Oggi è
il 20 giugno, il solstizio d’estate dell’anno senza Carnevale. Come onorare la
nuova stagione? Inizio con una poesia scritta per l’estate dell’anno passato.
Il giorno fa germogliare l’estate
Le
campane rintoccano le sei,
in
giardino cantano gli uccellini
e il
vento freme foglia a foglia,
mentre
lontano latrano cani
sconosciuti.
Se anche tu fossi
ancora
più vicino, non ti conoscerei
più di
quanto già non sappia.
Con lo
sguardo sei intento a
tessere
pensieri che cercano
parole
cui lasciarsi andare, mentre
la
gatta gioca sul davanzale e
il sole
frantuma l’oscurità
di
questa stanza, nel cuore
di
un’estate che germoglia
nel
giorno.
Tutto
quel che so dell’estate è l’estate e nient’altro, l’estate che è luce e sbianca
tutti i colori, l’estate che è caldo e culla i corpi, l’estate che è sogno e
tiene le notti nell’incavo delle sue mani e le beve come fossero acqua dolce.
L’estate
è una metafora prima ancora di essere esperienza, è la stagione piena di
desiderio e amore.
L’estate
non conosce la nostalgia che è cifra dell’autunno.
L’estate
non riconosce gli alberi spogli che sono parole dell’inverno.
L’estate
non legge i teneri germogli che sono annuncio della primavera.
In estate
tutte le promesse dovranno essere compiute o non saranno mai più.
Stagione
della pienezza, del tempo lento, della gioia, del puro esistere che si compie
nella felicità dei corpi, nelle ciliegie mature che sono corpo della passione,
nel giorno disteso che allunga braccia e gambe tra un’alba precoce e un
tramonto pigro.
Ecco, ora
siamo tutti distesi al sole. Chi nel giardino dietro casa, chi in riva al mare
davanti alla Casa delle Sorelle, chi nella distesa della brughiera dove le
nuvole scorrono più per abitudine che per necessità.
Sole,
mare, onde, salsedine, alghe, spiaggia, sabbia, filo dell’orizzonte. Ogni mattina
sceglievamo un angolo diverso della spiaggia e restavamo fino all’ultimo morso
della fame prima di andare alla casetta di legno a mangiare pomodori, acciughe
e pane appena sfornato. Solo una mattina io e la mia amica Lucia abbiamo
saltato questi piccoli rituali per andare all’Isola dei Conigli. Acqua trasparente,
i nidi delle tartarughe, sabbia fine, i sassi nell’acqua, un piede tagliato, il
sangue rosso che tinge il mare, ma il colore torna subito chiaro. Il pensiero diventa
tutt’uno con quello che stiamo guardando. Vale la pena essere nate anche solo
per avere avuto una giornata come questa, avere visto questo mare ed esserci
bagnate in queste acque. La salita per il ritorno è faticosa, ma procediamo
passo dopo passo. In albergo ci aspettano ottimo cibo e vino e poi l’aria
fresca della sera ci porterà verso il paese. Lampedusa, la sua parte luminosa,
è racchiusa in questi frammenti e sarà nostra per sempre.
Resto con
Lucia e suo marito Roberto, notevole pittore le cui opere ho accompagnato con
diversi scritti. Una sera d’estate eravamo insieme a Chiavenna, dove lui è
nato, e camminavamo sotto le stelle e io ho recitato alcuni versi e Roberto è
salito in piedi sul cofano di un’auto e ci ha raccontato una delle sue mille
storie.
Era estate
in quelle valli impregnate di colori e di misteri che vivono nel suo occhio e
da lì fino nelle sue tele.
L’estate
in montagna è un ritorno in Val Zebrù, a una passeggiata sfiancante e poi un prato
da favola, un ruscello e le nuvole e il sole e nient’altro occorreva. Anche sulle
Dolomiti l’estate mi dava lo stesso senso di smarrimento, di una vastità imprigionata
dal profilo delle montagne, di valli strette che si aprono, di altitudini da
aquila e che non potrò mai scalare.
Forse per
questo l’estate per me è soprattutto sinonimo di mare e di campagna.
