Rondini,
rondini soltanto rondini che sfidano le nuvole nel cielo. Scendono in
picchiata, risalgono, si chiamano.
I
gelsomini continuano a fiorire e il loro aroma impregna l’aria anche di giorno,
la notte sembra di essere in un giardino orientale dove gli amanti passeggiano
nel buio.
La
città che ha oscillato tra il silenzio e i soliti, fastidiosi rumori umani,
oggi splende di assenza. I milanesi non amano restare nella loro città nei fine
settimana, fuggono sempre altrove. Mare, campagna, montagna, lago, città
d’arte. I miei concittadini potrebbero contribuire a scrivere un Dizionario
della fuga e dei ritorni. So quanto abbiano patito nei mesi di confinamento, so
quanto il clima in questa terra spinga alla fuga. So quanto i milanesi amino
parlare malissimo o benissimo della loro città e sottolineo loro, perché i non
milanesi, secondo i milanesi, non possono capire lo spirito della città del
fare, che è stata costretta a fermarsi, a riflettere. Ma tanto tutto sta già
tornando come prima. Così lascio la città vuota di abitanti e torno alle mie
amate Montagne della Nebbia e senza neanche passare dalla Casa delle Parole,
vado a vedere se è cambiato qualcosa alla Casa delle Stelle.
Il mosaico
delle stelle binarie si è ingrandito, sul piccolo scrittoio, nel taccuino rosso
c’è una rosa appena recisa, come fosse un segnalibro. Con la grafia elegante
che sto imparando a conoscere, il misterioso architetto ha copiato la seconda
parte della poesia di Borges che gli ho portato ieri.
II.
Vanno
per l’aria placide montagne
oppure
cordigliere d’ombre tragiche
che
oscurano il giorno. Le chiamiamo
nuvole.
Hanno sempre forme strane.
Shakespeare
ne osservò una. Somigliava
a un
drago. Quella nube di una sera
risplende
e brucia nella sua parola
e
ancora seguitiamo a rivederla.
Le
nuvole che sono? Architettura
del
caso? Forse Dio ne necessita
per
eseguire l’opera infinita:
sono i
fili della Sua trama oscura.
Forse
la nube non è meno vana
dell’uomo
che la guarda nel mattino.
Quanto
amo questa poesia e l’uomo che l’ha copiata deve amarla quanto me.
Lo sguardo
cieco di Borges, lo sguardo acuto di Shakespeare, la nuvola a forma di drago, le
parole dei poeti che ardono nei secoli, la mia curiosità, la gioia di quegl’istanti
in cui il mondo, la sua bellezza, la potenza del canto sono un tutt’uno e
risplendono ancora nel mio mattino.
Porto la
rosa recisa con me, la rosa che diventa tutte le rose, la rosa dei poeti, la
rosa degli innamorati, la rosa che fiorisce senza un perché e profonde bellezza
e mistero da quando è bocciolo a quando sfiorisce e lascia che i petali tornino
alla terra e al vento.
Sulla strada
del ritorno incrocio la coppia regale che torna alla casa comune. Anche la
regina ha in mano una rosa che pare la gemella di quella che ho io. Scorgo un
lampo di curiosità nel suo sguardo mentre si accorge della mia rosa.
Al nostro
piccolo corteo si uniscono i lupi che hanno la capacità di sbucare all’improvviso
come se arrivassero da un’altra dimensione e forse è proprio così.
Seduti nel
giardino davanti alla nostra casa ci sono la sacerdotessa e il guerriero, lui
le sta porgendo una rosa identica alle altre due.
Le tigri
arrivano di corsa a salutare i lupi, le aquile sorvegliano il nostro cielo
mentre una brezza leggera si mischia al nostro respiro.
Il congedo
di questa sera è un appunto di Marguerite Yourcenar.
“Una rosa è una rosa,
ma dalla rosa di Anacreonte alla rosa del Roman de la rose, dal
rosone delle cattedrali ai mazzi di fiori di Renoir, si esprimono, si elidono e
si susseguono tutti i possibili modi di vedere la rosa e la vita”.
1942
Marguerite Yourcenar
Pellegrina e straniera
Carnet di appunti, 1942-1948
traduzione di Elena Giovanelli
Einaudi 1990
La poesia
di Jorge Louis Borges è tradotta da Domenico Porzio. Tutte le opere.Volume I.
Meridiani Mondadori, 1984
***
II
Por el aire andan plácidas montañas
o
cordilleras trágicas de sombra
que
oscurecen el día. Se las nombra
nubes. Las formas suelen ser extrañas.
Shakespeare
observó una. Parecía
un
dragón. Esa nube de una tarde
en su
palabra resplandece y arde
y la
seguimos viendo todavía.
¿Qué son las nubes? ¿Una arquitectura
del
azar? Quizá Dios las necesita
para la
ejecución de Su infinita
obra y
son hilos de la trama oscura.
Quizá
la nube sea no menos vana
que el
hombre que la mira en la mañana.
Jorge Louis Borges
da “Los conjurados”, Alianza, Madrid, 1985
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