Inutile
che io continui a cercare, alla Casa delle Stelle non c’è nessuno. Il
misterioso architetto e Soledad sono scomparsi, così come lo sono la sacerdotessa
e il sapiente guerriero, il re e la regina. Oggi nessuno pare abbia voglia di
raccontarsi, così apro il mio quaderno delle poesie e trascrivo l’ultima che l’architetto
ha copiato e mi ha lasciato leggere. È una poesia che già conosco e che amo
moltissimo. Le poesie ci svelano ogni volta a noi stessi e ci portano a oscillare
nel misterioso equilibrio tra intimità e socialità.
Qui,
nella Casa delle Parole, spesso trovo un eccesso di presenze e confidenza, come
se tutti non fossimo altro che una persona frammentata nelle altre. Scrivere è
anche questo, essere se stessi nella pelle di un altro. La poesia in particolare,
non ti offre solo la pelle ma anche lo sguardo e l’udito di altre persone. La poesia
oscilla sempre tra questi due sensi, a volte prevale lo sguardo, quindi le
metafore, a volte l’udito, quindi il ritmo. Un gioco sottile di pieni e vuoti,
di suggestioni e rimandi, che fanno di una poesia una poesia. Sembra banale,
sembra facile, ma non basta mettere un po’ di a capo per fare una poesia. La prova?
Leggiamo ad alta voce, gustiamo le metafore, sentiamo il ritmo che ci incalza,
le sillabe che si chiamano l’un l’altra. Quanta poesia contemporanea ci fa
sentire quel brivido lungo la colonna vertebrale? L’arte, tutta l’arte,
trasforma l’esperienza personale in un’esperienza di portata universale.
Leggiamo
insieme questa poesia di Mark Strand.
XX
Sei tu
tra gli ulivi
al di
là del cortile? Tu nel sole che mi fai cenno
di
avvicinarmi con una mano mentre con l’altra
ti
scherma gli occhi dalla luminosità che trasforma
tutto
ciò che non è te in bianco assoluto? Sei tu
intorno
a cui le foglie si spargono come spuma?
Tu
nella notte sussurrante che profuma
di
menta ed è illuminata dal lontano territorio incontaminato
delle
stelle? Sei tu? Sei davvero tu?
che ti innalzi
sulla calligrafia delle onde, l’estensione
del tuo
corpo che mi getta un’ombra improvvisa sulla mano
così
che sento quant’è fredda nel muoversi
sulla
pagina? Tu che ti chini e posi
la
bocca sulla mia in modo io sappia
che un
bacio è solo l’inizio
di ciò
che finora potevamo solo immaginare?
Sei tu
o è il protratto vento pietoso
che mi
mormora all’orecchio: ahimè, ahimè?
Vediamo
il cortile e gli ulivi, la notte, le stelle, sentiamo il profumo di menta, l’infrangersi
delle onde sulla riva che diventa la mano che scrive, mentre il vento ricalca
la voce della creatura amata e il poeta teme che sia solo un’illusione.
Ogni forma
d’arte è un’illusione e una magia, una lotta contro il tempo e la perdita.
Gli scrittori
e i poeti, forse ancor più che gli altri artisti, hanno una vita che si sdoppia
e raddoppia. Vivono, poi guardano, poi tornano a guardare, si fermano a guardare
e contemplano. Poi scrivono e la vita si trasferisce sulla carta e viene
liberata di nuovo quando una lettrice o un lettore leggono, si emozionano, copiano,
regalano i versi singoli o tutto il libro.
La vita
non è mai “così com’è” sulla carta.
“La scrittrice
Irène Némirovsky, ha spiegato spesso che, prima di iniziare a scrivere,
riempiva interi quaderni di dati biografici su ogni singolo personaggio - la
fase che lei definiva la «vita anteriore del romanzo». Poi rileggeva,
censurando e commentando, ed esprimendo appassionanti riflessioni sul suo
mestiere di scrittrice”.
Anaïs
Nin, un’altra scrittrice che ho molto amato, diceva che scriviamo per gustare
la vita due volte.
“Perché
si scrive è una domanda a cui posso rispondere facilmente, dato che me lo sono
chiesto così spesso. Penso che un autore scriva perché ha bisogno di creare un
mondo in cui poter vivere. Io non potrei mai vivere in nessuno dei mondi che mi
sono stati offerti: il mondo dei miei genitori, il mondo della guerra, il mondo
della politica. Dovevo crearne uno tutto mio, come un luogo, una regione,
un'atmosfera in cui poter respirare, regnare e ricrearmi quando ero spossata
dalla vita. Questa, credo, è la ragione di ogni opera d'arte. L'artista è
l'unico a sapere che il mondo è una creazione individuale, che c'è una scelta
da fare, una selezione. E se anche riesce a raggiungere questa seconda fase,
l'artista continua tuttavia coraggiosamente a tentare. Pochi momenti di comunicazione
con il mondo valgono la pena, perché è un mondo per altri, un'eredità per
altri, un dono. Ma scriviamo anche per accrescere la nostra consapevolezza
della vita. Scriviamo per lusingare e incantare e consolare altri. Scriviamo
per fare una serenata ai nostri amanti. Scriviamo per gustare la vita due
volte, nell'istante presente e nel ricordo. Scriviamo, come Proust, per rendere
tutto eterno, e per convincere noi stessi che è eterno. Scriviamo per poter
trascendere la nostra vita, per arrivare al di là di essa. Scriviamo per
insegnare a noi stessi a parlare con gli altri, per testimoniare il viaggio nel
labirinto. Scriviamo per ampliare il nostro mondo quando ci sentiamo soffocati,
o limitati, o soli. Scriviamo come gli uccelli cantano, come il selvaggio danza
i suoi rituali. Se nella scrittura non respiri, se non piangi, se non canti,
allora non scrivere, perché la nostra cultura non contempla alcuna utilità per
la scrittura. Quando non scrivo, sento che il mio mondo si restringe. È come se
fossi in prigione. Sento che ho perso il mio fuoco e il mio colore. Deve essere
una necessità, come il mare ha bisogno di incresparsi, e io questo lo chiamo
respirare”.
Il
mare e il respiro. Il vento e le nuvole. I libri che amo, il temporale
quotidiano che si affaccia sull’orizzonte. Il suono della tua voce che mi
accarezza, la tua voce così amata.
Non
occorre molto per essere felici.
La
citazione di Anaïs Nin è tratta da La
mistica del sesso, traduzione di Anna Chiara Gisotti
Fazi
editore 1997
La
citazione di Irène Némirovsky è tratta dal
libro di Olivier Philipponnat e Patrick Lienhardt
La vita di Irène Némirovsky, traduzione di Graziella Cillario Adelphi 2009
La vita di Irène Némirovsky, traduzione di Graziella Cillario Adelphi 2009
La
poesia di Mark Strand è tratta dalla raccolta L’inizio di una sedia. Traduzione di Damiano Abeni, Donzelli Poesia
1999. Qui sotto la versione originale.
§
Is it you standing among the olive trees
Beyond the courtyard? You in the sunlight
Waving me closer with one hand while the other
Shields your eyes from the brightness that turns
All that is not you dead white? Is it you
Around whom the leaves scatter like foam?
You in the murmuring night that is scented
With mint and lit by the distant wilderness
Of stars? is it you? Is it really you
Rising from the script of waves, the lenght
Of your body casting a sudden shadow over my hand
So that I feel how cold it is as it moves
Over the page? You leaning down and putting
Your mouth against mine so I should know
That a kiss is only the beginning
Of what until now we could only imagine?
Is it you or the long compassionate wind
That whispers in my ear: alas, alas?
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