Avevo
un grillo, era giovane e canterino quando mi ha trovato nei campi dietro casa.
Mi ha
seguito come fosse stato un cagnolino e così gli ho preparato una gabbietta da
cui entrava e usciva a piacimento.
Durante
il giorno seguiva i miei ritmi e sembrava che provasse il mio stesso piacere nello
stare chiuso in casa, nell'ombra fresca delle pietre imbiancate a calce, ad
ascoltare il frinire delle cicale impazzite di luce.
Ogni tanto
una lama di sole attraversava la stanza e andava a rifrangersi sul dorso verde
dorato del mio grillo.
Una brezza
leggera si insinuava attraverso gli scuri chiusi e c’era quasi un’atmosfera
sottomarina nella mia stanza.
A volte
gli parlavo e lui rispondeva con un frinire sommesso, come a dirmi – sì, sì, ho
capito, ma tu non darti pena, il giorno è lungo, l’estate è appena iniziata,
cose accadranno, non hai certezze se non la mia. Canterò ogni notte nel campo
dietro casa e forse incontrerò una femmina e saremo felici. Di sicuro renderò felice
te che mi ascolti con tutta questa attenzione.
Avevo un
grillo, l’ho avuto per tutta quell'estate in cui da fanciullo sono diventato un
uomo.
Non sapevo
che trasformarsi in uomo sarebbe stato simile alla muta del serpente.
L’adolescenza
è tutto un contorcersi del corpo che cresce, dei desideri che tolgono il fiato,
dei pensieri che si affastellano e si confondono.
Poi un
giorno mi sono svegliato di colpo perché non ho più sentito il canto del mio
grillo.
Era l’alba,
il cielo rosato e azzurro scivolava fuori dalla pelle della notte e io mi sono
alzato e sono andato nel campo.
Nudo e
ancora un po’ addormentato, ho affrontato l’aria fresca e il campo era ricoperto
di rugiada e il profumo dei tigli sovrastava quello dei gelsomini.
Non c’era
traccia del mio grillo, né di nessun’altra creatura. Anche l’ultima civetta
dormiva già sui rami più alti della quercia.
Non aveva
senso continuare a cercare, sapevo che i grilli vivono una stagione o due al
massimo.
Poi ero
tornato in casa e l’ombra del grillo, ma solo la sua ombra, era nella
gabbietta. Mi stava salutando con un frinire sommesso.
Nel mio
letto vidi il mio corpo fanciullo che giaceva addormentato, i riccioli sudati
sulle tempie e sulla fronte, il petto non più esile e magro come durante l’infanzia,
il sesso celato da una piega del lenzuolo, le gambe muscolose che sembravano
pronte alla corsa.
Anche il
fanciullo che ero stato, era fatto d’ombra, capii che potevo scegliere se farlo
restare o accettare la sfida del tempo e camminare sulle mie gambe d’uomo.
Se fossi
tornato a letto il fanciullo mi avrebbe ripreso con sé e non avrei saputo per
quanto tempo ancora avrebbe spadroneggiato nel mio cuore.
Scelsi di
lasciarlo andare e aprii la gabbietta perché anche il grillo d’ombra potesse
raggiungere la sua nuova terra.
Il fanciullo
addormentato si mosse appena e poi iniziò a svanire, come la nebbia fa quando
la prima luce dell’alba la attraversa.
In terra,
accanto al letto, c’era un libro che non conoscevo: I viaggi e i ritorni di François-Marie Arouet nel primo secolo della
sua vita eterna.
Infilai
un paio di calzoni e una tunica corta. Passai dalla cucina dove mia madre aveva
preparato per me e i miei fratelli una colazione a base di formaggio, miele e
pane appena sfornato, una grande ciotola traboccava di ciliegie, albicocche e
pesche. Mangiai con gusto e salutai mia madre e i fratelli, cosa che il
fanciullo inquieto non faceva mai.
Vedete,
quel libro mi era arrivato da un tempo non ancora nato.
Perché François-Marie
Arouet sono io e a venti anni non mi ero mai mosso dalla mia casa natale.
E il
secolo, quel primo secolo che mi vide muovermi in questa realtà è quello che
per convenzione chiamiamo Diciassettesimo, come se mettere due punti nell'Eternità
la rendesse più comprensibile.
Dovevo scegliere
se leggere il libro o partire. Così ho preso le mie poche cose, ho messo nella
sacca un pezzo di pane e uno di formaggio. Mio padre aveva capito che stavo
partendo e mi diede la sua benedizione con cinque monete d’oro e dieci d’argento.
Mia madre non pianse, non era uso nella nostra famiglia mostrare le proprie
emozioni. I fratellini mi si aggrapparono alle braccia e mi chiesero di tornare
presto.
Anche
il libro venne riposto nella sacca che misi a tracolla. Decisi che ne avrei
letto la prima pagina solo dopo un mese da quel giorno miracoloso.
Cui ne
seguirono molti altri e un giorno dopo l’altro sono arrivato sino a quello in
cui ho conosciuto la mia amata sacerdotessa che mi ha chiamato a raggiungervi
qui, ai piedi delle Montagne della Nebbia, dove il tempo è tutti i tempi, dove
posso parlare con i lupi e le aquile e aggiungere ogni giorno qualche pagina al
nuovo volume dedicato al mio quinto secolo.
Ho compiuto
imprese, salvato una città e la sua immensa biblioteca. Ho attraversato il
tempo senza uccidere nessun uomo perché la pietà ha sempre guidato la mia mano
e la giustizia dell’Eterno non ha bisogno di prove crudeli in questa
dimensione.
Ora sapete
il mio nome e conoscete qualche frammento della mia vita. Molto più di quanto
io non abbia rivelato nel mio silenzioso e solitario andare.
So di
non essere l’unico uomo ad avere questa vita che segue tutte le vite accadute. Forse
tra voi c’è qualcun altro? Forse tra voi qualcuno vorrà confidare alla Casa
delle Parole la propria storia?
Qui possiamo
parlare e fidarci l’un l’altro. Il disegno misterioso che stiamo compiendo ha un
suo fine, forse insieme lo scopriremo.
Eccomi,
dunque. Sono François-Marie Arouet, il sapiente guerriero e qui vi aspetto.
Quando l’uomo
tacque, nessuno di noi voleva infrangere quell'atmosfera densa di magie e senso.
Ci aveva
rivelato il suo primo nome e le fiamme del tempo che lo avevano condotto sino a
noi.
Nessuno
parlò, ma fuori, nel campo dietro casa, si levò alto il frinire di un grillo.
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