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domenica 31 maggio 2020
Cronache dall’anno senza Carnevale/84: scegli la lavanda impazzita di luce, scegli il rosso sangue del melograno
Esiste un
luogo dove tutti gli alberi sono vivi e dove ogni albero custodisce il ricordo
di chi lo ha amato. Non solo le querce centenarie, gli ulivi millenari del
Mediterraneo, ma anche lecci e pini, palme e carpini, abeti e aceri. Sono creature
molto affettive gli alberi, nelle profondità della terra intrecciano relazioni
con colonie di funghi e formiche, le fronde al vento dialogano con nuvole e
rondini. Parlano, parlano senza sosta gli alberi.
Uno dei
giorni migliori per parlare con un albero è la domenica, soprattutto d’estate. Meglio
allontanarsi dalla città silenziosa e cercare un colloquio con l’enorme fico
con non vedrò mai più. Una delle magie delle Montagne della Nebbia è proprio
quella di poter evocare a proprio piacimento un albero che abbiamo amato e
vederlo apparire proprio com'è nel mondo della città silenziosa.
Buon mattino
maestoso fico! - ad alta voce glielo dico come se fosse sordo.
Buongiorno
a te signora, a cosa devo questa visita inaspettata? – mi risponde.
Ecco,
volevo solo salutarti, sono andata via l’ultima volta senza farlo, ancora non
avevi perso tutte le foglie della stagione passata e il profumo della tua linfa
mi avvolgeva come se fosse ancora estate. – proseguo.
Sì, ho
visto che non sei tornata, ma ho anche sentito che continuavi a pensarmi, non
basta sparire per non essere visto, so che mi hai amato, nella bizzarra maniera
in cui voi umani amate noi vegetali. – prosegue il fico pensoso.
Ti porto
nel mio cuore, ti porto nel teatro della mia mente, oggi ti ho portato qui ai
piedi delle Montagne della Nebbia. Ti piace questo giardino da cui puoi
contemplarle? – proseguo io, cercando di fargli accettare questo inaspettato
trasloco.
Mi piace
e ti ringrazio signora dai lunghi capelli neri, così come mi piaceva quando
venivi a respirarmi d’estate e a staccare quei fichi rossi e mielati che ancora
gli uccelli non avevano divorato. Era come ricevere un pizzicotto o un piccolo
solletico quando ne staccavi uno. Vedevo come le tue belle mani dalle lunghe
dita si imbrattavano e tu ti divertivi a sentire com'era appiccicoso il mio
sapore e dolce il mio frutto. Abbiamo amoreggiato a lungo, mia signora. Ma quella
stagione è finita e un’altra se ne apre per ciascuno di noi. Qui starò bene e sapere
che mi ricordi, mi cullerà stagione dopo stagione, sino a quando non sarò
troppo vecchio per quel mondo di sensi e desideri e allora resterò solo qui
dove tu mi hai invitato. – continua il fico meditabondo.
Tornerò
da te alla prossima pioggia, ti guarderò dalla finestra aperta, l’acqua
scivolerà sulle tue foglie e insieme scintillerete quando il temporale sarà
finito. – questo dico al grande albero di fico che già si sta stirando e
guardando intorno, forse spera anche lui di rivedere quel bassotto che tanto
abbiamo amato, chissà forse insieme riusciremo ad attirarlo qui, a rubare i
fichi dai rami più bassi e poi correre in tondo, felice, per tutto il giardino.
È talmente
dolce l’aria che mi avvicino ai cespugli di lavanda, dove le api sono una
nuvola d’oro e il profumo non è solo quello del fiore ma è già di miele. Apro il
mio libro e leggo le mie stesse parole.
Lunario secondo: maggio
Nel
sogno il camino era
sempre
acceso nel cuore
della
casa mentre la pioggia
scavava
tenace le sue
fondamenta.
Ho conosciuto
molte
vite intessute
dalla
storia e ho vissuto
anche
per chi non ha
avuto
la grazia del tempo.
Ho
attraversato il campo
e
strappato i vestiti scendendo
tra le
rose. Di nuovo sarà
il
maggio odoroso. Saremo
lievi,
api gioiose e un po’
ubriache,
sarà il miele, sarà
il tuo
arrivo a scegliere
i
petali e a darmi il respiro.
