Il tempo è
compiuto, il cielo si è squarciato, l’evento è accaduto e l’orrore è diventato
visibile ai nostri occhi.
La scena
numinosa della morte di Cristo in croce era una fonte di sgomento negli anni
dell’infanzia.
Prima di
quella morte il mondo non aveva un prima e un dopo, il mondo fluiva e con esso
il tempo, in un’unica direzione.
Quella morte
atroce ha costituito per l’umanità, credenti e non credenti, una cesura netta e
implacabile tra il prima e il dopo.
Il giorno del
sabato, dopo il venerdì della morte e prima della domenica della Resurrezione,
è quella cesura, è il giorno del silenzio in cui non vengono pronunciate
orazioni o parole, il giorno in cui la stagione si ripiega su se stessa come
una rondine nel nido e aspetta.
Il sabato è
dunque il giorno del silenzio e dell’attesa. Ma cosa stiamo aspettando? Non lo
sapevano e non potevano immaginarlo i contemporanei di Cristo, mentre noi, due
millenni dopo, credenti e non credenti, sappiamo che dalla morte si può
ritornare.
Il sabato del
silenzio può essere metafora di queste settimane che sono una quarantena a
tempo indefinito ma non indeterminato.
Il nostro
vecchio mondo è morto, quello che nascerà ancora non riusciamo a immaginarlo.
Ma non
possiamo permetterci di continuare ad adorare la cenere di ciò che è stato;
come diceva Gustav Mahler, la tradizione è conservare il fuoco, non adorare la
cenere.
Questo silenzio
è la condizione che ci permette di distinguere ciò che è estinto da ciò che
ancora vibra e scintilla e su cui possiamo soffiare per tenerlo in vita. Il soffio
vitale è un’altra immagine che rimanda alla cristianità sotto la cui
iconografia siamo cresciuti, soprattutto noi italiani. Per tutte le immagini e rappresentazioni
sacre vale il Cenacolo vinciano qui a Milano, che ho visitato diverse volte e
di quelle visite ne ricordo una in particolare nel giugno del 1988, dove ero
andata a vederlo con la mia amica Annemarie. C’eravamo solo noi nella sala e
siamo rimaste ferme un tempo lunghissimo, senza parlare, a contemplare la messa
in scena di uno dei momenti più importanti nella vita umana. Il tempo del
pasto, la condivisione del cibo, la presenza degli amici alla propria tavola,
cioè tutto ciò che nell'anno senza Carnevale, non ci è dato vivere.
Il sabato del
silenzio è il margine del tempo in cui noi stiamo in bilico tra un mondo morto
e uno non ancora nato, come scriveva Edgar Morin.
Stare in
bilico tra il vecchio e il nuovo non è proprio una delle specialità di noi
esseri umani, perché o conserviamo il vecchio in adorazione perpetua, o lo
abbandoniamo con slancio feroce verso la ricerca del nuovo.
Stare fermi è
una delle cose più difficili al mondo, anche stare in silenzio lo è.
Quando ero
bambina alle scuole elementari, la maestra esausta ci faceva fare il gioco del
silenzio. Una bambina a lei benvoluta usciva per scrivere alla lavagna il nome delle
compagne che bisbigliavano. Quelle che invece erano capaci di vincere il gusto
naturale della parola e stavano al banco con le braccia conserte, il busto
ritto e la bocca ben sigillata, concorrevano per un premio. Non ricordo proprio
quale fosse il premio per la bambina più silenziosa o composta, forse non l’ho
mai vinto o forse l’ho dimenticato perché era poco importante.
Così sto
attraversando questa giornata silenziosa in attesa della Resurrezione, della
domenica che sancirà la vittoria della vita sulla morte.
Un ritorno
alla vita che ha un prezzo altissimo. Noli
me tangere disse il Cristo alla Maddalena, Non toccarmi o forse Non
trattenermi come si è più propensi a tradurre oggi.
Perché Noli me
tangere, dunque? Forse perché chi è tornato ha visto quelle cose che non
possono essere dette, chi è tornato deve ritornare lì da dove è venuto.
Mi fermo in
questo silenzio perché la Resurrezione sarà domani, nel tempo che ancora deve
venire.
So che verrà,
perché mi hanno detto di alberi che sembravano morti e che sono sbocciati di
nuovo, ne ho visti due proprio in questi giorni, una quercia e un olivo
centenari, sono lontani migliaia di chilometri ma comunicano tra loro come
accade tra le creature che sono tornate alla vita. I lupi vanno a visitarli e
si fermano ad ammirare la luna. Quando il lupo sotto la quercia ulula, in
lontananza la lupa risponde nella loro lingua segreta e le stelle fanno
capolino e sembra si fermino ad ascoltare quel canto.
Il congedo di
questa sera è una poesia di Danilo Bramati.
Dietro ogni
silenzio
Mai, in verità, ho raggiunto
le soglie estreme del silenzio.
Mai, mai, neppure
quando ascoltavo il grande platano
sillabare nella nebbia,
quando tacevo con gli amici,
con la gente.
C’è un silenzio oltre quel platano,
un silenzio oltre il silenzio.
Guardo il cielo che si oscura:
in ogni stella una stella tace.
Danilo Bramati
Dietro ogni silenzio
Atì editore 2017
Mai, in verità, ho raggiunto
le soglie estreme del silenzio.
Mai, mai, neppure
quando ascoltavo il grande platano
sillabare nella nebbia,
quando tacevo con gli amici,
con la gente.
C’è un silenzio oltre quel platano,
un silenzio oltre il silenzio.
Guardo il cielo che si oscura:
in ogni stella una stella tace.
Danilo Bramati
Dietro ogni silenzio
Atì editore 2017
1 commento:
Alla mia generazione il silenzio e stato spesso imposto e visto come una punizione. Con gli.anni ho imparato ad apprezzarlo perché dava ossigeno al cervello impedendo il ristagno delle parole vacue. Spero che "gli uomini di buona volonta"ci indichino x il futuro un percorso più umano
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