venerdì 19 giugno 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/103: il coro dei cori di nuvole, stelle e pensieri


Cosa pensano le stelle, ve lo siete mai chiesto? Cosa pensa l’ulivo millenario in fondo al campo e cosa la quercia altrettanto vasta e silenziosa?

Come possiamo chiedere alle stelle, all'ulivo e alla quercia quali pensieri assedino luce e lontananza, corteccia e radice?

Cosa ci risponderebbe il vento se parlassimo la sua lingua di ostacoli e aria?

Cosa ci risponde il mare che interroghiamo a ogni onda che tocca la riva?

Sono sdraiata sulla mia spiaggia preferita, reale o immaginaria, poco importa.

Lascio in pace le onde piccole di questo ultimo pomeriggio di primavera, non disturbo il vento e il sole. Mi concentro sulle nuvole di cui ho scritto in un romanzo di qualche tempo fa:

“Oggi ho visto Dio, è un enorme ragno dalla pancia azzurra che se ne sta appeso sopra le nostre teste. A dire il vero non è dalla pancia azzurra che ho capito il suo essere divino, né da qualche particolare anatomico, solo ho intuito il suo essere ragno. (…)
Le nuvole, ora ricordo, ora so, ho capito. Quel primo mattino in cui ho intuito la presenza di Dio, parecchie nuvole inframmezzavano la perfezione della sua pancia azzurra. Le nuvole sono la sua tela di ragno e, non avendo Dio una voce umana da farmi ascoltare, è con le nuvole che mi sta parlando. Le nuvole sono la sua lingua, le bianche meravigliose nuvole di questa mattina piena di sensi e significati nuovi. Ma cosa dicono due nuvole piccine che si disperdono in rivoli di vapore, prima ancora di essere arrivate abbastanza in alto per poter essere straziate dal sole?”.

Se le nuvole sono la lingua di Dio, in questo mese di giugno che si avvia alla fine, Dio ha avuto davvero molto da dire. Non c’è stato un solo pomeriggio che non sia stato oscurato da una moltitudine di nuvole come ne ho viste, forse, solo in Norvegia e Irlanda, lì dove le nuvole nascono.

Ma non voglio considerare gli elementi come mezzi di un pensiero altrui.

Dunque, cosa pensano le nuvole?


Corro, corro, cado, pioggia
e temporale, corro, mi schianto,
respiro, il vento mi strappa,
il vento mi avvolge, nera,
sono nera, mi alzo, non vedo
più la terra, la pioggia,
la pioggia, cade, mi fa male
quando cade. Finisce,
finisce il temporale, ritorno
nel vento, evaporo, svanisco.


Provate a moltiplicare questa voce per tutte le nuvole che vedete in cielo. Questo è un coro che canta all'unisono anche se ogni nuvola ha una sua voce singolare.

Facile dare voce alle nuvole che, in fin dei conti, sono vicine.

Ma le stelle? Cosa pensano le stelle? Le distanze tra noi e le stelle sono infinite, impensabili nell'ordine di grandezza di una vita e di un pensiero umano.

Come le nuvole pensano al singolare, come le nuvole si avvicinano a noi in un coro.

Giro, giro e non mi fermo,
dall'esplosione primordiale fino
alla fine dell’eternità, continuerò
a girare e mai potrò guardarmi
indietro. La mia luce vive in uno
spazio che non mi appartiene,
mi guardate voi da laggiù? E cosa
vedete se non la luce fredda della
mia passione? Ricambio la vostra
devozione indicandovi la strada,
suscitando l’inguaribile nostalgia,
per ciò che non siete stati. Nel
buio illumino il desiderio degli
amanti, incorono la regina della
notte e il suo adorato re. Mi
guardate ancora? Guardate
anche stasera quando sorgo
poco dopo la fine della luce
vera.


Ecco che nel coro delle nuvole e delle stelle sentiamo spirare il coro del vento.

Il vento ha voce, lo sappiamo, il vento ha anche forma e anche questo sappiamo.

E tutte queste voci si intrecciano quassù, prima sul mare e poi sull'Altipiano.

Sono voci che portano pensieri immaginari e reali. Sono i nostri pensieri a dare voce agli elementi, a credere che la nostra voce basti a dare voce al creato.

Sono lunghi e brillanti tutti questi pensieri degli elementi, come diamo voce e pensiero al vento, lo stesso facciamo con la rosa e il temporale.

Solo quando la pioggia è finita, vediamo la rosa risplendere ancora più vera.

Da quaggiù, un punto infinitesimale dell’unico universo di cui abbiamo certezza, vi saluto in compagnia delle rose che cantano al vento il loro amore e a me offrono la bellezza fragile di ogni desiderio celeste e terrestre.

Vorrei avere mani piccole per sfiorare le rose e uno sguardo acuto per coglierne il colore.

Ma tutto quello che ho sono le parole, queste parole, le mie parole.

Nient’altro, non più.

Dopo il temporale e le rose sfiorite, resta il racconto di chi le ha vedute.


* La citazione è tratta dal capitolo La pancia azzurra dio Dio del mio romanzo Frammenti del tredicesimo mese. Atì editore 2007.
**Le due poesie le ho scritte per questa Cronaca 103.

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