Sarà
luce priva di artigli
e
nuvola in cammino nel
giusto
orizzonte privo
di
cielo.
Da quel
giardino che ho perduto e ricreato qui nel mio angolo sull'Altipiano, vado a
passeggiare sul sentiero delle querce dove tante volte sono stata con i miei
amici più cari. Ora, lungo i due crinali, è tutto un fiorire di papaveri,
quelli che ho raccolto in una primavera sfuggita nel tempo, dormono tra le
parole di un grande poeta. Papavero e memoria, papaveri e parole, eccomi torno
a voi con questa poesia.
Le spighe immobili del tempo
Quelle
rose e le ortensie,
le
spighe di grano immobili
nel
tempo che le ha viste
fluttuare
nella luce. Di quel
tempo
sono testimoni, di
un’estate
che ha sconfitto
il gelo
nel sole e portato
al suo
culmine lo sfiorire
delle
rose dimentiche dei
petali
e addormentate nel
silenzio
delle api, ebbro
di
miele e di fiori mai sbocciati.
Il poeta
mi ha seguito nella passeggiata. Si diverte molto a vedere che non rinuncio
alle storie anche quando scrivo poesia.
Ho preparato
delle note per te – mi dice – so che le apprezzerai. Ho scritto talmente
tanto che ho bisogno di condividere quelle mie parole.
Grazie,
sai che leggerò. Ogni immagine è una parola, ogni metafora un verso. Mi piace
che le tue e le mie parole possano cambiare posizione e noi prospettiva
parlando così tanto come facciamo, giorno dopo giorno. – gli dico quasi senza
guardarlo, perché la vista non sempre ha bisogno di uno sguardo che la
sostenga.
Com'è
dolce quest’aria, quanto è bello il paesaggio, com'è facile respirare in tutto
questo vento, come sono fortunati gli occhi che godono di tutta questa
bellezza.
Come spesso
accade, il poeta sembra leggere nel mio pensiero e dice di me ciò che io dicevo
ai prati.
Tu che mi chiami con il mio nome
segreto
Come sono
fortunati gli occhi che
ti
hanno guardata, alba dopo
alba, e
tramonto dopo tramonto,
quel
momento preciso dove
la luce
muta e tu, diventi
splendente
e luminosa o rifletti la luce
degli
astri e della luna. Ma né il sole,
né la
luna, sanno quello che il mio
sguardo
vede anche con gli occhi
chiusi.
Tu sei radiosa come la stella
più grande
e giri nel cielo sopra
di me e
mi chiami col mio nome
segreto.
Continuiamo
la nostra passeggiata, la luce è sempre più morbida e il vento vibra con le
nostre emozioni e possiamo scegliere se continuare fino alla casa dell’estate o
aspettare ancora qualche giorno. Perché arriverà l’estate e arriveranno le
risposte, forse non tutte, ma arriveranno con il grano maturo e il mio sguardo
riflesso nel tuo.
È tutto qui il tempo che viene
Scegli
l’estate, scegli ogni giorno aperto
sul
prato, la lavanda impazzita di luce,
il
rosso sangue del melograno.
Senti
quanto profuma il gelsomino
notturno,
quanto il glicine sia pervicace,
questo
lo senti?
L’ibisco
rosso si annuncia con una macchia
nel
verde profondo, lacero gioca con
l’oleandro.
È tutto
qui il mio giardino, è tutto qui
il
tempo che viene.
Le
poesie di questa cronaca sono mie.
Lunario secondo: maggio e Le
spighe immobili del tempo sono tratte dalla raccolta Scrivere il vento. Atì editore 2016.
Tu che mi chiami con il mio nome
segreto è inedita e l’ho
scritta apposta per questa cronaca.
È tutto qui il tempo che viene è tratta dalla mia ultima raccolta Un’estate invincibile. Atì editore 2019.
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sabato 30 maggio 2020
Cronache dall’anno senza Carnevale/83: l’Oracolo parla con una voce antica che è fatta di silenzio
L’Oracolo
aspetta la notte per manifestarsi. Un fuoco è la sua dimora, la sacerdotessa ci
porta da lui purché restiamo in silenzio perché è il silenzio che alimenta il
fuoco della conoscenza.
