mercoledì 17 giugno 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/101: del vento dipinto e del principio di una pioggia


L’uomo cammina contro vento, non gli vediamo il viso perché il capo è chinato in avanti, le mani sono serrate al petto e tengono i lembi di un mantello.

Qualche giorno fa ci dicevamo che il vento non ha una sola voce e lo sappiamo.

Come sappiamo che il vento non ha una forma ma che avvolge la forma di persone, animali e cose che incontra nel suo andare.

Come l’uomo che stiamo guardando e la cui posa ci suggerisce che il vento lo stia contrastando.

Spostiamoci ora a guardare l’uomo contro vento di spalle. Del capo si vede la nuca, la schiena è convessa, la polvere intorno alle gambe ci conferma la presenza del vento.

Come scriveva Leonardo “Della figura che va contro il vento. Sempre la figura che si muove infra il vento per qualunque linea non osserva il centro della sua gravità con debita disposizione sopra il centro del suo sostentacolo”.

Nonostante il volto nascosto chiedo, noi sappiamo chi è quell’uomo? Sì, lo sappiamo è il misterioso architetto che sta erigendo la Casa delle Stelle. Perché si ostina a marciare contro vento? Qual è la sua destinazione?

Nel suo taccuino rosso ho trovato una citazione da un racconto di Alvaro Mutis.

“No, voglio dipingere il vento che entra da una finestra ed esce da un’altra, così, niente di più. Il vento che non lascia traccia, quello tanto simile a noi, al nostro mestiere di vivere, quello che non ha nome e che ci sfugge dalle mani senza sapere come. Il vento che lei, come Gabbiere, ha visto tante volte venire incontro alle vele e che all’improvviso cambia direzione e non torna più. Questo è il vento che voglio dipingere. Nessuno lo ha ancora fatto. Io lo farò. Vedrà. Bisogna saperlo sorprendere nel momento preciso in cui sul suo passaggio non si ha alcun dubbio. Per questo, lo so, bisogna saper guardare, gliel’ho già detto; guardare al lato nascosto delle cose. Con il vento è lo stesso e ciò che in realtà io so fare è questo: guardare, guardare fino a diventare la cosa stessa”.

Il pittore Alejandro Obrégon, protagonista di questo racconto, vuole scomparire sino a diventare vento. Così pare stia facendo il nostro architetto, sempre più piegato su se stesso e sempre più vicino alla sua meta.

Dall’altro lato, un lato qualunque della forma bizzarra che ha il tempo, che non è altro che spazio ripiegato, la pioggia inizia a cadere così come ha scritto, di nuovo, Leonardo.

“Del principio di una pioggia. La pioggia cade infra l'aria, quella oscurando con livida tintura, pigliando dall'uno de' lati il lume del sole, e l'ombra dalla parte opposita, come si vede fare alle nebbie; ed oscurasi la terra, a cui da tal pioggia è tolto lo splendor del sole; e le cose vedute di là da essa sono di confusi ed inintelligibili termini, e le cose che saranno più vicine
all'occhio saranno più note; e più note saranno le cose vedute nella pioggia ombrosa,
che quelle della pioggia illuminata. E questo accade perché le cose vedute nelle ombrose pioggie solo perdono i lumi principali; ma le cose che si vedono nelle luminose perdono il lume e le ombre, perché le parti luminose si mischiano con la luminosità dell'illuminata aria, e le parti ombrose sono rischiarate dalla medesima chiarezza della detta aria illuminata”.

Trovo formidabile che il genio non citi le nuvole in questo suo passaggio, nuvole che sono una mia ossessione letteraria. Ma questo non è importante, quel che ci importa è distinguere una figura che corre sotto quella pioggia poetica.

È una donna che corre più veloce di quanto la pioggia non faccia nella sua caduta. I suoi abiti, per il momento, non sono inzuppati. Corre scalza, ride, pare si stia divertendo. Perché corre e perché ride? La conosciamo? Guardo meglio, mi avvicino, guardo dalla finestra e guardo il foglio. No, non la conosciamo, lei sta arrivando è una nuova abitante di queste terre immaginarie? Direi proprio di sì.

Mentre mi accanisco in questo gioco di visione e immaginazione, l’architetto misterioso, di cui non conosciamo né il nome, né la storia, entra nella Casa delle Parole.

Le sue mani sono sempre ricoperte di polvere d’oro, il mantello gli svolazza intorno come se il vento fosse entrato con lui.

- La vedi? La vedi anche tu la donna che corre sotto la pioggia?

- Sì, certo che la vedo e non la conosco. E tu?

- La conosco come la conosci tu… l’abbiamo evocata tante volte, l’abbiamo chiamata. Lei è la mia compagna, si chiama Soledad, cioè Solitudine e non è un caso. Mi stupisce che sia venuta a cercarmi, perché ogni volta che stiamo insieme lei smette di essere quella che è.

Fuori dalla Casa si alza un canto senza musica, è una poesia gridata al cielo.

Porto la pioggia, porto il vento,
dimentico il mio nome mentre
pronuncio il tuo. Dimmi mio
amore senza nome, quali doni
mi aspettano e quali mi pesano
sul dorso mentre corro verso di
te che sfidi il vento e non ti
guardi mai indietro?
Porto il vento e porto la pioggia,
ti raggiungo sotto lo stesso
cielo chiaro di giugno e sul
tuo petto trovo rifugio. La pioggia
non ti sfiora, il vento non mi divora.
Ma dove sono le nuvole di questo
cielo? Se non le chiami a venire
quaggiù, sarà stata vana la mia
corsa e inutile tutto questo vento.
Poi guardo meglio e vedo.
Le nuvole siamo noi e nient’altro.
Raccolgo la pioggia e te la porgo,
raccogli il vento e me lo soffi
intorno. Bastano due nuvole
per un temporale. Basta la pioggia
a dire l’amore, basta il vento per
non ritornare. Siamo insieme e
il mio nome è cambiato. Nessuno
lo conosce, nessuno lo sa.
Ti guardo negli occhi e il verde
risplende, mi guardi negli occhi
e il lago si oscura e tu remi in
silenzio e respiri il profumo
dei miei capelli di garofano e
gelsomino. Questa storia non ha
una fine, questa storia non ha
un inizio. La prima piega del
tempo ci teneva nascosti,
questo cielo di nuvole e vento
ci ha scoperti e lodati, in questo
amore che ha molte parole e
poche gocce di pioggia che
piano scendono sul palmo
della mia mano.


A una bella poesia non resisto mai. Il misterioso architetto torna in giardino ad accogliere Soledad.

Mi piego di nuovo alle bizzarrie del tempo e dello spazio, una sola materia, un solo cammino.


La poesia è mia e l’ho scritta per questa Cronaca 101.
Le citazioni di Leonardo sono prese dal Trattato sulla pittura. Quella di Alvaro Mutis da Trittico di mare e di terra. Traduzione di Fulvia Bardelli. Einaudi 1997

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