sabato 20 giugno 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/104: scegli l’estate, scegli la lavanda impazzita di luce


Oggi è il 20 giugno, il solstizio d’estate dell’anno senza Carnevale. Come onorare la nuova stagione? Inizio con una poesia scritta per l’estate dell’anno passato.



Il giorno fa germogliare l’estate

Le campane rintoccano le sei,
in giardino cantano gli uccellini
e il vento freme foglia a foglia,
mentre lontano latrano cani
sconosciuti. Se anche tu fossi
ancora più vicino, non ti conoscerei
più di quanto già non sappia.
Con lo sguardo sei intento a
tessere pensieri che cercano
parole cui lasciarsi andare, mentre
la gatta gioca sul davanzale e
il sole frantuma l’oscurità
di questa stanza, nel cuore
di un’estate che germoglia
nel giorno.



Tutto quel che so dell’estate è l’estate e nient’altro, l’estate che è luce e sbianca tutti i colori, l’estate che è caldo e culla i corpi, l’estate che è sogno e tiene le notti nell’incavo delle sue mani e le beve come fossero acqua dolce.

L’estate è una metafora prima ancora di essere esperienza, è la stagione piena di desiderio e amore.

L’estate non conosce la nostalgia che è cifra dell’autunno.

L’estate non riconosce gli alberi spogli che sono parole dell’inverno.

L’estate non legge i teneri germogli che sono annuncio della primavera.

In estate tutte le promesse dovranno essere compiute o non saranno mai più.

Stagione della pienezza, del tempo lento, della gioia, del puro esistere che si compie nella felicità dei corpi, nelle ciliegie mature che sono corpo della passione, nel giorno disteso che allunga braccia e gambe tra un’alba precoce e un tramonto pigro.

Ecco, ora siamo tutti distesi al sole. Chi nel giardino dietro casa, chi in riva al mare davanti alla Casa delle Sorelle, chi nella distesa della brughiera dove le nuvole scorrono più per abitudine che per necessità.

Sole, mare, onde, salsedine, alghe, spiaggia, sabbia, filo dell’orizzonte. Ogni mattina sceglievamo un angolo diverso della spiaggia e restavamo fino all’ultimo morso della fame prima di andare alla casetta di legno a mangiare pomodori, acciughe e pane appena sfornato. Solo una mattina io e la mia amica Lucia abbiamo saltato questi piccoli rituali per andare all’Isola dei Conigli. Acqua trasparente, i nidi delle tartarughe, sabbia fine, i sassi nell’acqua, un piede tagliato, il sangue rosso che tinge il mare, ma il colore torna subito chiaro. Il pensiero diventa tutt’uno con quello che stiamo guardando. Vale la pena essere nate anche solo per avere avuto una giornata come questa, avere visto questo mare ed esserci bagnate in queste acque. La salita per il ritorno è faticosa, ma procediamo passo dopo passo. In albergo ci aspettano ottimo cibo e vino e poi l’aria fresca della sera ci porterà verso il paese. Lampedusa, la sua parte luminosa, è racchiusa in questi frammenti e sarà nostra per sempre.

Resto con Lucia e suo marito Roberto, notevole pittore le cui opere ho accompagnato con diversi scritti. Una sera d’estate eravamo insieme a Chiavenna, dove lui è nato, e camminavamo sotto le stelle e io ho recitato alcuni versi e Roberto è salito in piedi sul cofano di un’auto e ci ha raccontato una delle sue mille storie.
Era estate in quelle valli impregnate di colori e di misteri che vivono nel suo occhio e da lì fino nelle sue tele.

L’estate in montagna è un ritorno in Val Zebrù, a una passeggiata sfiancante e poi un prato da favola, un ruscello e le nuvole e il sole e nient’altro occorreva. Anche sulle Dolomiti l’estate mi dava lo stesso senso di smarrimento, di una vastità imprigionata dal profilo delle montagne, di valli strette che si aprono, di altitudini da aquila e che non potrò mai scalare.

Forse per questo l’estate per me è soprattutto sinonimo di mare e di campagna.