Ci sono
mille lucciole che ci indicano la strada, le ha chiamate la sacerdotessa che
sussurra un’invocazione e raccoglie erbe e fiori intorno a noi. Ha gli occhi
chiusi e il suo sapiente guerriero le indica la strada con gesti, che lei vede,
e parole che lui non pronuncia.
Il
segreto sta proprio nel silenzio,
la
parola nasce là dove il silenzio
decide
di ritirarsi e a volte si
nasconde
come fanno i bambini
pensando di non essere visti.
Non
crediate che non ci sia
un
prezzo da pagare, anche
il
grano sa di dover morire per
far
nascere i germogli nuovi,
il seme
cade e la pianta nasce.
Voi
siete come piante che
il seme
già conosce, non dovete
temere
né il buio che vi avvolge
ora, né
la luce che vi sorprenderà
il
mattino in cui voi splenderete.
L’Oracolo
parla con una voce antica, parla a ciascuno di noi come se fossimo soli, l’unico
che resta in disparte è il poeta, lui conosce quella voce meglio degli altri e
lo saluta.
Sai che
credo solo nelle retoriche e nel ritmo, perché mi inviti a unirmi a questa
attesa di speranze e implorazioni? Io continuerò a scrivere poesie con te o
senza di te, poco mi importa – gli dice il poeta dal suo angolo di mondo.
Io pure
credo nel ritmo perché senza ritmo non ci sarebbero né poesia né amore –
aggiunge il guerriero, tutto quel che accade è l’incontro tra i simili che si
completano e dove uno ha un pieno risponde il vuoto della creatura amata. Tutto
l’universo esiste perché due è il numero perfetto – aggiunge il guerriero.
L’Oracolo
non risponde altro, si limita a fiammeggiare, si nutre delle domande, lui che
ha già tutte le risposte.
Risplendo
nel buio e non ho
paura, le
stelle sono una corona
per la
notte non per il mattino,
ho
accettato che la materia fosse
una
risposta provvisoria alla
nostra
sete di risposte e fame
di
certezze. Ma qui tutto si
muove
seguendo le regole di
un
canto antico di cui non
conosciamo
la melodia e il
ritmo. Tentiamo
di indovinare,
a volte
ci riusciamo e
ci
sembra di accogliere tutto
l’infinito
in noi come accade
durante
l’amore quando non
siamo né
uno, né due, ma
tutto,
tutto tra due corpi
che si
amano da prima che
il
tempo iniziasse la sua conta.
La sacerdotessa
risponde in versi ai nostri compagni, l’Oracolo si erge tra le fiamme e
sorride.
Non saprei
dire se è uomo o donna, ma sorride e allora lascio il gruppo e mi avvicino.
Dimmi Oracolo,
perché questo destino? Stare sempre ai margini, sospesa tra i mondi e sempre in
attesa? Perché ho avuto questa voce in dono se poi nessuno ascolta quel che ho
da dire?
Il grano
nel campo non fa domande, né il fiore di ciliegio si rammarica di dover morire
per lasciare spazio al frutto che adoriamo. Rassegnati cara narratrice, se sai
raccontare storie questo devi fare. Continua a cercare tra le vie della città
non più silenziosa, tutti abbiamo bisogno di storie e di poesie. Voi qui siete
in molti e siete due per ogni angolo del mondo, due per ogni punto cardinale e
potete riposarvi a scambiare il posto con le aquile e i lupi, le tigri e il
puledro con la volpe. Certo una coppia manca, ma sta per arrivare. Se l’Oriente
appartiene al re e alla regina, se il Nord è tuo e del poeta, se l’Occidente è
della sacerdotessa e del guerriero chi saranno i due che regneranno alla porta
meridionale, quella che si bagna nei mari caldi che voi chiamate Mediterraneo?
Lo
sapevo Oracolo che non ci avresti dato risposte, ma altri enigmi e misteri. Questa
è la tua natura, non puoi fare altro, come la mia è scrivere poesie e lanciarle
nel vento – dice il poeta.
