martedì 16 giugno 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/100: ed è notte prima che si pronunci il nome

Sia grazie per questo giorno uguale al giorno prima, sia grazie per questo giorno diverso da quello prima, diverso da quello che sarà.

Ci nutriamo di cambiamenti e desideri, vogliamo progredire, cambiamo il mondo, il mondo ci cambia.

Non siamo cambiati durante questa pandemia, non a livello sociale, non nei modelli mentali introiettati.

Non bastano poche settimane di isolamento sociale per cambiarci nel profondo.

Certo, forse siamo tutti più soli, più nevrotici, più insoddisfatti e meno speranzosi, meno fiduciosi, meno proiettati nel futuro.

Potevamo affrontare diversamente quanto accaduto? L’emergenza sanitaria, la chiusura delle scuole, delle fabbriche, dei teatri, cinema e musei, dei ristoranti, dei bar. E migliaia di lavoratrici e lavoratori “smart” chiusi in casa a lavorare grazie alle connessioni sempre disponibili. Condivido le affermazioni di chi pensa che questo periodo, che ancora non è chiuso, sia stato un involontario e immenso laboratorio sociale.

Il Novecento è davvero finito adesso e ci ha messo vent'anni a chiudere i conti e ad arrendersi a questo tempo nuovo e imperscrutabile.

Nella mia bolla social gli amici oscillano tra la voglia irrefrenabile di uscire e la pacata intenzione di restare chiusi in casa, al calduccio e al sicuro.

C’è chi dorme troppo poco perché l’insonnia è peggiorata, chi dorme troppo per sfuggire ai tentacoli del mondo.

Solo su un tema incontro sempre molto pudore. Di sentimenti si parla, ma non d’amore, non di passione. Le persone parlano di amore filiale, nei due sensi, della gioia di ritrovare gli anziani genitori o di avere trascorso così tanto tempo con i figli che, in tempi normali, sarebbero stati molto più tempo fuori.

Eppure, è l’amore che ci dà l’energia di cominciare ogni nuovo giorno e di incantarci davanti ai gelsomini, ai gatti e ai lupi.

Questa di oggi è la centesima Cronaca dall’Anno senza Carnevale.

Ho deciso di restare qui nella città assediata dai temporali, i miei coinquilini umani e bestiali sono nella Casa ai piedi delle Montagne della Nebbia, stanno bene in quella dimensione dove tutti i tempi non sono che un unico tempo e dove tutti gli amori trovano quell’unico amore che conduce all’Eternità.

Abbiamo molte storie ancora da scrivere e da ascoltare, l’architetto con il taccuino rosso continua a trascrivere poesie, la sacerdotessa e il sapiente guerriero interrogano le nuvole e i loro libri, il re e la regina hanno trovato il loro regno in quel versante delle Montagne ed è un regno dove non ci sono sudditi e servitori, ma solo loro due, giorno dopo giorno, in una quiete domestica e amorosa, più appagante dell’esercizio del potere.

La maggior parte degli scrittori che ha scritto durante le settimane di chiusura del mondo, ha smesso subito, a maggio, di scrivere, e i loro diari e pensieri, sono diventati libri già pubblicati. Il mondo digitale ha sbriciolato per sempre il lungo percorso di storie e pensieri dalla mente alla mano, alla macchina da scrivere, alla tipografia, ai caratteri a piombo, alla fatica della composizione dalla prima parola vergata su carta, alla prima parola stampata. Si può scrivere senza stare a pensarci molto grazie ai computer, si scrive e si dimentica, dov’è finito il tempo della riflessione?

Consumiamo libri e serie televisive senza prenderci il tempo necessario per entrare nelle storie e restarci, ci disperdiamo sui social, dove il pensiero del momento passa senza filtri e cerca consenso.

Con le mie Cronache, che continuerò a scrivere, cerco il tempo lento della creazione e del pensiero. In fin dei conti sono una ragazza del Novecento e il secolo più lungo di tutti mi ha cesellata, piegata e poi liberata da un destino femminile che decenni prima mi avrebbe sconfitta.

Amo scrivere queste Cronache, portare dentro a ciascuna di esse, il mondo che ho conosciuto, le persone che ho amato, i paesaggi, le case, i libri, le nuvole, il vento e la pioggia.

Mano a mano che scrivevo come un monaco amanuense, giorno dopo giorno, questa mia forma di preghiera si è arricchita di incontri e inciampi, di promesse, di notti lunghe a sognare, di albe brevi e rosate che mi hanno fatto respirare il gusto del mondo.

I personaggi immaginari e reali che popolano questi miei scritti mi hanno chiamata a questo compito. Che mi piace e mi diverte.

Sono la narratrice, quella che oscilla tra tutti i mondi e porta la poesia dove non ce ne sarebbe mai stata.

Parti di me e delle persone che amo, danno corpo e pensieri a quella folla variegata e incantata di creature che popolano l’Altipiano della Luna e le sue molte case.

Questo non è un commiato, ma il numero 100 aveva bisogno di una voce un po’ diversa anche se ancora uguale.

Vi lascio con una poesia e domani torneremo a sentire le voci di chi vive tra il mio mondo dell’immaginazione e il mio mondo reale.


Nel centro del giardino

Non è vuoto il cielo,
non è vuoto il vento.
Azzurro cangiante, bianco e
poi argento, una striscia sottile
che annuncia l’alba e cade
il cielo che non è un tetto,
nessun rifugio, ma solo il baluardo
estremo dell’ombra e del buio
il vero volto di ciò che chiamiamo
universo, ed è notte prima che
si pronunci il nome e le stelle
cadano sulla cima degli alberi
in questo giardino.
Corre, si ferma, inciampa,
ha odore di sale e miele
quest’aria, ha profumo di
glicine che dorme accanto
al pesco, mentre il melograno
interroga la stagione, incerto
com’è nel suo fiorire, è fermo
come ferme sono le foglie.
Che grande responsabilità
dare forma al creato agitando
stame, pistillo e stelo. Anche
gli alberi si piegano al suo
desiderio perché la vera forma
emerge solo dal contrasto, ora
lo so, ora lo vedo, qui, ferma
nel centro del giardino,
nel cuore di questa estate
solo annunciata.


La poesia è tratta dalla mia ultima raccolta Un’estate invincibile. Atì editore 2019

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