domenica 21 giugno 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/105: le cose che cadono lentamente, il gelsomino, la neve, l’infanzia

Dopo la notte più corta dell’anno, l’alba arriva come ogni alba. Sfugge dalla vecchia pelle il serpente dell’eternità e si abbevera nell’acqua dolce dietro le colline.

I fuochi del solstizio sono spenti, gli amanti giacciono ancora addormentati. Dormono anche i lupi nella tana, le tre sorelle nella casa, il re e la regina, la sacerdotessa e il sapiente guerriero.

Il misterioso architetto è di nuovo solo, Soledad è andata via, tornerà, ma non ha detto quando.

Siamo svegli solo lui ed io, io cammino sui prati scintillanti di rugiada e vado a sedermi in riva al mare. Lui lascia la Casa delle Stelle, il mosaico che diventa via via più ampio, prende il taccuino rosso e viene a sedersi vicino a me.

Il mare ha ancora il colore dell’argento, il cielo pure, com’è strana la luce, come sono lunghe le ombre.

L’uomo delle Stelle apre il taccuino e legge:

“Ah, le mattine di Gerusalemme! C'era una tale freschezza, una tale promessa, nella piena del giorno, nelle pietre, che imparai presto a svegliarmi di buonora. Mi preparavo un caffè, abbeveravo il cavallo e gli servivo il suo primo pasto quando Khalil tardava.
Poi mi mettevo sui miei libri, sui miei scarabocchi. Così avevo ogni giorno due o tre ore limpide, miracolose, prima di iniziare una lunga giornata all'ospedale.
Il poco che sono riuscito a leggere e a scrivere lo devo a quelle mattine di Gerusalemme, a quelle albe della Giudea che d'estate cominciavano a spuntare verso le quattro”.

Ho conosciuto questo poeta, racconta l’uomo delle Stelle. Lavorava nell’ospedale di Gerusalemme quando io avevo la mia libraria antiquaria non lontano da lì. È facile diventare amici, quando si amano i libri. Lui passava quasi tutti i giorni a cercare libri, a salutarmi. A volte passava il mattino prestissimo, in una di quelle giornate iniziate con la scrittura. Più spesso passava di sera, prima di tornare a casa. Non sempre parlavamo, ci piaceva condividere il silenzio, i passi delle belle donne, i ricordi di Byblos dove entrambi avevamo vissuto, il tè alla menta, le icone russe, i ricordi di infanzie che non si assomigliavano, ma ci avevano resi quasi uguali. Io vivevo in un piccolo appartamento sopra la mia bottega, anzi, la casa era tutta una bottega. Comperavo libri a peso, a volte, gente che emigrava verso l’America o tornava a cercare gli antenati in Europa. Tenevo libri in molte più lingue delle cinque o sei che parlavo all’epoca.
Quando hai amato uno scrittore o un poeta è più semplice ritrovare la sua voce nella memoria. Il mio amico mi segue nei suoi libri, che sono tra quelli che ho portato con me quando ho lasciato Gerusalemme. E la sua voce è viva come se ci fossimo parlati questa mattina.


cosa risuona sotto le arcate del volo
che non si può intendere, né vedere?
il desiderio, forse, d’essere uno –

comprendere veramente cosa sia essere qui
nuvola, rondone, uomo o sasso –

è così nei momenti più semplici
che il dire si radica nel proprio vivere –

possa il sapore del giorno nella gola
trasportato per l’apertura trovata
rinascere per altri tra le erbe –


- Perché avete lasciato Gerusalemme? Pare che entrambi siate stati felici laggiù.