Qui sono
provvisorie tutte
le parole,
la casa oscilla tra
i due
soliti colori ora che
l’alba
si avvicina. Credimi
vorrei
tenere ferme queste
onde di
luce, ma l’energia è
più
forte delle mie mani, così
accetto
di essere un foglio più
che il
libro intero e ti lascio
girare
pagina dopo pagina e
poi
tornare indietro, perché
il
segreto è questo indice
inesistente
che muta come
i tempi
dell’aurora, non
tornerai
mai più sugli stessi
passi né
a bagnarti nello stesso
fiume,
la parola pronunciata
non è
quella che ho scritto,
né tanto
meno quella che tu
hai
ascoltato. Meglio assecondare
il silenzio
e cedere alle sue
lusinghe
perché il nome che mi
avrà
dato sarà la porta verso
quell'universo
nuovo di cui si
parla
sottovoce.
Il fuoco
dell’Oracolo si dissolve, il guerriero sta abbracciando la sacerdotessa e il
poeta si avvicina e apre le braccia mi stringe sul cuore. Ci chiediamo entrambi
chi saranno i nuovi abitanti di questo mondo sospeso tra i mondi. Forse il re e
la regina lo sanno, vedo le loro sagome in controluce avanzare verso di noi.
Le rondini
e gli uccellini del mattino hanno requisito l’aria, andiamo, andiamo anche noi
a respirare liberi e felici.
venerdì 29 maggio 2020
Cronache dall’anno senza Carnevale/82: il tuo profumo qui nella carta resta
Cammino
nella brughiera, cammino
cerco i
tuoi passi e l’ombra che hai
lasciato,
ma qui restano solo impronte
stellate
che nessuno di noi riconosce,
chi
poteva immaginare che il cammino
sarebbe
stato un fiume e la tua parola
un oceano
che non trova ancora il suo
confine?
Cammino,
nella brughiera cammino tra
eriche
e ginestre e il cammino è uno
strapiombo
sull'oceano dove mi fermo
a
guardare le onde immobili del tempo
che si
fronteggiano senza che nessuna
possa
prevalere e scavalcare quel muro
di
acque silenziose nella loro furia
primigenia.
Cammino
e cammino, tu sei arrivato
con le
tue pesanti casse di manoscritti
e
libri, mi hai detto che le parole riposano
nell'aria
e il sapiente le sfiora e poi le
convince
a planare su una pagina e lì
restare
senza remora o timore, non
tutte
accettano quell'ultimo volo
più di
farfalla che di aquila maestosa.
Mi
fermo e taccio, guardo le ali splendenti
delle
parole in volo, i corpi si formano
e si
sciolgono al ritmo di un canto che non
conosco,
gli alfabeti si scontrano e
nascono
intenti più che parole nuove, lo
so perché
le sillabe sono fili intrecciati
di luce,
il poeta lo sa, come lo sa
la
nostra narratrice.
Ho incrociato
la sacerdotessa mentre vagavo per la brughiera, lasciava scivolare dalle tasche
della sua ampia veste foglietti come ho già visto fare al re. Mentre eravamo
vicine sul sentiero mi ha passato una pergamena vergata con grafia elegante. Ha
detto poco come sempre e si è girata verso il sapiente guerriero che la segue seminando
altri fogli. Quando li guardo incedere accanto mi sembra di vedere un sole e il
suo pianeta che sovente si scambiano di posto e si illuminano l’un l’altro. Raccolgo
da terra un’altra pergamena e queste sono le parole che il sapiente guerriero
ha scritto per la sua sacerdotessa.
Il vento
ci gira intorno come
un lupo
fa con la sua preda.
Non indietreggia,
non avanza,
cerca
uno spiraglio tra i nostri
cuori
dove potersi incuneare.
Oh stolto
vento, sei forse
l’unico
a non avere compreso
che non
ci sono spazi tra
due
cuori che si amano da
prima
che il tempo iniziasse?
Si arrende
il vento e ci
gira intorno
non per separare
ma per
avvolgere le parole
misteriose
degli amanti
felici
che hanno occhi di stelle.
Quanto sono
delicate le dita
di questo
vento che non
conosce
altra lingua che
quella
dell’amore e della
notte e
il tuo silenzio.
Conservo
anche questa poesia, la porto in casa con me, apro il cofanetto delle carte
sparse e constato che c’è ancora spazio nonostante le lettere del re alla
regina. I due amanti non sono ancora tornati, nessuno li ha più visti da ieri.
Benedetto
sia il Signore di tutte le acque
e di ogni cielo, tue sono le stelle e
il vento
si accuccia ai tuoi piedi e
gli alberi tessono le tue lodi con voci
profonde e
la terra tutta si inchina
alla gloria di questo creato che
cresce sotto le tue
mani sapienti
mentre la tua sposa tesse lo stesso
mondo con altra materia e
diversi colori.
