domenica 14 giugno 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/98: Aria, steli verdi, la distesa del mare, il silenzio della domenica mattina


Camminavo nel bosco, da sola. Non ho mai avuto paura, il bosco mi era amico.

Di tanto in tanto il sentiero si biforcava e io seguivo la strada che mi chiamava in quel momento.

Non mi sono mai persa, nonostante il fitto fogliame e il sottobosco intramato di felci e frutti rossi.

Sentivo la voce del vento sussurrarmi all'orecchio storie antiche. Al vento rispondevano gli alberi con voci ancor più potenti.

In lontananza sentivo l’ululato dei lupi, i cervi scappavano e se anche non riuscivo a vederli, il rumore dei rami spezzati guidava il mio sguardo verso di loro.

Mangiavo more, ribes, qualche piccola fragola, poi, sempre, non importava quale sentiero io avessi imboccato, arrivavo alla mia radura segreta.

Il torrente che attraversava quella terra si addolciva sino a formare un piccolo lago che scendeva in forma di cascatella verso un declivio.

Negli anni avrei imparato a riconoscere ogni albero, ogni cespuglio, ogni fungo.

D’estate trovavo ristoro dalla calura dei campi intorno al mio villaggio, d’inverno ci andavo a portare fieno ai cervi e latte ai lupi.

Accanto alla cascatella un anfratto nella roccia, dall'entrata non molto larga che mimetizzai con pietre e rami, portava a una stanza naturale che l’acqua aveva scavato in chissà quanti millenni.

La volta altissima era illuminata da lame di luce che penetravano da fessure cui non potevo accedere.

Una polla di acqua freschissima mi permetteva di restare per ore a contemplare il gioco del sole nelle goccioline, a contarle, a tesserle con la forza del mio sguardo.

Ero solo una bambina di otto anni la prima volta che mi avventurai nel bosco. Era estate e fu il senso dell’acqua a guidarmi per il primo sentiero.

Forse vi ho già detto che sento l’acqua a distanza e questo sentire l’acqua nel cielo e nella terra è stata la prima rivelazione che mi ha portato a studiare le mappe della volta celeste e quelle della terra e del mare.

Da bambina mi stupiva che non esistessero mappe del fuoco, il quarto elemento, ma la presenza del fuoco non era costante e metteva a repentaglio gli altri elementi, soprattutto il mio amato bosco.

Quando una bambina perde l’innocenza e si arrende al suo ineluttabile diventare donna?

I segnali di cambiamento sono deboli, gli arti si allungano, il viso smagrisce, il ventre si liscia, tutte le rotondità dell’infanzia vengono meno.

Per gli uomini è diverso, di rado devono difendersi da sguardi avidi e predatori.

Quando leggevo i miti delle dee vergini, la cacciatrice Diana e la guerriera Atena, pensavo di voler essere come loro.

O come le ancelle che si trasformavano in alberi, in torrenti o in nuvole pur di sfuggire al desiderio feroce degli dèi e degli uomini.

Io capivo il desiderio di fuga e di trasformazione, ma i miti celano una verità troppo dura da accettare per la parte maschile del mondo.

Il desiderio delle donne è altrettanto feroce, ma la società, tutte le società si aspettano che noi impariamo a disciplinarlo e reprimerlo.

Fu alla fine di quel periodo durato qualche anno, quando il bosco era diventato la mia casa segreta, quando diventai una donna e scoprii la magia del mio corpo che sanguinava mentre io non morivo, che iniziai a sentire le voci delle creature del mito che davvero erano esistite e si erano trasformate in albero.

Erano una miriade, non saprei dirvi quante, mi avevano osservata in tutti quegli anni e ora mi parlavano.

Avevano storie simili da raccontare, tutte erano sfuggite a un destino femminile che non desideravano.

Lì nel bosco erano ormai al sicuro e di tanto in tanto il loro spirito vegetale si staccava dall’albero e si mostrava in forma umana.

Eternamente giovani e belle quelle ninfe, mi mettevano in guardia dai pericoli del mondo e dal mio stesso desiderio.

Erano discussioni molto animate e qualche volta anche le dee partecipavano al nostro simposio. Se Atena e Diana si schieravano sempre dalla parte delle fanciulle albero, Giunone e Venere tessevano le lodi dell’amore sensuale con qualche piccola variante. Giunone credeva nell’amore fedele e duraturo, alla Penelope per intenderci, mentre Venere si appagava nel suo desiderio feroce e nell’effetto che la sua bellezza faceva su uomini e dèi.

E l’amore carnale era alla fine l’unico modo per partorire un figlio, mortale o immortale a seconda del padre e della potenza della dea.

Insomma, non eravamo mai d’accordo per fortuna! Così le nostre conversazioni si dilungavano all’infinito.

Poi venne un giorno in cui mio padre e altri uomini del villaggio si addentrarono nel bosco per cercare alberi adatti a costruire mobili per il signore della regione.

