giovedì 18 giugno 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/102: Sei tu? Sei davvero tu? Tu nella notte sussurrante che profuma di menta?


Inutile che io continui a cercare, alla Casa delle Stelle non c’è nessuno. Il misterioso architetto e Soledad sono scomparsi, così come lo sono la sacerdotessa e il sapiente guerriero, il re e la regina. Oggi nessuno pare abbia voglia di raccontarsi, così apro il mio quaderno delle poesie e trascrivo l’ultima che l’architetto ha copiato e mi ha lasciato leggere. È una poesia che già conosco e che amo moltissimo. Le poesie ci svelano ogni volta a noi stessi e ci portano a oscillare nel misterioso equilibrio tra intimità e socialità.

Qui, nella Casa delle Parole, spesso trovo un eccesso di presenze e confidenza, come se tutti non fossimo altro che una persona frammentata nelle altre. Scrivere è anche questo, essere se stessi nella pelle di un altro. La poesia in particolare, non ti offre solo la pelle ma anche lo sguardo e l’udito di altre persone. La poesia oscilla sempre tra questi due sensi, a volte prevale lo sguardo, quindi le metafore, a volte l’udito, quindi il ritmo. Un gioco sottile di pieni e vuoti, di suggestioni e rimandi, che fanno di una poesia una poesia. Sembra banale, sembra facile, ma non basta mettere un po’ di a capo per fare una poesia. La prova? Leggiamo ad alta voce, gustiamo le metafore, sentiamo il ritmo che ci incalza, le sillabe che si chiamano l’un l’altra. Quanta poesia contemporanea ci fa sentire quel brivido lungo la colonna vertebrale? L’arte, tutta l’arte, trasforma l’esperienza personale in un’esperienza di portata universale.
Leggiamo insieme questa poesia di Mark Strand.



XX

Sei tu tra gli ulivi
al di là del cortile? Tu nel sole che mi fai cenno
di avvicinarmi con una mano mentre con l’altra

ti scherma gli occhi dalla luminosità che trasforma
tutto ciò che non è te in bianco assoluto? Sei tu
intorno a cui le foglie si spargono come spuma?

Tu nella notte sussurrante che profuma
di menta ed è illuminata dal lontano territorio incontaminato
delle stelle? Sei tu? Sei davvero tu?

che ti innalzi sulla calligrafia delle onde, l’estensione
del tuo corpo che mi getta un’ombra improvvisa sulla mano
così che sento quant’è fredda nel muoversi

sulla pagina? Tu che ti chini e posi
la bocca sulla mia in modo io sappia
che un bacio è solo l’inizio

di ciò che finora potevamo solo immaginare?
Sei tu o è il protratto vento pietoso
che mi mormora all’orecchio: ahimè, ahimè?



Vediamo il cortile e gli ulivi, la notte, le stelle, sentiamo il profumo di menta, l’infrangersi delle onde sulla riva che diventa la mano che scrive, mentre il vento ricalca la voce della creatura amata e il poeta teme che sia solo un’illusione.

Ogni forma d’arte è un’illusione e una magia, una lotta contro il tempo e la perdita.

Gli scrittori e i poeti, forse ancor più che gli altri artisti, hanno una vita che si sdoppia e raddoppia. Vivono, poi guardano, poi tornano a guardare, si fermano a guardare e contemplano. Poi scrivono e la vita si trasferisce sulla carta e viene liberata di nuovo quando una lettrice o un lettore leggono, si emozionano, copiano, regalano i versi singoli o tutto il libro.

La vita non è mai “così com’è” sulla carta.

“La scrittrice Irène Némirovsky, ha spiegato spesso che, prima di iniziare a scrivere, riempiva interi quaderni di dati biografici su ogni singolo personaggio - la fase che lei definiva la «vita anteriore del romanzo». Poi rileggeva, censurando e commentando, ed esprimendo appassionanti riflessioni sul suo mestiere di scrittrice”.

Anaïs Nin, un’altra scrittrice che ho molto amato, diceva che scriviamo per gustare la vita due volte.

“Perché si scrive è una domanda a cui posso rispondere facilmente, dato che me lo sono chiesto così spesso. Penso che un autore scriva perché ha bisogno di creare un mondo in cui poter vivere. Io non potrei mai vivere in nessuno dei mondi che mi sono stati offerti: il mondo dei miei genitori, il mondo della guerra, il mondo della politica. Dovevo crearne uno tutto mio, come un luogo, una regione, un'atmosfera in cui poter respirare, regnare e ricrearmi quando ero spossata dalla vita. Questa, credo, è la ragione di ogni opera d'arte. L'artista è l'unico a sapere che il mondo è una creazione individuale, che c'è una scelta da fare, una selezione. E se anche riesce a raggiungere questa seconda fase, l'artista continua tuttavia coraggiosamente a tentare. Pochi momenti di comunicazione con il mondo valgono la pena, perché è un mondo per altri, un'eredità per altri, un dono. Ma scriviamo anche per accrescere la nostra consapevolezza della vita. Scriviamo per lusingare e incantare e consolare altri. Scriviamo per fare una serenata ai nostri amanti. Scriviamo per gustare la vita due volte, nell'istante presente e nel ricordo. Scriviamo, come Proust, per rendere tutto eterno, e per convincere noi stessi che è eterno. Scriviamo per poter trascendere la nostra vita, per arrivare al di là di essa. Scriviamo per insegnare a noi stessi a parlare con gli altri, per testimoniare il viaggio nel labirinto. Scriviamo per ampliare il nostro mondo quando ci sentiamo soffocati, o limitati, o soli. Scriviamo come gli uccelli cantano, come il selvaggio danza i suoi rituali. Se nella scrittura non respiri, se non piangi, se non canti, allora non scrivere, perché la nostra cultura non contempla alcuna utilità per la scrittura. Quando non scrivo, sento che il mio mondo si restringe. È come se fossi in prigione. Sento che ho perso il mio fuoco e il mio colore. Deve essere una necessità, come il mare ha bisogno di incresparsi, e io questo lo chiamo respirare”.

Il mare e il respiro. Il vento e le nuvole. I libri che amo, il temporale quotidiano che si affaccia sull’orizzonte. Il suono della tua voce che mi accarezza, la tua voce così amata.

Non occorre molto per essere felici.



La citazione di Anaïs Nin è tratta da La mistica del sesso, traduzione di Anna Chiara Gisotti
Fazi editore 1997

La citazione di Irène Némirovsky è tratta dal libro di Olivier Philipponnat e Patrick Lienhardt
La vita di Irène Némirovsky, traduzione di Graziella Cillario Adelphi 2009

La poesia di Mark Strand è tratta dalla raccolta L’inizio di una sedia. Traduzione di Damiano Abeni, Donzelli Poesia 1999. Qui sotto la versione originale.
§

Is it you standing among the olive trees
Beyond the courtyard? You in the sunlight
Waving me closer with one hand while the other

Shields your eyes from the brightness that turns
All that is not you dead white? Is it you
Around whom the leaves scatter like foam?

You in the murmuring night that is scented
With mint and lit by the distant wilderness
Of stars? is it you? Is it really you

Rising from the script of waves, the lenght
Of your body casting a sudden shadow over my hand
So that I feel how cold it is as it moves

Over the page? You leaning down and putting
Your mouth against mine so I should know
That a kiss is only the beginning

Of what until now we could only imagine?
Is it you or the long compassionate wind
That whispers in my ear: alas, alas?


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