C’era
un filo teso tra i mandorli in fiore, era una primavera precoce, l’ultima che
ho visto per anni e anni prima di addormentarmi.
Al risveglio
il bosco era innevato, le nuvole basse, avevo fame e sete e non sapevo come
proteggermi dal gelo.
Indossavo
lo stesso abito leggero con le spalline sottili e la gonna lunga, bianco come
la neve, tanto che, se non fosse stato per i miei capelli neri come la notte,
non credo che mi avrebbero vista.
Ma forse
non avevano bisogno di notarmi in quel vasto paesaggio di sempreverdi e stelle
cadute.
Mi avevano
sentita dall'odore lieve di fiori e pasta di pane che ancora mi impregnava le
mani.
Il
branco non era molto numeroso, meno di venti lupi lo componevano. La coppia
alfa era composta da un enorme lupo nero e da una lupa candida.
Mi avevano
circondata in un attimo, mi guardavano, ma nessuno tra loro mi mostrava i
denti.
Non avevo
paura, ero solo molto curiosa. I lupi mi guardavano immobili, stavano forse
aspettando un mio falso movimento?
Così iniziai
a cantare una vecchia ninna nanna portata al mio villaggio da un viaggiatore
arrivato dal Nord e che parlava di lupi.
Anche in
questo canto c’era una donna smarrita nella neve, che pregava il lupo di non
assaltare il suo bambino.
Io non
avevo figli e non avevo conosciuto ancora un uomo.
Cantavo
e cantavo senza paura, mentre i lupi mi guardavano e piano stringevano il
cerchio.
Fu uno
dei lupi giovani a staccarsi per primo, era maestoso quanto il padre e sul muso
aveva una macchia bianca come sua madre.
Si avvicinò
e si mise ad annusarmi, con discrezione, quel che sentì dovette piacergli perché
lancio un ululato altissimo verso e il cielo e il resto del branco lo seguì.
Poi si
rotolò nella neve e scivolò sul ghiaccio e mi guardava e io avevo l’impressione
che stesse sorridendo.
Quando si
rialzò venne a spingermi con il suo muso che mi arrivava alla spalla.
Presi la
direzione che mi indicava e lui non mi spinse più, mi affiancò, mentre il resto
del branco si dispose nella usuale formazione, dove i lupi alfa aprivano la
strada e il grande vecchio, grigio e un po’ malfermo sulle zampe, chiudeva il
corteo.
Non sapevo
che quello sarebbe stato il mio corteo nuziale. E chi poteva immaginarlo?
Arrivammo
ai piedi della montagna dove la roccia era spaccata e si poteva intuire che
sotto il ghiaccio dormiva una cascata maestosa.
Non sentivo
più i piedi e le mani, non ero più candida come la neve ma azzurra come il
cielo che si stava mostrando tra le nuvole in corsa.
Nella caverna
c’era un fuoco che ardeva e i lupi mi condussero vicino tanto quanto il loro
timore lo permetteva.
Mentre sentivo
il calore del sangue avere la meglio sul gelo, mentre le membra riprendevano
vita, mi chiesi se mi avevano portata nella grotta per nutrirsi di me.
Fu la
lupa alfa ad atterrarmi e prendermi alla gola. Ma io non avevo paura. Non sapevo
come fossi arrivata nella terra dell’inverno perenne. Ma sentivo che un motivo
profondo, anche se ancora sconosciuto, mi aveva portato sin lì.
Le zanne
della lupa non mi avevano ferita, ma solo sfiorata. A turno, uno dopo l’altro,
tutti i lupi vennero ad assaggiare il mio sangue. Mi respiravano sul viso,
sorridevano, riconoscevano ancora quel profumo di fiori e di pasta di pane?
L’ultimo
a venire fu il giovane maschio con la macchia bianca sul muso.
Prima respirò
la mia stessa aria, poi mi leccò il viso, le orecchie, i capelli e mi strappò
il vestito dalla schiena.
Mi accucciai,
non sapendo cosa aspettarmi tenni gli occhi chiusi. Lui continuava a leccarmi come
se io fossi un piatto prelibato, e un colpo di lingua dopo l’altro la mia pelle
divenne sottile e si spaccò.
Sotto,
la mia nuova scintillante pelliccia grigia e bianca risplendeva accanto al
fuoco.
Quando il
mio lupo finì di trasformarmi io divenni lupa quanto lui, senza perdere però i
ricordi del mio corpo umano.
Uscimmo
dalla caverna e riprendemmo un sentiero che solo i lupi conoscevano, la neve ci
arrivava al collo, ma noi proseguivamo.
Dopo una
lunga discesa avvistammo i cervi e io fui la prima a lanciarmi al loro
inseguimento.
Fui la
prima ad atterrare una vecchia cerva stanca che si arrese in un momento.
Fame,
avevo fame, riconoscevo questa fame nuova che arrivava dalla memoria di un’altra
specie.
Mangiai
il suo corpo, bevvi il suo sangue. Tutto risplendeva intorno a me, la mia vista
copriva chilometri come fossero pochi metri, il mio olfatto catturava ogni odore
nell'aria.
I pini,
la neve, i lupi, il sangue, il vento, la corteccia di un bosco di betulle giù
nella valle.
Il mio
lupo mi guardava e io lo seguii, dovevamo celebrare le nostre nozze ferine e
lasciare il branco al suo pasto.
E andammo,
felici, nella neve e io sentivo anche il profumo di tè nella mia casa umana che
avevo intravisto in fondo alla valle. Sapevo che un giorno ci sarei tornata, ma
quel giorno, il giorno in cui la lupa che ero si mostrò al mondo, fu il primo
in un tempo tutto da scoprire.
Il mio
nome umano era Alma e anche la lupa seppe di chiamarsi con lo stesso nome.
Un solo
nome, due anime e due corpi, un corpo da lupa e un corpo da fanciulla.
Il mio
lupo non mi svelò il suo, né io lo farò con voi. Quando sarà il momento lui
parlerà o ululerà, non so come si presenterà a voi.
Mi portò
in un’altra grotta e me ne stupii perché sapevo che i lupi si amano anche nella
neve.
Anche in
quel luogo ardeva un fuoco perenne e c’era un giaciglio che profumava di erbe e
di fiori. Il mio lupo chinò la testa e un attimo dopo era un giovane uomo dai
capelli scuri e dagli occhi verdi.
Ci amammo
come gli esseri umani si amano e in noi ardevano i cuori dei due lupi.
Ci amammo
come i lupi, senza dimenticare la tenerezza degli amanti umani.
Ora andiamo
e veniamo tra i tempi e le dimensioni, tra le leggende e le cacce selvagge.
Qui con
voi ci divertiamo, per questo vi mostro il mio volto umano e vi dico il mio
nome.
Sono Alma,
la lupa e sono Alma che era una fanciulla prima di diventare una sposa felice.
Una giovane
donna radiosa uscì dall'ombra accanto al camino e ci guardò.
Il suo
lupo le aveva portato un dono che non vedemmo, lei rise, lui ululò.
Corsero
fuori insieme, prima due amanti impazienti, poi due lupi gioiosi.
I fiori
sbocciavano al loro passaggio e la brughiera diventò rossa e rosa.
Non so perché
ma anche il mio petto si aprì e un ululato profondo squarciò la notte e il
tempo rimasto.
*Ogni
storia ha una sua genealogia, il titolo è un verso Olav H. Hauge. Le sue poesie
e i racconti di Angela Carter sono un buon complemento a questa narrazione.
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