Piansi, gridai, mi stracciai le vesti, svenni, tutto perché mio padre scegliesse di andare a cercare il legname verso le montagne. Ma il tempo era poco e i mobili dovevano essere pronti in non più di tre lune. Il signore si sposava e il suo palazzo aveva bisogno di mobili degni della signora che sarebbe arrivata.

Pensando di consolarmi mio padre mi disse che ero diventata davvero una bella ragazza e che era giunto il momento di trovarmi un marito. I pretendenti non sarebbero mancati una volta che mia madre mi avesse ripulita e abbigliata decorosamente.

Dovete sapere che, per non far notare i cambiamenti del mio corpo, mi bendavo il petto e tenevo i capelli strettamente legati per non mostrare quella massa di giaietto splendente che profumava di garofano e mirra.

Il mio svenimento aveva costretto mio padre a soccorrermi e, d’un tratto, lui smise di vedere la sua bambina selvatica e rimase turbato da quel corpo sconosciuto, glielo lessi negli occhi quando mi ripresi.

Mi tenni alla larga dal bosco per molte settimane, mio padre lavorò il legno di frassino che avevo molto amato per trarne due cassapanche. La prima era destinata alla nuova signora che sarebbe arrivata, la seconda era per me e avrebbe contenuto il mio corredo da sposa.

Finsi allegria per il dono, mentre il mio cuore sanguinava e piangeva. La cassapanca venne spostata nella stanza che dividevo con le mie sorelle più piccole.

Poi, una notte, accadde che nel silenzio del vento, sentii una voce a me nota e cara parlarmi nel buio.

- Cassandra, Cassandra, mi riconosci? La voce era di una ninfa millenaria che sapevo vivere in quell’albero.

- Sì, certo Dafne, ti riconoscerei ovunque, ma dove sei ora che il tuo albero è stato tagliato?

- Non devi preoccuparti per me, posso scegliere dove stare a mio piacimento. Ma ero curiosa di vedere il mondo e ho deciso di restare con te, almeno per un po’.

- Non ci sarà molto mondo da vedere, credimi. Mio padre vuole darmi in sposa e faccio sempre più fatica ad andare nel bosco. Mi sorvegliano ora e tutto diventa difficile.

- Se sei pronta a partire ti dirò come fare.

Agitata com’ero, nel buio annuii senza proferire parola.

- Domani vestiti da ragazzo e sali sul carro che porterà la cassapanca nuziale alla sposa. Il carrettiere si sentirà male e ti dirà di proseguire da solo. Tu fallo e prendi la strada che porta verso le Montagne della Nebbia. Non voltarti mai indietro, non salutare la tua famiglia. È l’unico modo che avrai per salvarti da un destino comune che altri vogliono scrivere per te.

Come potevo rifiutare una simile offerta? Le cose andarono come Dafne aveva prefigurato.

Sono arrivata alle Montagne della Nebbia e altre giovani donne arrivavano da tutti i punti cardinali, portate dai venti e dalle maree.

Ecco ora sapete come sono arrivata qui e il mio primo nome. La comunità felice di fanciulle durò qualche anno, poi ciascuna scelse il mondo dove abitare e la strada per arrivarci. Io oscillo da sempre tra questo Altipiano e la città non più silenziosa dove vive la narratrice quando non è qui con noi.

- Eccomi, rispose la narratrice – che ero io -, ma dimmi che ne è stato di quella eternamente giovane ninfa che ha guidato i tuoi passi verso la libertà?

- Per molto tempo ho dormito nella cassapanca che mi abbracciava come un’amica – rispose Cassandra. Ancora oggi lei custodisce il mio nome antico che vi ho rivelato e la fanciulla che ha scelto sia sapienza che amore.



“Vuoi vedere insieme a me? 
Il paesaggio dove si svolge questa musica? 
Aria, steli verdi, la distesa del mare, il silenzio della domenica mattina”.

Una voce ignota, recitò questi versi e la voce proveniva da una cassapanca intarsiata che nessuno di noi aveva mai notato.

Una nebbia leggera avvolse la stanza e una fanciulla prese forma davanti ai nostri occhi, assomigliava alla sacerdotessa nelle fattezze, salvo i capelli che non erano neri ma di un verde smeraldino.

- Non importa se il vostro istinto vi guida verso la sapienza o verso l’amore o verso entrambi. Quel che importa è la potenza della vostra vocazione, è l’unicità della vostra voce – ci disse Dafne la Ninfa prima di svanire.

Dal bosco dietro casa si levò un coro di risa e giovani voci femminili, la cassapanca era sparita e la sacerdotessa ci sorrideva.

- Venite, già conosciamo il paesaggio dove si svolge la musica, andiamo a respirare il mare.


La citazione è di Clarice Lispector, tratta da Acqua viva, traduzione di Roberto Francavilla. Adelphi 2017

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