Aggiungo
le mie parole a quelle conservate tra i legni orientali che profumano di spezie
e mentre sto per chiudere il coperchio è il poeta a consegnarmi il suo
componimento.
Guardo la
casa che di lontano
appare azzurra
e chiara, nessuno
si
muove intorno e io aspetto
un
gesto della gatta sul davanzale.
Il segnale
è quello che cercavo,
un
sogno rimasto appeso tra
i fogli
che ho strappato, la gatta
gioca con
i suoi fantasmi e tace.
Così non
fanno le mie parole,
si stendono
come panni alle
finestre,
cercano il sole e
il
vento, sorridono al gelsomino.
Così piano
stacco un fiore e lo
annuso,
piego questo foglio e
la
parola precede il gesto, il tuo
profumo
qui nella carta resta.
Oggi va
così nella Casa delle Parole, sono più Cronache dell’anima che le solite
Cronache di questo tempo spiazzato.
Siamo fortunati
noi che amiamo la poesia e le parole.
Siamo
fortunati noi che leggiamo.
Siamo
fortunati noi che studiamo.
Siamo
fortunati noi che scriviamo.
Questo
paesaggio è il nostro mondo, intessuto di libri e parole, se altri verranno dopo
avere letto, questo mondo sarà più ampio di speranza nel giorno e di desiderio
quando scende la notte.
Le
poesie di questa Cronaca 82 le ho scritte tutte io nel fermento di queste
settimane di gioia e sgomento.
giovedì 28 maggio 2020
Cronache dall’anno senza Carnevale/81: sei tu che stringi il silenzio, tu che tieni sillabe e parole
Tutti aspettavano
di vederla arrivare in sella a un destriero focoso, bianco o nero non aveva
importanza, tutti aspettavano di contare il numero dei suoi cortigiani, di
vedere quanto belle fossero le dame e arditi i cavalieri.
Ma questo
accade nelle favole, non nella città silenziosa, non ai piedi delle Montagne
della Nebbia.
È arrivata! È
arrivata la regina! È arrivata a piedi e scalza, con i lunghi capelli sciolti
sulle spalle, un abito cremisi e uno scialle di veli intrecciati che smuoveva
il vento e la faceva apparire e sparire alla nostra vista, perché i veli prendono
il colore dello sfondo e la regina sembrava sbucare prima dalle nuvole, poi dal
bosco, poi dal giardino, poi dal muro della casa e infine dai cespugli della
brughiera. Prima che il re riuscisse ad avvicinarsi, i lupi e le aquile si sono
disposti a semicerchio intorno a lei. Le tigri dal mantello cangiante quanto il
suo scialle si sono sdraiate accanto ai lupi e tutto è diventato silenzio e
tutto era attesa.
La
narratrice, cioè io, e il poeta abbiamo smesso di scrivere e abbiamo iniziato ad
aspettare. La sacerdotessa e il guerriero sapiente sono usciti dalla Casa delle
Parole, in processione per introdurre il re. Il guerriero è andato a prenderla
e gentilmente l’ha accompagnata dal suo sposo.
Dai racconti
della sacerdotessa ho appreso che sono sposati da millenni e che da millenni si
inseguono perché un incantesimo li tiene lontani. Doveva capitare che il tempo
si fermasse in tutti i mondi e le aquile rispondessero al richiamo della
sacerdotessa e alle implorazioni della mia voce. Il guerriero ha aperto la
strada per il suo ritorno, non ha neanche dovuto combattere i draghi della
notte che il silenzio estremo delle settimane passate ha fatto cadere in un
sonno profondo. Ora la nostra misteriosa amica cercherà di spezzare quell'incantesimo
e per farlo avrà bisogno di ciascuno di noi, della narratrice con il poeta, di
se stessa con il guerriero, del re e della regina, delle coppie gioiose di
lupi, aquile e tigri. Anche del puledro e della volpe che parlano la mia stessa
lingua.
