Dopo la
notte più corta dell’anno, l’alba arriva come ogni alba. Sfugge dalla vecchia
pelle il serpente dell’eternità e si abbevera nell’acqua dolce dietro le
colline.
I
fuochi del solstizio sono spenti, gli amanti giacciono ancora addormentati.
Dormono anche i lupi nella tana, le tre sorelle nella casa, il re e la regina,
la sacerdotessa e il sapiente guerriero.
Il
misterioso architetto è di nuovo solo, Soledad è andata via, tornerà, ma non ha
detto quando.
Siamo
svegli solo lui ed io, io cammino sui prati scintillanti di rugiada e vado a
sedermi in riva al mare. Lui lascia la Casa delle Stelle, il mosaico che
diventa via via più ampio, prende il taccuino rosso e viene a sedersi vicino a
me.
Il mare
ha ancora il colore dell’argento, il cielo pure, com’è strana la luce, come
sono lunghe le ombre.
L’uomo
delle Stelle apre il taccuino e legge:
“Ah, le mattine di
Gerusalemme! C'era una tale freschezza, una tale promessa, nella piena del
giorno, nelle pietre, che imparai presto a svegliarmi di buonora. Mi preparavo
un caffè, abbeveravo il cavallo e gli servivo il suo primo pasto quando Khalil
tardava.
Poi mi mettevo sui miei libri, sui miei scarabocchi. Così avevo ogni giorno due o tre ore limpide, miracolose, prima di iniziare una lunga giornata all'ospedale.
Il poco che sono riuscito a leggere e a scrivere lo devo a quelle mattine di Gerusalemme, a quelle albe della Giudea che d'estate cominciavano a spuntare verso le quattro”.
Poi mi mettevo sui miei libri, sui miei scarabocchi. Così avevo ogni giorno due o tre ore limpide, miracolose, prima di iniziare una lunga giornata all'ospedale.
Il poco che sono riuscito a leggere e a scrivere lo devo a quelle mattine di Gerusalemme, a quelle albe della Giudea che d'estate cominciavano a spuntare verso le quattro”.
Ho conosciuto questo poeta, racconta
l’uomo delle Stelle. Lavorava nell’ospedale di Gerusalemme quando io avevo la
mia libraria antiquaria non lontano da lì. È facile diventare amici, quando si amano i libri. Lui
passava quasi tutti i giorni a cercare libri, a salutarmi. A volte passava il
mattino prestissimo, in una di quelle giornate iniziate con la scrittura. Più
spesso passava di sera, prima di tornare a casa. Non sempre parlavamo, ci
piaceva condividere il silenzio, i passi delle belle donne, i ricordi di Byblos
dove entrambi avevamo vissuto, il tè alla menta, le icone russe, i ricordi di
infanzie che non si assomigliavano, ma ci avevano resi quasi uguali. Io vivevo
in un piccolo appartamento sopra la mia bottega, anzi, la casa era tutta una
bottega. Comperavo libri a peso, a volte, gente che emigrava verso l’America o
tornava a cercare gli antenati in Europa. Tenevo libri in molte più lingue
delle cinque o sei che parlavo all’epoca.
Quando hai amato uno
scrittore o un poeta è più semplice ritrovare la sua voce nella memoria. Il mio
amico mi segue nei suoi libri, che sono tra quelli che ho portato con me quando
ho lasciato Gerusalemme. E la sua voce è viva come se ci fossimo parlati questa
mattina.
cosa risuona sotto le
arcate del volo
che non si può
intendere, né vedere?
il desiderio, forse,
d’essere uno –
comprendere veramente
cosa sia essere qui
nuvola, rondone, uomo o
sasso –
è così nei momenti più
semplici
che il dire si radica
nel proprio vivere –
possa il sapore del
giorno nella gola
trasportato per
l’apertura trovata
rinascere per altri tra
le erbe –
- Perché avete lasciato
Gerusalemme? Pare che entrambi siate stati felici laggiù.
