sabato 13 giugno 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/97: le fiamme del tempo e il primo nome


Avevo un grillo, era giovane e canterino quando mi ha trovato nei campi dietro casa.

Mi ha seguito come fosse stato un cagnolino e così gli ho preparato una gabbietta da cui entrava e usciva a piacimento.

Durante il giorno seguiva i miei ritmi e sembrava che provasse il mio stesso piacere nello stare chiuso in casa, nell'ombra fresca delle pietre imbiancate a calce, ad ascoltare il frinire delle cicale impazzite di luce.

Ogni tanto una lama di sole attraversava la stanza e andava a rifrangersi sul dorso verde dorato del mio grillo.

Una brezza leggera si insinuava attraverso gli scuri chiusi e c’era quasi un’atmosfera sottomarina nella mia stanza.

A volte gli parlavo e lui rispondeva con un frinire sommesso, come a dirmi – sì, sì, ho capito, ma tu non darti pena, il giorno è lungo, l’estate è appena iniziata, cose accadranno, non hai certezze se non la mia. Canterò ogni notte nel campo dietro casa e forse incontrerò una femmina e saremo felici. Di sicuro renderò felice te che mi ascolti con tutta questa attenzione.

Avevo un grillo, l’ho avuto per tutta quell'estate in cui da fanciullo sono diventato un uomo.

Non sapevo che trasformarsi in uomo sarebbe stato simile alla muta del serpente.

L’adolescenza è tutto un contorcersi del corpo che cresce, dei desideri che tolgono il fiato, dei pensieri che si affastellano e si confondono.

Poi un giorno mi sono svegliato di colpo perché non ho più sentito il canto del mio grillo.

Era l’alba, il cielo rosato e azzurro scivolava fuori dalla pelle della notte e io mi sono alzato e sono andato nel campo.

Nudo e ancora un po’ addormentato, ho affrontato l’aria fresca e il campo era ricoperto di rugiada e il profumo dei tigli sovrastava quello dei gelsomini.

Non c’era traccia del mio grillo, né di nessun’altra creatura. Anche l’ultima civetta dormiva già sui rami più alti della quercia.

Non aveva senso continuare a cercare, sapevo che i grilli vivono una stagione o due al massimo.

Poi ero tornato in casa e l’ombra del grillo, ma solo la sua ombra, era nella gabbietta. Mi stava salutando con un frinire sommesso.

Nel mio letto vidi il mio corpo fanciullo che giaceva addormentato, i riccioli sudati sulle tempie e sulla fronte, il petto non più esile e magro come durante l’infanzia, il sesso celato da una piega del lenzuolo, le gambe muscolose che sembravano pronte alla corsa.

Anche il fanciullo che ero stato, era fatto d’ombra, capii che potevo scegliere se farlo restare o accettare la sfida del tempo e camminare sulle mie gambe d’uomo.

Se fossi tornato a letto il fanciullo mi avrebbe ripreso con sé e non avrei saputo per quanto tempo ancora avrebbe spadroneggiato nel mio cuore.

Scelsi di lasciarlo andare e aprii la gabbietta perché anche il grillo d’ombra potesse raggiungere la sua nuova terra.

Il fanciullo addormentato si mosse appena e poi iniziò a svanire, come la nebbia fa quando la prima luce dell’alba la attraversa.

In terra, accanto al letto, c’era un libro che non conoscevo: I viaggi e i ritorni di François-Marie Arouet nel primo secolo della sua vita eterna.

Infilai un paio di calzoni e una tunica corta. Passai dalla cucina dove mia madre aveva preparato per me e i miei fratelli una colazione a base di formaggio, miele e pane appena sfornato, una grande ciotola traboccava di ciliegie, albicocche e pesche. Mangiai con gusto e salutai mia madre e i fratelli, cosa che il fanciullo inquieto non faceva mai.

Vedete, quel libro mi era arrivato da un tempo non ancora nato.

Perché François-Marie Arouet sono io e a venti anni non mi ero mai mosso dalla mia casa natale.

E il secolo, quel primo secolo che mi vide muovermi in questa realtà è quello che per convenzione chiamiamo Diciassettesimo, come se mettere due punti nell'Eternità la rendesse più comprensibile.

Dovevo scegliere se leggere il libro o partire. Così ho preso le mie poche cose, ho messo nella sacca un pezzo di pane e uno di formaggio. Mio padre aveva capito che stavo partendo e mi diede la sua benedizione con cinque monete d’oro e dieci d’argento. Mia madre non pianse, non era uso nella nostra famiglia mostrare le proprie emozioni. I fratellini mi si aggrapparono alle braccia e mi chiesero di tornare presto.

Anche il libro venne riposto nella sacca che misi a tracolla. Decisi che ne avrei letto la prima pagina solo dopo un mese da quel giorno miracoloso.

Cui ne seguirono molti altri e un giorno dopo l’altro sono arrivato sino a quello in cui ho conosciuto la mia amata sacerdotessa che mi ha chiamato a raggiungervi qui, ai piedi delle Montagne della Nebbia, dove il tempo è tutti i tempi, dove posso parlare con i lupi e le aquile e aggiungere ogni giorno qualche pagina al nuovo volume dedicato al mio quinto secolo.

Ho compiuto imprese, salvato una città e la sua immensa biblioteca. Ho attraversato il tempo senza uccidere nessun uomo perché la pietà ha sempre guidato la mia mano e la giustizia dell’Eterno non ha bisogno di prove crudeli in questa dimensione.

Ora sapete il mio nome e conoscete qualche frammento della mia vita. Molto più di quanto io non abbia rivelato nel mio silenzioso e solitario andare.

So di non essere l’unico uomo ad avere questa vita che segue tutte le vite accadute. Forse tra voi c’è qualcun altro? Forse tra voi qualcuno vorrà confidare alla Casa delle Parole la propria storia?

Qui possiamo parlare e fidarci l’un l’altro. Il disegno misterioso che stiamo compiendo ha un suo fine, forse insieme lo scopriremo.

Eccomi, dunque. Sono François-Marie Arouet, il sapiente guerriero e qui vi aspetto.


Quando l’uomo tacque, nessuno di noi voleva infrangere quell'atmosfera densa di magie e senso.

Ci aveva rivelato il suo primo nome e le fiamme del tempo che lo avevano condotto sino a noi.

Nessuno parlò, ma fuori, nel campo dietro casa, si levò alto il frinire di un grillo.

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