venerdì 5 giugno 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/89: non vi sarà mai cosa che non sia una nube


Il brano di Montaigne che ho portato ieri alla Casa delle Stelle è stato letto, o almeno intravisto, perché anziché sopra il taccuino rosso sta sotto. Sono sicura che la sacerdotessa non sia passata da qui perché l’ho vista andare via questa mattina presto con il suo sapiente guerriero e non sono ancora ritornati.

Mi piacerebbe che vicino alla Casa delle Stelle sorgesse anche una Casa delle Nuvole, che sono un'altra delle mie passioni/ossessioni, forse ancor più forte di quella per le stelle. Così ho deciso di regalare al misterioso costruttore una poesia di Borges che si intitola Nubi, ma oggi gli porto solo la prima parte.


I.

Non vi sarà mai cosa che non sia
una nube. Lo sono le cattedrali
di vasta pietra e bibliche vetrate
che il tempo spianerà. Lo è l’Odissea,
che cambia come il mare. Se la riapri
sempre cambia qualcosa. Anche il riflesso
del tuo viso è già un altro nello specchio
ed il giorno è un dubbioso labirinto.
Siamo chi se ne va. La numerosa
nuvola che si disfa all'occidente
è nostra effigie. Incessantemente
la rosa si tramuta in altra rosa.
Sei nuvola, sei mare, sei l’oblio.
Sei anche tutto quello che hai smarrito.

                                        

Le nuvole mutano forma di continuo, le stelle ci guardano da un tempo remoto, la luce è una vibrazione che fa risplendere il mondo. Una casa nuova è il segno di un cambiamento, di un nuovo desiderio, mi chiedo quale sia il desiderio del misterioso costruttore e anche come riesca a venire a lavorare al suo primo mosaico, visto che neanche oggi l’ho visto passare. Le stelle binarie risplendono su un lato del soffitto, una brilla, l’altra è opaca. Ma basta spostarsi anche solo un poco perché la prospettiva cambi e ciò che era opaco diventi luminoso, mentre la prima luce si è raggomitolata nel tempo come un gatto nella sua cesta.

Fuori dalla Casa delle Stelle è una gloriosa giornata d’estate e l’unica nuvola che vedo è un sottile sbaffo di vapore evanescente. Guardandomi intorno ho finalmente capito cosa mi manca qui sull’Altipiano della Luna. Devo chiedere alla sacerdotessa di aiutarmi a tracciare un sentiero per il mare, un sentiero che ci accompagni verso una delle nostre forme preferite di contemplazione.

Mentre penso il mare, penso una poesia che ho scritto qualche anno fa. Torno in casa e apro il taccuino rosso. Spero che lui non si arrabbi se gli lascio questa poesia che è anche una confessione.


Le domande

Al mare chiedo quel che
non so rispondermi: le onde
sono interi versi, singole
parole o solo sillabe?
Il mare dice mutando
il suo colore di cielo riflesso
nel colore del vino che
ancora dorme negli acini
maturi. Interrogo il colore
dunque: è azzurro il verso,
verde la parola e schiuma
bianca la sillaba infranta?
L’azzurro si ripiega su se
stesso e mostra frammenti
di luce sulle onde ed è
la luce a scolpire il moto
dunque, il verso. Questa
è la poesia domando ancora?
Luce alta sull’acqua, colore
mutevole nell’occhio, una
voce che si tende e cade
ancora nello stesso luogo?
Il mare risponde, io depongo
la matita e giro il foglio.



Come si chiamerà il mare che fronteggia le Montagne della Nebbia? Vado a chiederglielo perché ancora non lo so.

Com'è bella quest’ora della sera nelle sere d’estate, com'è facile dimenticare le tribolazioni, i dolori, lo scontento, le ansie per il futuro.
Mi sdraio sulla spiaggia e guardo un po’ le nuvole che stanno arrivando e un po’ le onde.
Non vi è più separazione tra il mondo celeste e il mondo marino. Io abito entrambi i regni, galleggio sull'acqua come nel cielo. La luce mi sostiene, il vento mi sfiora.

Sono felice.


La poesia Le domande chiude la mia seconda raccolta Sillabario della Luce. Moretti&Vitali editore 2007

La poesia di Borges è tradotta da Domenico Porzio, in Tutte le opere. Volume I. Meridiani Mondadori, 1984

***

Nubes

                                           I
No habrá una sola cosa que no sea
una nube. Lo son las catedrales
de vasta piedra y bíblicos cristales
que el tiempo allanará. Lo es la Odisea,
que cambia como el mar. Algo hay distinto
cada vez que la abrimos. El reflejo
de tu cara ya es otro en el espejo
y el día es un dudoso laberinto.
Somos los que se van. La numerosa
nube que se deshace en el poniente
es nuestra imagen. Incesantemente
la rosa se convierte en otra rosa.
Eres nube, eres mar, eres olvido.
Eres también aquello que has perdido.

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