Il
vento non ha una sola voce, geme, sbraita, ulula, soffia, alita e spettina, si
alza e cade, cala, cambia e cessa, infuria e fischia, mulina e si leva, spira e
tira, urla e gonfia e altro ancora.
Ma ogni
azione non dipende dalla sua intima natura.
Tutto ciò
che il vento fa, dipende dagli abbracci orizzontali e verticali “dell’aria che
spira” e dai corpi di carne o roccia, di acqua o di alberi, che incontra nel
suo cammino.
Gli ostacoli
e il movimento finiscono con il creare quel mondo di suoni che ci atterrisce o ci
incanta.
E se
osserviamo e ascoltiamo, capiremo che la voce del vento è la vera voce dei
corpi che incontra e avvolge, nient’altro.
Oggi ad
esempio ho osservato il vento giocare con i lupi e spettinarli, solleticarli,
spingerli a terra, così che nella loro pelliccia restassero imbrigliati i tanti
fiori che ogni sera portano a casa.
È un vento
amorevole quello dei lupi, così come lo sono loro e guardarli è una vera gioia.
Ora giocano
a nascondino nel boschetto di betulle e il vento li insegue e fa oscillare i
rami flessibili e rilucere la corteccia bianca a ogni gioco d’ombra delle
foglie.
Quando penso
alle betulle penso subito alla Russia, ho imparato a pensarlo dai libri. Aleksandr
Puškin scrisse a Anton Del’vig a proposito del suo viaggio in Crimea: «Abbiamo
oltrepassato le montagne e, il primo elemento che mi ha lasciato a bocca aperta
è stata una betulla, una betulla argentata! Provai una stretta al cuore: già
iniziavo a sentire la mancanza di quel tenero mezzogiorno, nonostante io mi
trovassi ancora nella Tauride e vedessi ancora pioppi e viti».
Alla Russia
associo la neve, il tè, la poesia, una rivoluzione, la lingua russa e quella
francese, le anime incandescenti.
Lascio i
lupi alla loro sarabanda amorosa e mi viene in mente Händel e la sua Sarabanda
che gli amanti del cinema hanno imparato ad amare in Barry Lindon e quel film
meraviglioso mi porta al Settecento, all’epoca dei Lumi, delle parrucche
incipriate e via a seguire Mozart, l’Enciclopedia, la lingua francese che adoro, le Bas Bleu, Diderot e
Voltaire e alla fine l’altra rivoluzione.
Ora guardo
la sacerdotessa e il suo sapiente guerriero, dovrò chiedere anche loro una
storia o molte storie da raccontare, per noi che qui, ai piedi delle Montagne
della Nebbia trascorriamo ormai così tanto tempo.
Cosa accade
quando il vento incontra un bosco di querce? Mi avvio per il nuovo sentiero e
intravedo in una piccola radura il re e la regina che indossano abiti di foggia
medioevale. Certo la quercia è simbolo sacro dei celti e richiama la magia, così
penso al poeta che è un mago, evoca le ombre anche di notte, si perde nella più
scintillante luce e muta la materia come solo gli alchimisti sapevano fare e il
poeta è nel bosco e parla con le querce.
Come fuggono
i miei pensieri, sembra che il vento favorisca le fughe stasera, perché non
riesco a fermare nessuno degli altri abitanti e condividere quel che sento e
vedo.
Come
cambia una voce nel coro del vento? Canto e grido, chiamo l’architetto, solo
con il pensiero. E lui arriva, sorride, ha le mani ricoperte di polvere d’oro.
Il vento
fa svolazzare la sua tunica e il mantello di velluto scuro. Anche i suoi
capelli ondeggiano e seguono il mio richiamo.
Dalle mie
tasche profonde estraggo un foglio che ho scritto a casa e lascio che sia il
vento a portarlo sino a lui.
Un tavolo, la carta bianca,
l’inchiostro rosso
Facile
lasciare che lo sguardo
replichi
un senso se il suo
orizzonte
è una vasta collina
o la
linea dritta dove amoreggiano
mare e
cielo, dove le onde
scrivono
una storia di spuma
sull’acqua
e i gabbiani rispondono
incidendo
l’aria e dissolvendo
le
nuvole. Questi canti non
hanno
bisogno di voce umana,
non
dove le spighe di grano
sono
alfabeto del vento e
l’uva
nei grappoli racconta
il vino
che porterà altre
storie
nelle sere invernali.
E il
poco di questa stanza
senza
luce, di un tavolo liscio
che
placa la paura, di inchiostro
rosso e
carta bianca, dei
fiori
che scrivono una storia
che non
conoscono, della poesia
che
infrange il silenzio e si
ribella
alla morbida quiete
di un
pomeriggio estivo.
Mi
sorride l’architetto e infila il foglio nel suo taccuino rosso, poi rapido
torna verso la sua Casa.
Io
cerco altri corpi, intorno a cui decifrare l’alfabeto del vento, la sera si
avvicina a piccoli passi e scompiglia al vento i suoi capelli sottili e il
vento ricambia con una folata che mi attraversa, come se io, pure, fossi fatta
d’aria e nient’altro.
Il
vento “aria che spira” è una citazione di Seneca dalle Questioni naturali.
Il
frammento della lettera di Puškin è ripreso dal blog Russia in Translation
La mia
poesia è tratta dalla raccolta Scrivere
il vento. Atì editore 2016
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