- È vero, sono stato felice,
ma la troppa bellezza stravolge l’anima. Non si può guardare il sole a occhio nudo,
così è per la bellezza. Ci vuole un filtro, perché altrimenti dopo un po’ si
impazzisce. Quanto potresti resistere a guardare ogni giorno la Gioconda o la
Cappella Sistina o gli iris di Van Gogh? Apprezzo di più la bellezza di
Gerusalemme ora che sono lontano, ora che non respiro più quelle mattine di
luce e non vago nel mercato della Via Crucis e mangio dolci fritti imbevuti di
miele. Posso immaginare i tetti, la Moschea della Roccia, il Muro del Pianto e
ritornare sui miei passi ogni volta che lo desidero. La mia bottega ricolma di
libri è aperta per il mio amico, conosco bene ogni libro tra quelli che ho
anche solo sfogliato e poi classificato. Ma la grande gioia era aprire un libro
a caso tra quelli delle stanze posteriori e scoprire un tesoro inaspettato. Il mio
amico era uno di quei clienti che aveva fiuto per i libri imperdibili, quante
volte è tornato dal retrobottega con un volume che mi avrebbe fatto tremare le
mani. Poi un giorno mi ha portato le sue poesie ebbre di luce gerosolimitana,
dei mari della Grecia dove il blu e il rosso si confondono ancora oggi. Quando è
partito da Gerusalemme, si è trasferito a lavorare all’ospedale di Tunisi ed è
andato a vivere con la sua seconda moglie nel villaggio di Sidi Bou Saïd in una
casa non tanto grade ma circondata da un giardino rigoglioso e dove gli uccelli
accompagnavano la sua scrittura. Ma, soprattutto, era la vista del mare,
instancabile, che lo accompagnava al mattino poco dopo l’alba e poi la sera
quando tornava con negli occhi le nuove storie umane che aveva incrociato all’ospedale.
Scrivere era il primo rimedio per le ferite dell’anima, viaggiare il modo per incontrare
se stesso sulle rive di quei mari cantati dai miti antichi.
Lo guardo mentre lui non
mi sta guardando, è una biblioteca vivente il mio misterioso architetto.
- Raccontami ancora di
lui, saprai altre storie, non è vero?
- Non oggi, cara
narratrice. Adesso devo guardare il nostro mare e scoprire se anche qui, tra i
tuoi ricordi e i tuoi desideri, ci sono miti che stanno nascendo.
Chiude il taccuino e si
sdraia con la schiena un po’ rialzata contro la sua borsa di cuoio.
Faccio altrettanto, non
lo vedo più. Vedo soltanto il mare e il cielo, l’orizzonte netto che li unisce,
il mare è un cielo capovolto, il cielo è un mare capovolto.
Le storie diventano miti
quando iniziamo a credere che siano accadute davvero o quando sappiamo che
esistono solo in un racconto?
Lascio che i miei
pensieri cadano nello sciabordio delle onde, il mio architetto misterioso
recita questi versi:
Ecco delle mani
posale su un breve
spasmo del tuo corpo
con un vaso di basilico
e lo spazio scavato d’uccelli
quando all’alba sui
nostri corpi bagnati
le dita odorano d’origano.
Ho solamente cose
semplicissime
il sole si è stagliato
poco a poco come
mia madre tagliava il
pane
noi mettiamo la minestra
sulla tavola
(fuori le cose che
cadono lentamente
il gelsomino, la neve, l’infanzia)
gusto di peperoncino
rosso e denti sani
i corpi ci tengono caldi
ancora per un po’
nell’età avanzata della
notte.
Le poesie di questa Cronaca
105 sono del poeta Lorand Gaspar, del quale Maria Luisa Vezzali ha curato l’antologia
Conoscenza della luce. Donzelli 2006.
Gaspar è anche il protagonista del racconto dell’architetto delle Stelle. Forse,
un giorno, si sono incontrati davvero o forse si incontreranno. Qui, ai piedi
delle Montagne della Nebbia, il tempo si piega come piace a lui, non come lo
pensiamo noi.
Voici des mains
Pose-les dans une brève secousse de ton corps
avec un pot de basilic
et l’espace fouillé des oiseaux,
quand l’aube sur nos corps mouillés
les doigts sentent l’origan.
J’ai seulement des choses très simples
le soleil s’est découpé
peu à peu comme
ma mère découpait le
pain
nous mettons la soupe
sur la table
(ces choses au-dehors qui tombent lentement,
le jasmin, la neige,
l’enfance)
goût de piments rouges et de dents heureuses
nos corps nous tiennent encore chaud quelque temps
dans l’âge avancé de la
nuit.
quoi résonne sous les
arches du vol
qu'on ne peut entendre,
ni voir?
le désir, peut-être, d'y
être uni -
comprendre vraiment ce
qu'est être ici
nuage, martinet, homme ou caillou -
c'est ainsi dans le moments les plus simples
que le dire s'enracine
en son vivre -
puisse la saveur du jour
dans la gorge
portée par l'ouverture
trouvée,
pour
d'autres parmi les herbes renaître
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