Felici siamo
felici quassù, sull'Altipiano della Luna, perché i mondi si sono avvicinati, perché
memoria e immaginazione creano insieme, perché le mie parole si intrecciano con
quelle del poeta, perché la sacerdotessa studia con il suo sapiente guerriero, perché
il re finalmente si è avvicinato alla sua regina seguito dalla corte delle
lettere che ha scritto per lei senza poterle spedire, le serenate e le aubade che
le ha scritto nei secoli e che ci ha letto sera dopo sera durante la sua attesa
infinita.
Mi chiedo
cosa accadrà adesso che sono finalmente insieme. Li guardo mentre si
avvicinano, si abbracciano guardandosi negli occhi, si baciano mentre i veli
della regina avvolgono entrambi ed entrambi spariscono dietro le folate di
vento e le nebbie che scendono verso l’Altipiano.
Forse è vero,
davvero, che l’amore è più forte di ogni cosa, che l’amore vince il tempo e le
distanze. Per discrezione mi allontano dalla brughiera, mentre ciascuno
riprende le attività prevalenti: i lupi strofinano i musi e corrono, le tigri
vanno a fare il bagno, le aquile tornano nel loro nido, la sacerdotessa e il
guerriero sapiente sono già chini sui loro libri. Solo il poeta se ne torna con
me nella città che era silenziosa.
Vorrei scrivere
la storia del re e della regina – gli dico.
E io una poesia
– mi risponde.
Mi siedo dall'altro
lato del tavolino e apro il mio quaderno, lui fa altrettanto con uno dei suoi
taccuini intonsi.
Come passa
veloce il tempo quando si scrive, com'è bello avere una prima versione compiuta
per poterla correggere, come mi piace ricominciare e vedere cosa succede.
Il poeta
sorride, sa di cosa sto parlando.
Parlo di te,
anche quando non
pronuncio il
tuo nome, sei tu
che leghi ogni
lettera dell’alfabeto
a creare
sillaba dopo sillaba, è
la tua mano
che traccia i segni
sulla carta e
i segni sono poesia
anche nelle
lingue che non
conosciamo. Sei
tu l’alba gioiosa
che mi viene
incontro e sei tu
la notte
profumata dai gelsomini.
Scrivo di te
senza che il tuo nome
risuoni, mi
piace ascoltare il suono
della tua
voce che legge le poesie
per me e il
vento. Sei tu che crei
il silenzio
tra le parole e io ne
bevo come a
una fonte e le mie
parole pure con
quest’acqua
mistica
trovano ristoro.
Taccio, non
parlo e non scrivo.
Ti guardo, mi
sorridi. L’ultima
parola è
sempre quella: sono
arrivata,
amore.
Ma questa
poesia non è per il re e la regina – mi dici.
No, è una
poesia per tutti coloro che amano e scrivono, per tutti coloro che soffrono la
lontananza e hanno paura del futuro. Ma attraversano il fuoco e alimentano la
fiamma del silenzio. I poeti possono custodire le parole e lasciarle andare
allo stesso tempo, possono stringere il silenzio contro il petto e sentirlo
palpitare e, poi, vederlo scappare via con i lupi nel buio della notte che
viene.
La poesia dà il titolo a questa Cronaca 81: sei tu che stringi il silenzio, tu che tieni sillabe e parole e l’ho scritta appositamente oggi 28 maggio dell'anno 2020, nel tardo pomeriggio.
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mercoledì 27 maggio 2020
Cronache dall’anno senza Carnevale/80: le parole sono città abitate da una tigre e dalle mele azzurre
Il
tardo pomeriggio è sempre stato per me un momento proficuo per lo studio e la
scrittura. Una volta che ho iniziato posso continuare sino a notte fonda,
quando andavo a scuola e all'università, anche fino all'alba.
Inizia
così “l’ora bella” della giornata che ho già evocato in queste Cronache.
Una
volta che il lavoro quotidiano si ferma, conosco decine e decine di scrittori e
poeti e tutti, tranne rarissime eccezioni, hanno un secondo mestiere che gli
permette di vivere e di scrivere, si può scrivere con la massima libertà del
tempo che è di nuovo nostro e con la massima costrizione e disciplina che
qualunque attività intellettuale richiede, si può iniziare a scrivere.
Del mio
lavoro dirò soltanto, per il momento, che è un lavoro molto interessante, che
mi piace, che mi diverte persino e che ho avuto e ho la fortuna di poter
lavorare a casa in questi mesi, perché la tecnologia consente a me e alle mie
colleghe e a Beppe (l’unico uomo, perché c’è una decisa prevalenza di donne
nella nostra struttura), di lavorare a distanza e anche in questo modo di fare amicizia e di lavorare bene insieme (Ciao Greta che mi leggi!)