- È vero, sono stato felice, ma la troppa bellezza stravolge l’anima. Non si può guardare il sole a occhio nudo, così è per la bellezza. Ci vuole un filtro, perché altrimenti dopo un po’ si impazzisce. Quanto potresti resistere a guardare ogni giorno la Gioconda o la Cappella Sistina o gli iris di Van Gogh? Apprezzo di più la bellezza di Gerusalemme ora che sono lontano, ora che non respiro più quelle mattine di luce e non vago nel mercato della Via Crucis e mangio dolci fritti imbevuti di miele. Posso immaginare i tetti, la Moschea della Roccia, il Muro del Pianto e ritornare sui miei passi ogni volta che lo desidero. La mia bottega ricolma di libri è aperta per il mio amico, conosco bene ogni libro tra quelli che ho anche solo sfogliato e poi classificato. Ma la grande gioia era aprire un libro a caso tra quelli delle stanze posteriori e scoprire un tesoro inaspettato. Il mio amico era uno di quei clienti che aveva fiuto per i libri imperdibili, quante volte è tornato dal retrobottega con un volume che mi avrebbe fatto tremare le mani. Poi un giorno mi ha portato le sue poesie ebbre di luce gerosolimitana, dei mari della Grecia dove il blu e il rosso si confondono ancora oggi. Quando è partito da Gerusalemme, si è trasferito a lavorare all’ospedale di Tunisi ed è andato a vivere con la sua seconda moglie nel villaggio di Sidi Bou Saïd in una casa non tanto grade ma circondata da un giardino rigoglioso e dove gli uccelli accompagnavano la sua scrittura. Ma, soprattutto, era la vista del mare, instancabile, che lo accompagnava al mattino poco dopo l’alba e poi la sera quando tornava con negli occhi le nuove storie umane che aveva incrociato all’ospedale. Scrivere era il primo rimedio per le ferite dell’anima, viaggiare il modo per incontrare se stesso sulle rive di quei mari cantati dai miti antichi.

Lo guardo mentre lui non mi sta guardando, è una biblioteca vivente il mio misterioso architetto.

- Raccontami ancora di lui, saprai altre storie, non è vero?

- Non oggi, cara narratrice. Adesso devo guardare il nostro mare e scoprire se anche qui, tra i tuoi ricordi e i tuoi desideri, ci sono miti che stanno nascendo.

Chiude il taccuino e si sdraia con la schiena un po’ rialzata contro la sua borsa di cuoio.

Faccio altrettanto, non lo vedo più. Vedo soltanto il mare e il cielo, l’orizzonte netto che li unisce, il mare è un cielo capovolto, il cielo è un mare capovolto.

Le storie diventano miti quando iniziamo a credere che siano accadute davvero o quando sappiamo che esistono solo in un racconto?

Lascio che i miei pensieri cadano nello sciabordio delle onde, il mio architetto misterioso recita questi versi:


Ecco delle mani
posale su un breve spasmo del tuo corpo
con un vaso di basilico
e lo spazio scavato d’uccelli
quando all’alba sui nostri corpi bagnati
le dita odorano d’origano.

Ho solamente cose semplicissime
il sole si è stagliato poco a poco come
mia madre tagliava il pane
noi mettiamo la minestra sulla tavola
(fuori le cose che cadono lentamente
il gelsomino, la neve, l’infanzia)
gusto di peperoncino rosso e denti sani
i corpi ci tengono caldi ancora per un po’
nell’età avanzata della notte.



Le poesie di questa Cronaca 105 sono del poeta Lorand Gaspar, del quale Maria Luisa Vezzali ha curato l’antologia Conoscenza della luce. Donzelli 2006. Gaspar è anche il protagonista del racconto dell’architetto delle Stelle. Forse, un giorno, si sono incontrati davvero o forse si incontreranno. Qui, ai piedi delle Montagne della Nebbia, il tempo si piega come piace a lui, non come lo pensiamo noi.


Voici des mains
Pose-les dans une brève secousse de ton corps
avec un pot de basilic
et l’espace fouillé des oiseaux,
quand l’aube sur nos corps mouillés
les doigts sentent l’origan.

J’ai seulement des choses très simples
le soleil s’est découpé peu à peu comme
ma mère découpait le pain
nous mettons la soupe sur la table
(ces choses au-dehors qui tombent lentement,
le jasmin, la neige, l’enfance)
goût de piments rouges et de dents heureuses
nos corps nous tiennent encore chaud quelque temps
dans l’âge avancé de la nuit.




quoi résonne sous les arches du vol
qu'on ne peut entendre, ni voir?
le désir, peut-être, d'y être uni -

comprendre vraiment ce qu'est être ici
nuage, martinet, homme ou caillou -

c'est ainsi dans le moments les plus simples
que le dire s'enracine en son vivre -

puisse la saveur du jour dans la gorge
portée par l'ouverture trouvée,
pour d'autres parmi les herbes renaître

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