giovedì 25 giugno 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/109: se la pagina scritta è un giardino, la poesia non è la rosa ma la terra feconda


Cammino guardando la terra, mi concentro sul movimento di un piede, sulla flessione, sulla forza e lo slancio.

Prima cammino sui prati intorno a casa, poi sul sentiero che porta alla spiaggia, continuo a camminare a piedi nudi.

Le tre sorelle sono sedute all’ombra di una grande tenda bianca. Riescono sempre a disporsi a trittico, sono bellissime e di nuovo tutte e tre stanno leggendo libri dalla copertina antica.

Il fratellino sta giocando con un cagnolino che non avevo ancora mai visto.

Le ragazze, all’unisono, mi fanno cenno di avvicinarmi.

La brezza marina agita i lembi delle tende e quelli dei loro lunghi abiti di lino. Tutto quel biancore mi trasmette una grande freschezza e anche un senso di pace che provo di rado.

Mi offrono da bere del tè ghiacciato con limone che accetto con piacere.

- Ho visto il vostro giardino, è davvero bello – mi dice una delle sorelle – non so chi di voi sia il felice giardiniere ma ha un tocco notevole.

- Non solo il tocco di un giardiniere, ma anche il tocco di un poeta. Sono deliziose tutto quelle piccole edere e le patate americane germogliate – aggiunge la seconda.

- Ascoltate cosa scriveva un filosofo e poeta del secolo scorso a proposito di giardini e poesia:


Se paragonassi una pagina di scrittura a un giardino, sarei portato a vedere in un primo momento nella rosa l'immagine stessa del componimento poetico. Ma sarebbe un grave errore.
La poesia è nemica dell'apparenza. È appartenenza immemoriale. Del giardino la poesia è piuttosto la terra feconda, umida: la miracolosa umidità del suolo nelle sue profondità. Può essere, anche, la linfa, le radici
”.

Trovo notevole questo scarto del pensiero, questo accantonare la bellezza struggente della rosa per riportare l’arte poetica alla sua germinazione dal profondo dell’essere.

Di quanto lavoro ha bisogno la terra per donarci i suoi frutti? Scavata, arata, sarchiata, inseminata e così via.

È profondo il legame tra i nostri passi e il nostro cibo, la terra è sostegno a entrambi e noi godiamo della sua fertilità.

In italiano, e non solo, terra è anche Terra, il nome del nostro pianeta, un nome antico che ha origini latine.

Sulla terra lasciamo le impronte dei nostri passi, la terra è casa, è ricchezza, nella terra affondano le radici degli alberi.

La terra è sposa del cielo quanto il mare, nella terra ritorneremo, la terra conserva le vestigia di epoche lontane e di civiltà scomparse.

La terra è la custode dell’anima umana, è bello toccarla e pensare a cosa potrebbe crescere.



Apro il taccuino e leggo alle sorelle una mia poesia di tanti anni fa.


La terra che era mondo

 

Ho scavato nella terra
con le mani già sporche 
d'inchiostro.

Ho scavato fino al giusto
fondo dove dimorano ora
le piccole radici
e racchiuso tutto intorno
quella terra che era mondo.

Le foglie si alzeranno
si apriranno verso le nuvole
invidiose del loro colore
desiderose di andare e stare.

A sugo quasi pronto spezzerò
qualche gambo e laverò
le foglie nell'acqua corrente.

L'estate è profumo di basilico
e ringhiera.



È il giorno giusto per leggerla perché è di nuovo estate anche se nessuno è ancora preparato a questo mondo mascherato. Non è davvero cambiato nulla, quel che siamo ha solo una diversa decorazione.

Una delle sorelle mi chiede di poter copiare la poesia e vuole anche sapere cosa sia una ringhiera perché non ne ha mai vista una.

Sento la città non più silenziosa sorridere alle mie spalle, tenace e fiera come una terra madre.

Domani torno a vedere come vanno le cose. Tra poco tornerò verso casa, voglio chiedere al misterioso architetto cos’è la terra per lui.


La mia poesia è tratta dalla raccolta Il calvario della rosa, Moretti&Vitali 2004

La citazione di Edmond Jabès è tratta dal volume Poesie per i giorni di pioggia e di sole, a cura di Chiara Agostini, Manni 2002



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