Dunque,
vivo in una bolla di mondo fortunata e molto vivace. Ma non scrivo solo per le
persone che conosco, certo i principali destinatari sono amiche e amici cui
voglio molto bene e con cui condivido passioni e lunghi percorsi di vita, come Danilo, Edoardo e Annalisa, Rossana, Maddalena e Lorenzo, che ho già citato nelle Cronache, come Edith che
scrive e ama i libri da quando era bambina, come Maurizio con cui ho affrontato
negli anni scorsi un percorso lavorativo tra i più delicati e difficili, scrivo
perché amo scrivere, perché voglio condividere il mio angolo di mondo reale e
immaginario con chi ama leggere.
Scrivere
è sempre un colloquio, una parola scambiata, una mano tesa. Tra le tante poesie
meta-poetiche che amo moltissimo, eccone una di Nina Cassian:
Poesia
Da
questa matita si diparte una strada di grafite
e sulla
strada passeggia una lettera, come un cane,
ed ecco
una parola come una città abitata
dove
forse arriverò domani.
Scrivere
è sempre intraprendere un cammino e fermarsi a chiacchierare con gli altri viaggiatori
e viandanti che ci hanno preceduto. Si fanno strani incontri man mano che si
procede ed è ancora Nina Cassian a scriverne:
Letteratura
Una
mela azzurra,
una
tigre verde -
quanto
basta per scriver libri di tutt’altro genere,
libri
con cieli rossi,
giungle
viola,
perché
qui come altrove tutto si rimescola.
Oh,
giocare alla Genesi, che spasso -
finché
la mela rossa non riappare
e la
tigre gialla striata e sinuosa non s’avventa
a
sgranocchiare quanto scritto nel frattempo.
Amo l’immagine
della tigre che sgranocchia le parole scritte, in maniera più ieratica e
solenne anche Cristina Campo ha evocato una tigre molto particolare:
Ahi che
la Tigre,
la
tigre Assenza,
o
amati,
ha
tutto divorato
di
questo volto rivolto
a voi!
La bocca sola
pura
prega
ancora
voi: di
pregare ancora
perché
la Tigre,
la
Tigre Assenza,
o
amati,
non
divori la bocca
e la
preghiera…
(La
poesia della Campo si chiude con questo verso, mentre in rete ne gira una
versione molto più lunga cui sono stati appiccicati versi di altre poesie.)
(Rossana,
ogni volta che riprendo in mano i libri della Campo tu appari come una visione
e continuiamo la nostra conversazione millenaria iniziata sui Navigli in un’altra
era.)
Ecco,
in questo fase storica, un giorno qualcuno studierà questa pandemia e molti tra
noi potranno raccontare ai nipoti “io c’ero, sono rimasta/o chiusa in casa per
undici settimane”, in questa incertezza che, in questo passaggio, in una vita
che sembra uguale a quella di prima passeggiando per le strade, ci sono in più
le mascherine, ma poi quando si guarda meglio, si notano i vestiti scombinati,
i capelli approssimativi, e spesso gli occhi sono vacui o ansiosi, ho sentito
in questi giorni che ci sono tigri che percorrono le strade e le mele azzurre
non sono allucinazioni, ma pianeti di un’altra realtà che già sta accadendo.
Non possiamo
mostrare i nostri sorrisi e così siamo tutti potenzialmente ostili a chi
incrociamo, le belle bocche delle donne non sfoggiano i lucenti rossetti della
nuova collezione estiva, niente sandali e borse da mare. Saremo capaci in
questa realtà che assomiglia a quella del mondo di prima di essere diversi? Di essere
la versione migliore di noi stessi? Più solidali, pieni di voglia di vivere e
pronti ad affrontare una vita che viene nonostante le nostre nostalgie, quanto
abbiamo da fare ancora per preservare e conservare la bellezza che ci circonda?
