Salutiamo giugno che finisce e respiriamo la luce trasparente, le nuvole
bizzarre, le onde piccole del nostro mare interiore.
In bilico tra la primavera e l’estate è un mese di delizie dove maturano
le ciliegie, si consolidano gli amori, il mare ci chiama alle sue rive e le
conversazioni procedono lente sdraiati tra la spiaggia e il porticato.
Il primo saluto è una poesia di Antonella Anedda:
giugno, notte
Si abbassa il cono della luce.
Presto sarà notte completa.
Guardo i corpi ardenti alle finestre
i gesti delle braccia confusi agli alberi d'estate.
Sarà notte tra poco. Qualcosa già comincia a velarsi
il tempo di passare a un'altra stanza
appena un po' più angusta
di cui ci fa soffrire solo l'angolo cupo di uno specchio.
Allora non le case o i volti
ma le ombre dei volti e delle case premeranno sui vetri
tremendi, incerti per annuncio o ricordo.
Diremo amore in un diverso spazio
e sarà sabbia la voce che trasmuta.
Eppure non è notte, amore - ancora non è notte.
Presto sarà notte completa.
Guardo i corpi ardenti alle finestre
i gesti delle braccia confusi agli alberi d'estate.
Sarà notte tra poco. Qualcosa già comincia a velarsi
il tempo di passare a un'altra stanza
appena un po' più angusta
di cui ci fa soffrire solo l'angolo cupo di uno specchio.
Allora non le case o i volti
ma le ombre dei volti e delle case premeranno sui vetri
tremendi, incerti per annuncio o ricordo.
Diremo amore in un diverso spazio
e sarà sabbia la voce che trasmuta.
Eppure non è notte, amore - ancora non è notte.
È giugno -
lento - di buio.
lento - di buio.
Proseguo la mia opera alla Sherazade con un
frammento del mio primo romanzo.
La voce narrante è la città di Milano:
Giugno, Via Morigi
All’improvviso le giornate si sono allungate, le notti sono un respiro
corto d’amante, le albe un frullare di canti e voli d’uccello.
È bello dormire poco nelle notti brevi dell’estate, io pure dormo poco e
mi attardo volentieri nei cortili.
Ne scelgo uno nel quartiere Magenta, vicino a via Morigi, dove la strada
svanisce come un sogno mattutino.
Il portone è alto, di legno scuro e massiccio, si entra solo con la
chiave perché non esistono citofoni.
Il padrone del palazzo ha dimenticato di possederlo, il palazzo ha
dimenticato di esistere e il tempo di trascorrere. Lampade fioche illuminano
l’ingresso altissimo. La vecchia portinaia sonnecchia nella guardiola. Le
cassette della posta sono vecchie e rose dai tarli e dal sale, più vecchie del
palazzo stesso, perché il legno è stato recuperato da una nave affondata al
largo di Genova e finito fin quassù con un vecchio marinaio che ha smesso di
navigare. Lui pure vive in questa casa e ha quasi cent’anni, la sua memoria è
la memoria del cortile. Ora che è così vecchio non esce più perché le scale
sono una fatica insostenibile. Però non si sente prigioniero, ha una terrazza
proprio all’ultimo piano e ogni primavera le rondini tornano a fare il nido
sotto il suo tetto. La vista che si gode da lassù è incomparabile, ma questo
non lo sa nessuno, perché un muro di piante cela la terrazza allo sguardo degli
altri inquilini. Da lì, lui guarda a piacimento quel che succede in tutte le
altre case. Le sue osservazioni sono facilitate dalla mancanza di persiane in
molte finestre. Ciò è dovuto al fatto che un tempo la casa era il magazzino di
una fabbrica di filati.
Le due terrazze gemelle del secondo piano sono in perenne gara, ogni
estate, per quale delle due sarà la più fiorita. I proprietari hanno gusti
diversi in fatto di fiori e questo rende ancora più bella la vista che il
vecchio marinaio gode dalla sua postazione.
Nell’appartamento più grande vive un architetto dagli occhi di fuoco
verde e azzurro che ha smesso di invecchiare. Nel cuore degli anni sessanta,
quando si è trasferito a vivere in quella casa, non era solo. Il numero degli
inquilini variava fra i tre e i quindici, a seconda dei periodi. Ora è rimasto
l’unico abitante di quella grande casa sovraccarica di ricordi. Lui sembra non
badarci e continua imperterrito a disegnare case che non costruirà mai e tavoli
sui quali nessun banchetto verrà imbandito.
A volte l’architetto e il marinaio si parlano, uno affacciato alla
finestra e l’altro alla terrazza, ma solo d’estate, perché il marinaio non
sopporta il freddo umido dell’inverno. Nell’appartamento di fronte abita un
pittore con la sua terza moglie e un numero
incredibile di tele accatastate.
Dipinge da trent’anni ma ama a tal punto le sue creazioni, da non essere
mai riuscito a staccarsene e così non ne ha venduta neppure una. L’inverno
scorso non aveva neppure i soldi per pagare le bollette e così, per scaldarsi,
ha bruciato prima i mobili e poi le cornici dei quadri, utilizzando le stufe e
i caminetti che prima non usava mai perché ha paura del fuoco. I soldi per la
sopravvivenza gli arrivavano da collaborazioni con agenzie di pubblicità, ma in
questo momento c’è molta crisi anche in questo settore, così stenta pure lui a
tirare la fine del mese. Ma non per questo si metterà a vendere i suoi quadri,
questo mai, meglio la fame.
