Sia
grazie per questo giorno uguale al giorno prima, sia grazie per questo giorno
diverso da quello prima, diverso da quello che sarà.
Ci nutriamo
di cambiamenti e desideri, vogliamo progredire, cambiamo il mondo, il mondo ci
cambia.
Non siamo
cambiati durante questa pandemia, non a livello sociale, non nei modelli
mentali introiettati.
Non bastano
poche settimane di isolamento sociale per cambiarci nel profondo.
Certo,
forse siamo tutti più soli, più nevrotici, più insoddisfatti e meno speranzosi,
meno fiduciosi, meno proiettati nel futuro.
Potevamo
affrontare diversamente quanto accaduto? L’emergenza sanitaria, la chiusura
delle scuole, delle fabbriche, dei teatri, cinema e musei, dei ristoranti, dei
bar. E migliaia di lavoratrici e lavoratori “smart” chiusi in casa a lavorare
grazie alle connessioni sempre disponibili. Condivido le affermazioni di chi
pensa che questo periodo, che ancora non è chiuso, sia stato un involontario e
immenso laboratorio sociale.
Il Novecento
è davvero finito adesso e ci ha messo vent'anni a chiudere i conti e ad
arrendersi a questo tempo nuovo e imperscrutabile.
Nella mia
bolla social gli amici oscillano tra la voglia irrefrenabile di uscire e la
pacata intenzione di restare chiusi in casa, al calduccio e al sicuro.
C’è chi
dorme troppo poco perché l’insonnia è peggiorata, chi dorme troppo per sfuggire
ai tentacoli del mondo.
Solo su
un tema incontro sempre molto pudore. Di sentimenti si parla, ma non d’amore,
non di passione. Le persone parlano di amore filiale, nei due sensi, della
gioia di ritrovare gli anziani genitori o di avere trascorso così tanto tempo
con i figli che, in tempi normali, sarebbero stati molto più tempo fuori.
Eppure,
è l’amore che ci dà l’energia di cominciare ogni nuovo giorno e di incantarci davanti
ai gelsomini, ai gatti e ai lupi.
Questa di
oggi è la centesima Cronaca dall’Anno senza Carnevale.
Ho deciso
di restare qui nella città assediata dai temporali, i miei coinquilini umani e
bestiali sono nella Casa ai piedi delle Montagne della Nebbia, stanno bene in
quella dimensione dove tutti i tempi non sono che un unico tempo e dove tutti
gli amori trovano quell’unico amore che conduce all’Eternità.
Abbiamo
molte storie ancora da scrivere e da ascoltare, l’architetto con il taccuino
rosso continua a trascrivere poesie, la sacerdotessa e il sapiente guerriero interrogano
le nuvole e i loro libri, il re e la regina hanno trovato il loro regno in quel
versante delle Montagne ed è un regno dove non ci sono sudditi e servitori, ma
solo loro due, giorno dopo giorno, in una quiete domestica e amorosa, più
appagante dell’esercizio del potere.
La maggior
parte degli scrittori che ha scritto durante le settimane di chiusura del
mondo, ha smesso subito, a maggio, di scrivere, e i loro diari e pensieri, sono
diventati libri già pubblicati. Il mondo digitale ha sbriciolato per sempre il
lungo percorso di storie e pensieri dalla mente alla mano, alla macchina da
scrivere, alla tipografia, ai caratteri a piombo, alla fatica della
composizione dalla prima parola vergata su carta, alla prima parola stampata. Si
può scrivere senza stare a pensarci molto grazie ai computer, si scrive e si
dimentica, dov’è finito il tempo della riflessione?
Consumiamo
libri e serie televisive senza prenderci il tempo necessario per entrare nelle
storie e restarci, ci disperdiamo sui social, dove il pensiero del momento
passa senza filtri e cerca consenso.
Con le
mie Cronache, che continuerò a scrivere, cerco il tempo lento della creazione e
del pensiero. In fin dei conti sono una ragazza del Novecento e il secolo più
lungo di tutti mi ha cesellata, piegata e poi liberata da un destino femminile
che decenni prima mi avrebbe sconfitta.
Amo scrivere
queste Cronache, portare dentro a ciascuna di esse, il mondo che ho conosciuto,
le persone che ho amato, i paesaggi, le case, i libri, le nuvole, il vento e la
pioggia.
Mano a
mano che scrivevo come un monaco amanuense, giorno dopo giorno, questa mia
forma di preghiera si è arricchita di incontri e inciampi, di promesse, di
notti lunghe a sognare, di albe brevi e rosate che mi hanno fatto respirare il
gusto del mondo.
I personaggi
immaginari e reali che popolano questi miei scritti mi hanno chiamata a questo
compito. Che mi piace e mi diverte.
Sono la
narratrice, quella che oscilla tra tutti i mondi e porta la poesia dove non ce
ne sarebbe mai stata.
Parti di
me e delle persone che amo, danno corpo e pensieri a quella folla variegata e
incantata di creature che popolano l’Altipiano della Luna e le sue molte case.
Questo non
è un commiato, ma il numero 100 aveva bisogno di una voce un po’ diversa anche
se ancora uguale.
Vi lascio
con una poesia e domani torneremo a sentire le voci di chi vive tra il mio mondo
dell’immaginazione e il mio mondo reale.
Nel centro del giardino
Non è
vuoto il cielo,
non è
vuoto il vento.
Azzurro
cangiante, bianco e
poi
argento, una striscia sottile
che
annuncia l’alba e cade
il
cielo che non è un tetto,
nessun
rifugio, ma solo il baluardo
estremo
dell’ombra e del buio
il vero
volto di ciò che chiamiamo
universo,
ed è notte prima che
si
pronunci il nome e le stelle
cadano
sulla cima degli alberi
in
questo giardino.
Corre,
si ferma, inciampa,
ha
odore di sale e miele
quest’aria,
ha profumo di
glicine
che dorme accanto
al pesco,
mentre il melograno
interroga
la stagione, incerto
com’è
nel suo fiorire, è fermo
come
ferme sono le foglie.
Che
grande responsabilità
dare
forma al creato agitando
stame,
pistillo e stelo. Anche
gli
alberi si piegano al suo
desiderio
perché la vera forma
emerge
solo dal contrasto, ora
lo so,
ora lo vedo, qui, ferma
nel
centro del giardino,
nel
cuore di questa estate
solo
annunciata.
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