Non solo
il paesaggio, i monumenti, i mari e i fiumi, le case antiche, i begli alberi
secolari. Dobbiamo ancor più imparare a coltivare la bellezza e i doni dei
bambini e dei giovani, le loro potenzialità, dobbiamo imparare a tenere in circolo la
sapienza degli anziani, la maturità di noi baby-boomer che se anziani ancora
non siamo presto lo saremo. Imparare ad amare tutte le età della vita nei volti
di ciascuno, amare il bambino, il giovane uomo, l’uomo maturo tutti in un viso
percorso di rughe e segni del tempo. Quel viso che abbiamo magari solo sognato,
il viso di un padre scomparso troppo presto, di una madre che ha troppo
sofferto.
Solo i
bambini, i vecchi e i poeti non hanno paura delle tigri, sanno come si parla agli
animali, portano il Cantico di San Francesco in ogni gesto quotidiano. Nella quotidiana
gratitudine di essere vivi e di essere passati da questa terra e di averla
amata.
Non scacciamo
le tigri, stasera porterò la mia a fare conoscenza con i lupi e le aquile, lì
ai piedi delle Montagne della Nebbia.
La
sacerdotessa e il guerriero mi sorridono quando glielo dico. Si spostano appena
e da dietro ognuno di loro, sbucano due tigri maestose, una è bianca, l’altra
azzurra come la mela che la sacerdotessa tiene in mano.
Non conosco
ancora il colore della mia, lo scoprirò tra poco e guarderò il tramonto da
questa casa affollata di parole e ringraziamenti.
Si può
credere o non credere in Dio, ma amare questo componimento di San Francesco non
è così difficile, sono il cielo e il vento di oggi che me lo hanno riportato
dal cuore.
«Altissimo,
Onnipotente Buon Signore, tue sono le lodi, la gloria, l'onore e ogni
benedizione.
A te
solo, o Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di menzionarti.
Lodato
sii, mio Signore, insieme a tutte le creature, specialmente per il signor
fratello sole, il quale è la luce del giorno, e tu tramite lui ci dai la luce.
E lui è bello e raggiante con grande splendore: te, o Altissimo, simboleggia.
Lodato
sii o mio Signore, per sorella luna e le stelle: in cielo le hai create, chiare
preziose e belle.
Lodato
sii, mio Signore, per fratello vento, e per l'aria e per il cielo; per quello
nuvoloso e per quello sereno, per ogni stagione tramite la quale alle creature
dai vita.
Lodato
sii mio Signore, per sorella acqua, la quale è molto utile e umile, preziosa e
pura.
Lodato
sii mio Signore, per fratello fuoco, attraverso il quale illumini la notte.
Egli è bello, giocondo, robusto e forte.
Lodato
sii mio Signore, per nostra sorella madre terra, la quale ci dà nutrimento e ci
mantiene: produce diversi frutti, con fiori variopinti ed erba.
Lodato
sii mio Signore, per quelli che perdonano in nome del tuo amore, e sopportano
malattie e sofferenze.
Beati
quelli che le sopporteranno serenamente, perché dall'Altissimo saranno
premiati.
Lodato
sii mio Signore per la nostra sorella morte corporale, dalla quale nessun
essere umano può scappare, guai a quelli che moriranno mentre sono in peccato
mortale.
Beati
quelli che troveranno la morte mentre stanno rispettando le tue volontà. In
questo caso la morte spirituale non procurerà loro alcun male.
Lodate
e benedite il mio Signore, ringraziatelo e servitelo con grande umiltà.»
«Altissimu,
onnipotente, bon Signore, tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne
benedictione.
Ad te
solo, Altissimu, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato
sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande
splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato
si', mi' Signore, per sora luna e le stelle, in celu l'ài formate clarite et
pretiose et belle.
Laudato
si', mi' Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne
tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato
si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et
casta.
Laudato
si', mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è
bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato
si', mi' Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato
si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo
infirmitate et tribulatione.
Beati
quelli che 'l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato
si' mi' Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente
pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali;
beati
quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l
farrà male.
Laudate
et benedicete mi' Signore' et ringratiate et serviateli cum grande humilitate»
Le
poesie di Nina Cassian sono tratte dal volume C’è modo e modo di sparire. Poesie 1945 – 2007. A cura di Ottavio
Fatica. Traduzione di Anita Natascia Bemacchia e Ottavio Fatica. Adelphi 2013
La tigre assenza di Cristina Campo è tratta dall’omonima
raccolta. Adelphi 1991
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