e riprendemmo un sentiero che solo i lupi conoscevano, la neve ci arrivava al collo, ma noi proseguivamo.

Dopo una lunga discesa avvistammo i cervi e io fui la prima a lanciarmi al loro inseguimento.

Fui la prima ad atterrare una vecchia cerva stanca che si arrese in un momento.

Fame, avevo fame, riconoscevo questa fame nuova che arrivava dalla memoria di un’altra specie.

Mangiai il suo corpo, bevvi il suo sangue. Tutto risplendeva intorno a me, la mia vista copriva chilometri come fossero pochi metri, il mio olfatto catturava ogni odore nell'aria.

I pini, la neve, i lupi, il sangue, il vento, la corteccia di un bosco di betulle giù nella valle.

Il mio lupo mi guardava e io lo seguii, dovevamo celebrare le nostre nozze ferine e lasciare il branco al suo pasto.

E andammo, felici, nella neve e io sentivo anche il profumo di tè nella mia casa umana che avevo intravisto in fondo alla valle. Sapevo che un giorno ci sarei tornata, ma quel giorno, il giorno in cui la lupa che ero si mostrò al mondo, fu il primo in un tempo tutto da scoprire.

Il mio nome umano era Alma e anche la lupa seppe di chiamarsi con lo stesso nome.

Un solo nome, due anime e due corpi, un corpo da lupa e un corpo da fanciulla.

Il mio lupo non mi svelò il suo, né io lo farò con voi. Quando sarà il momento lui parlerà o ululerà, non so come si presenterà a voi.

Mi portò in un’altra grotta e me ne stupii perché sapevo che i lupi si amano anche nella neve.

Anche in quel luogo ardeva un fuoco perenne e c’era un giaciglio che profumava di erbe e di fiori. Il mio lupo chinò la testa e un attimo dopo era un giovane uomo dai capelli scuri e dagli occhi verdi.

Ci amammo come gli esseri umani si amano e in noi ardevano i cuori dei due lupi.

Ci amammo come i lupi, senza dimenticare la tenerezza degli amanti umani.

Ora andiamo e veniamo tra i tempi e le dimensioni, tra le leggende e le cacce selvagge.

Qui con voi ci divertiamo, per questo vi mostro il mio volto umano e vi dico il mio nome.

Sono Alma, la lupa e sono Alma che era una fanciulla prima di diventare una sposa felice.


Una giovane donna radiosa uscì dall'ombra accanto al camino e ci guardò.

Il suo lupo le aveva portato un dono che non vedemmo, lei rise, lui ululò.

Corsero fuori insieme, prima due amanti impazienti, poi due lupi gioiosi.

I fiori sbocciavano al loro passaggio e la brughiera diventò rossa e rosa.


Non so perché ma anche il mio petto si aprì e un ululato profondo squarciò la notte e il tempo rimasto.


*Ogni storia ha una sua genealogia, il titolo è un verso Olav H. Hauge. Le sue poesie e i racconti di Angela Carter sono un buon complemento a questa narrazione.

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