Campi bruciati,
i fichi maturi, la grande quercia e la sua grande ombra, i pomodori maturi nell’orto,
il profumo di menta selvatica al tramonto, l’uva fragola nel pergolato davanti
casa, il profumo del sapone di Marsiglia, i panni sciacquati nell’Acquaro di mia nonna, i buoi che si
fermano a bere nell’abbeveratoio di pietra ogni pomeriggio alle sei. Le uova da
raccogliere nel pollaio, le more mature sui gelsi, le prugne sul grande albero
davanti al pollaio, il forno che lavora e nonna che sforna forme di pane, pita
e frese. In un altro giardino perduto
ho raccolto pomodori, peperoni e melanzane, basilico e menta. Ho raccolto
albicocche, fichi e susine direttamente dall’albero e ho mangiato lasciando
colare il succo lungo le mani, ubriaca di dolcezza e di sole.
Quello stordimento
che si prova solo quando si esce dalla sfera solare e si rientra a casa per
bere acqua fresca, lo stordimento e la libertà del nuoto prolungato, dell’ebbrezza
delle bracciate e della gioia del ritmo che fende le acque.
Stagione
della pienezza, delle promesse mantenute, sono nata all’inizio dell’estate in
un anno del secolo scorso. A chi importano queste mie divagazioni? Per chi le
scrivo?
Possiamo
solo immaginare chi ci leggerà, ogni frase e ogni verso sono un messaggio in
una bottiglia di vetro verde lanciata in mare. Le onde e le correnti la
porteranno da qualche parte, qualcuno troverà la bottiglia e leggerà le mie
parole. Sono amiche e amici soprattutto a leggermi ogni giorno dalla Cronaca
numero uno. Ed è bello sapere che ci sono e mi leggono ed è per loro che
continuo a scrivere e anche per me, è inutile che io faccia finta di niente,
scrivo perché mi piace e mi diverte e mi riempie di gioia. Prima della pandemia
avevo progettato di andare a Mosca e San Pietroburgo e poi in Grecia a
Cefalonia. Forse tutto questo accadrà l’estate dell’anno nuovo, forse no. Quest’anno
sarà mare di Liguria, forse, e forse la valle di Chiavenna. O forse saranno
solo le Montagne della Nebbia - ma vi avevo detto che assomigliano moltissimo
alle Dolomiti? - e l’unica compagnia saranno i miei coinquilini della Casa
delle Parole e un lungo viaggio che faremo insieme. Forse faremo un lungo
viaggio prima che l’estate arretri e lasci al fratello autunno il compito di
arrossare le foglie e preannunciare il gelo.
E poi c’è
la mia città non più silenziosa ma ogni giorno più vuota. Posso continuare a
vagabondare tra i libri e la vita e sognare quello che la vita non mi ha concesso.
Posso scegliere in che mondo stare.
Il congedo
è di nuovo una poesia. Felice solstizio a tutti voi, bevete e respirate tutta
la luce del giorno più lungo.
È tutto qui il tempo che viene
Scegli
l’estate, scegli ogni giorno aperto
sul
prato, la lavanda impazzita di luce,
il
rosso sangue del melograno.
Senti
quanto profuma il gelsomino
notturno,
quanto il glicine sia pervicace,
questo
lo senti?
L’ibisco
rosso si annuncia con una macchia
nel
verde profondo, lacero gioca con
l’oleandro.
È tutto
qui il mio giardino, è tutto qui
il
tempo che viene.
Lucia
Tognoni è una delle mie più care amiche, il viaggio a Lampedusa lo abbiamo
fatto insieme. Abbiamo lavorato fianco a fianco parecchi anni e grazie a lei ho
conosciuto suo marito Roberto Plevano, il suo sito è www.plevano.com dove troverete un assaggio
della sua opera, testi critici, il mio racconto la Città di Vetro e molto altro.
Le
poesie sono tratte dal mio libro Un’estate
invincibile, Atì editore 2019.
Il mare
di cui scrivo è sempre il Mediterraneo, ma soprattutto il Mar Ligure, un
pezzetto di Tirreno, il Basso Adriatico, il Mar Ionio.
I
giardini e gli orti appartengono alla Calabria, alla Sicilia e alle Marche.
L’Acquaro era il torrentello che scorreva
davanti alla casa di mia nonna paterna.
Le frese sono pite tagliate a metà,
essiccate in forno, strofinate con l’aglio, passate sotto l’acqua, condite con
pomodoro, olio, sale e origano
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