Campi bruciati, i fichi maturi, la grande quercia e la sua grande ombra, i pomodori maturi nell’orto, il profumo di menta selvatica al tramonto, l’uva fragola nel pergolato davanti casa, il profumo del sapone di Marsiglia, i panni sciacquati nell’Acquaro di mia nonna, i buoi che si fermano a bere nell’abbeveratoio di pietra ogni pomeriggio alle sei. Le uova da raccogliere nel pollaio, le more mature sui gelsi, le prugne sul grande albero davanti al pollaio, il forno che lavora e nonna che sforna forme di pane, pita e frese. In un altro giardino perduto ho raccolto pomodori, peperoni e melanzane, basilico e menta. Ho raccolto albicocche, fichi e susine direttamente dall’albero e ho mangiato lasciando colare il succo lungo le mani, ubriaca di dolcezza e di sole.

Quello stordimento che si prova solo quando si esce dalla sfera solare e si rientra a casa per bere acqua fresca, lo stordimento e la libertà del nuoto prolungato, dell’ebbrezza delle bracciate e della gioia del ritmo che fende le acque.

Stagione della pienezza, delle promesse mantenute, sono nata all’inizio dell’estate in un anno del secolo scorso. A chi importano queste mie divagazioni? Per chi le scrivo?
Possiamo solo immaginare chi ci leggerà, ogni frase e ogni verso sono un messaggio in una bottiglia di vetro verde lanciata in mare. Le onde e le correnti la porteranno da qualche parte, qualcuno troverà la bottiglia e leggerà le mie parole. Sono amiche e amici soprattutto a leggermi ogni giorno dalla Cronaca numero uno. Ed è bello sapere che ci sono e mi leggono ed è per loro che continuo a scrivere e anche per me, è inutile che io faccia finta di niente, scrivo perché mi piace e mi diverte e mi riempie di gioia. Prima della pandemia avevo progettato di andare a Mosca e San Pietroburgo e poi in Grecia a Cefalonia. Forse tutto questo accadrà l’estate dell’anno nuovo, forse no. Quest’anno sarà mare di Liguria, forse, e forse la valle di Chiavenna. O forse saranno solo le Montagne della Nebbia - ma vi avevo detto che assomigliano moltissimo alle Dolomiti? - e l’unica compagnia saranno i miei coinquilini della Casa delle Parole e un lungo viaggio che faremo insieme. Forse faremo un lungo viaggio prima che l’estate arretri e lasci al fratello autunno il compito di arrossare le foglie e preannunciare il gelo.

E poi c’è la mia città non più silenziosa ma ogni giorno più vuota. Posso continuare a vagabondare tra i libri e la vita e sognare quello che la vita non mi ha concesso. Posso scegliere in che mondo stare.

Il congedo è di nuovo una poesia. Felice solstizio a tutti voi, bevete e respirate tutta la luce del giorno più lungo.



È tutto qui il tempo che viene


Scegli l’estate, scegli ogni giorno aperto
sul prato, la lavanda impazzita di luce,
il rosso sangue del melograno.
Senti quanto profuma il gelsomino
notturno, quanto il glicine sia pervicace,
questo lo senti?
L’ibisco rosso si annuncia con una macchia
nel verde profondo, lacero gioca con
l’oleandro.
È tutto qui il mio giardino, è tutto qui
il tempo che viene.


Lucia Tognoni è una delle mie più care amiche, il viaggio a Lampedusa lo abbiamo fatto insieme. Abbiamo lavorato fianco a fianco parecchi anni e grazie a lei ho conosciuto suo marito Roberto Plevano, il suo sito è www.plevano.com dove troverete un assaggio della sua opera, testi critici, il mio racconto la Città di Vetro e molto altro.

Le poesie sono tratte dal mio libro Un’estate invincibile, Atì editore 2019.

Il mare di cui scrivo è sempre il Mediterraneo, ma soprattutto il Mar Ligure, un pezzetto di Tirreno, il Basso Adriatico, il Mar Ionio.

I giardini e gli orti appartengono alla Calabria, alla Sicilia e alle Marche.

L’Acquaro era il torrentello che scorreva davanti alla casa di mia nonna paterna.

Le frese sono pite tagliate a metà, essiccate in forno, strofinate con l’aglio, passate sotto l’acqua, condite con pomodoro, olio, sale e origano



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