L’uomo
cammina contro vento, non gli vediamo il viso perché il capo è chinato in
avanti, le mani sono serrate al petto e tengono i lembi di un mantello.
Qualche
giorno fa ci dicevamo che il vento non ha una sola voce e lo sappiamo.
Come sappiamo
che il vento non ha una forma ma che avvolge la forma di persone, animali e
cose che incontra nel suo andare.
Come l’uomo
che stiamo guardando e la cui posa ci suggerisce che il vento lo stia
contrastando.
Spostiamoci
ora a guardare l’uomo contro vento di spalle. Del capo si vede la nuca, la schiena
è convessa, la polvere intorno alle gambe ci conferma la presenza del vento.
Come scriveva
Leonardo “Della figura che va contro il vento. Sempre la figura che si muove
infra il vento per qualunque linea non osserva il centro della sua gravità con
debita disposizione sopra il centro del suo sostentacolo”.
Nonostante
il volto nascosto chiedo, noi sappiamo chi è quell’uomo? Sì, lo sappiamo è il
misterioso architetto che sta erigendo la Casa delle Stelle. Perché si ostina a
marciare contro vento? Qual è la sua destinazione?
Nel suo
taccuino rosso ho trovato una citazione da un racconto di Alvaro Mutis.
“No,
voglio dipingere il vento che entra da una finestra ed esce da un’altra, così,
niente di più. Il vento che non lascia traccia, quello tanto simile a noi, al
nostro mestiere di vivere, quello che non ha nome e che ci sfugge dalle mani
senza sapere come. Il vento che lei, come Gabbiere, ha visto tante volte venire
incontro alle vele e che all’improvviso cambia direzione e non torna più.
Questo è il vento che voglio dipingere. Nessuno lo ha ancora fatto. Io lo farò.
Vedrà. Bisogna saperlo sorprendere nel momento preciso in cui sul suo passaggio
non si ha alcun dubbio. Per questo, lo so, bisogna saper guardare, gliel’ho già
detto; guardare al lato nascosto delle cose. Con il vento è lo stesso e ciò che
in realtà io so fare è questo: guardare, guardare fino a diventare la cosa
stessa”.
Il
pittore Alejandro Obrégon, protagonista di questo racconto, vuole scomparire
sino a diventare vento. Così pare stia facendo il nostro architetto, sempre più
piegato su se stesso e sempre più vicino alla sua meta.
Dall’altro
lato, un lato qualunque della forma bizzarra che ha il tempo, che non è altro
che spazio ripiegato, la pioggia inizia a cadere così come ha scritto, di
nuovo, Leonardo.
“Del
principio di una pioggia. La pioggia cade infra l'aria, quella oscurando con
livida tintura, pigliando dall'uno de' lati il lume del sole, e l'ombra dalla
parte opposita, come si vede fare alle nebbie; ed oscurasi la terra, a cui da
tal pioggia è tolto lo splendor del sole; e le cose vedute di là da essa sono
di confusi ed inintelligibili termini, e le cose che saranno più vicine
all'occhio
saranno più note; e più note saranno le cose vedute nella pioggia ombrosa,
che
quelle della pioggia illuminata. E questo accade perché le cose vedute nelle ombrose
pioggie solo perdono i lumi principali; ma le cose che si vedono nelle luminose
perdono il lume e le ombre, perché le parti luminose si mischiano con la
luminosità dell'illuminata aria, e le parti ombrose sono rischiarate dalla
medesima chiarezza della detta aria illuminata”.
Trovo formidabile
che il genio non citi le nuvole in questo suo passaggio, nuvole che sono una
mia ossessione letteraria. Ma questo non è importante, quel che ci importa è
distinguere una figura che corre sotto quella pioggia poetica.
È una
donna che corre più veloce di quanto la pioggia non faccia nella sua caduta. I suoi
abiti, per il momento, non sono inzuppati. Corre scalza, ride, pare si stia
divertendo. Perché corre e perché ride? La conosciamo? Guardo meglio, mi
avvicino, guardo dalla finestra e guardo il foglio. No, non la conosciamo, lei
sta arrivando è una nuova abitante di queste terre immaginarie? Direi proprio
di sì.
Mentre mi
accanisco in questo gioco di visione e immaginazione, l’architetto misterioso,
di cui non conosciamo né il nome, né la storia, entra nella Casa delle Parole.
Le sue
mani sono sempre ricoperte di polvere d’oro, il mantello gli svolazza intorno
come se il vento fosse entrato con lui.
- La
vedi? La vedi anche tu la donna che corre sotto la pioggia?
- Sì,
certo che la vedo e non la conosco. E tu?
- La
conosco come la conosci tu… l’abbiamo evocata tante volte, l’abbiamo chiamata. Lei
è la mia compagna, si chiama Soledad, cioè Solitudine e non è un caso. Mi stupisce
che sia venuta a cercarmi, perché ogni volta che stiamo insieme lei smette di
essere quella che è.
Fuori dalla
Casa si alza un canto senza musica, è una poesia gridata al cielo.
Porto
la pioggia, porto il vento,
dimentico
il mio nome mentre
pronuncio
il tuo. Dimmi mio
amore
senza nome, quali doni
mi
aspettano e quali mi pesano
sul
dorso mentre corro verso di
te che
sfidi il vento e non ti
guardi
mai indietro?
Porto il
vento e porto la pioggia,
ti
raggiungo sotto lo stesso
cielo
chiaro di giugno e sul
tuo
petto trovo rifugio. La pioggia
non ti
sfiora, il vento non mi divora.
Ma dove
sono le nuvole di questo
cielo? Se
non le chiami a venire
quaggiù,
sarà stata vana la mia
corsa e
inutile tutto questo vento.
Poi guardo
meglio e vedo.
Le nuvole
siamo noi e nient’altro.
Raccolgo
la pioggia e te la porgo,
raccogli
il vento e me lo soffi
intorno.
Bastano due nuvole
per un
temporale. Basta la pioggia
a dire
l’amore, basta il vento per
non
ritornare. Siamo insieme e
il mio
nome è cambiato. Nessuno
lo
conosce, nessuno lo sa.
Ti guardo
negli occhi e il verde
risplende,
mi guardi negli occhi
e il
lago si oscura e tu remi in
silenzio
e respiri il profumo
dei
miei capelli di garofano e
gelsomino.
Questa storia non ha
una
fine, questa storia non ha
un
inizio. La prima piega del
tempo
ci teneva nascosti,
questo
cielo di nuvole e vento
ci ha
scoperti e lodati, in questo
amore
che ha molte parole e
poche
gocce di pioggia che
piano
scendono sul palmo
della
mia mano.
A una
bella poesia non resisto mai. Il misterioso architetto torna in giardino ad
accogliere Soledad.
Mi piego
di nuovo alle bizzarrie del tempo e dello spazio, una sola materia, un solo
cammino.
La
poesia è mia e l’ho scritta per questa Cronaca 101.
Le
citazioni di Leonardo sono prese dal Trattato sulla pittura. Quella di Alvaro
Mutis da Trittico di mare e di terra.
Traduzione di Fulvia Bardelli. Einaudi 1997
Nessun commento:
Posta un commento