All’ultimo piano di fronte al marinaio, vive una donna bellissima che
canta e insegna musica. Non è raro, verso il tramonto, tornare a casa e sentire
la sua voce cristallina che si alza verso il cielo. Anche le rondini tacciono
al suono della sua voce. Il vecchio pensa che quello doveva essere il canto
delle sirene che lui ha sempre sperato di incontrare e non ha veduto mai
quando, da giovane, navigava.
Nell’ultimo appartamento, sullo stesso piano, vive un fotografo che è
nato sotto altri cieli. Arriva da una terra lontana, separata dal resto del
mondo da montagne altissime e da un oceano infinito. Porta nella sua voce un
poco di quella solitudine estrema e con il suo sguardo abituato a terre
sconfinate vaga per la città, cercando di svelare i misteri che si dice certo
esistono. Ha già catturato visi di donne tormentate e giovani inconsapevoli, di
vecchi dimenticati dal tempo, di bambini dallo sguardo pieno di futuro. Da
tempo cerca di ritrarre anche la cantante, ma lei si nega, più per gioco che
per reale avversione.
Al primo piano ha lo studio e l’abitazione anche un analista junghiano
dai capelli ormai bianchi da lunghissimo tempo. Se le sue mura potessero
parlare quante storie, quante leggende, quanti miti ricreati in questa città di
misteri evidenti. Anche lui è stato sposato più di una volta, ma da quando è
morta la sua ultima compagna, ha deciso che non è più tempo per lui di
dedicarsi all’amore. Quando non riceve i clienti, passa il tempo a studiare e a
scrivere il suo nuovo saggio. Peccato che l’esperienza degli uni non serva mai
agli altri, ognuno deve scendere da solo nel suo inferno personale e ritrovare
poi la via di uscita. E smarrire il senno vagando tra i sogni altrui, oltre che
nei propri, è rischio che sa di avere corso tutta la vita. Ora che è vecchio non
ne ha più paura, sa di sedere al centro di se stesso e in se stesso di avere
trovato il proprio riposo e la propria ragione di essere al mondo. È grato a
tutti quanti ha incontrato durante la sua lunga carriera. Ha imparato ad amare
quelle donne e quegli uomini che gli hanno fatto dono della propria umana
fragilità. Si sente retorico a volte, però è come se tutte le costellazioni ruotassero
nel suo cuore e tutti i cieli fossero visibili attraverso i suoi occhi. Questo
è il suo concetto di felicità terrena.
Accanto a lui abita, in una casa di libri e specchi, la rossa Caterina. Conosce
tutti e tutti la conoscono, si ferma a fare chiacchiere per le scale e presta i
libri a chi glieli chiede.
Il resto del piano è occupato da una sartoria teatrale gestita da due
sorelle anch’esse anziane. Loro vivono e lavorano tra quelle mura quasi da
quanto il vecchio marinaio. Non danno molta confidenza agli altri inquilini, ma
sono simpatiche e cucinano torte indimenticabili.
Caterina si presta volentieri a indossare i costumi e a giocare alla
bella dama dei tempi andati.
Non è facile entrare in questo cortile perché è uno dei luoghi dove ogni
cosa palpita, respira ed è viva.
Altre storie si aggiungono a quelle degli abitanti del cortile, portate
dallo sciamare degli amici della cantante e del fotografo che vanno e vengono
per le scale, dai pazienti dell’analista, dagli attori che vanno a provare i
costumi.
Il modo migliore per coglierle è predisporsi all’ascolto così come fa il
vecchio gabbiere dalla sua terrazza invisibile nelle sere d’estate.
Bisogna dormire nel pomeriggio, per accumulare molta energia.
Poi ripescare dal frigorifero una bottiglia di vino bianco vivace,
indossare abiti leggeri e telefonare all’uomo dagli occhi di fuoco dicendogli:
“sto arrivando”.
In terrazza ci saranno sedie a sdraio e lettini, una tavola già pronta
per la cena e qualche altro naufrago estivo che non ha lasciato la città.
A volte è possibile trovare, tra gli ospiti della terrazza, anche una
poetessa che dice i suoi versi con gli occhi chiusi: “Indovinare l’estate in un
cortile del mondo, amore e solitudine, e vento”.
Qui nascono poeti e invecchiano, scrivono di me in continuazione, io li
osservo e gliene chiedo conto.
Su questa terrazza mi fermo stasera, la meraviglia sarà completa se il
padrone di casa avrà molta voglia di raccontare. Si accenderanno le candele e
la notte sarà chiara fino a molto tardi. L’uomo parlerà a lungo e tutti si
lasceranno trascinare dalle sue parole. È estate, anche io, città malandata, lo
so.
Da una delle terrazze un uomo si affaccia ad ascoltare la nuova storia.
Ma per poco perché le ultime nuvole screziate di viola attirano il suo sguardo
e irrimediabilmente lo trascinano via. Si chiama Roberto, è l’unico che ancora
non conosce Caterina.
Ecco che ho svelato la mia passione per le storie affollate di
personaggi.
I miei coinquilini pare abbiano apprezzato.
La notte scende, accendiamo le candele, prepariamo la tavola in riva al
mare.
Sul filo dell’orizzonte un’enorme balena blu salta e si rovescia sulla
schiena, riemerge, pare ci stia salutando.
Scegliete anche voi una storia o una poesia per salutare il mese a
cavallo tra estate e primavera.
La poesia di Antonella Anedda è tratta da Notti di pace occidentale, Donzelli editore 2001
Il mio primo romanzo – la cui voce narrante è la città di Milano – si intitola
Frammenti del tredicesimo mese, Atì
editore 2007.
Il titolo di questa cronaca 114 è un verso della poetessa Anna Lamberti Bocconi.
Le terrazze di questa Cronaca appartengono a palazzi di Via Morigi e Via San Marco. Soprattutto appartengono a un’altra epoca.