Gli oggetti sono la prova
che abbiamo vissuto, che in un tempo passato abbiamo compiuto azioni, condiviso
il tempo con altre persone, che abbiamo amato e abbiamo sperato nel futuro. Ci penso
di continuo mentre seleziono e ripongo oggetti personali che sono appartenuti
ai miei genitori - vestiti, cappelli, maglioni – e oggetti di uso comune come
piatti, bicchieri e tovaglie. Lavo, asciugo, stiro e ripongo. Poi mi vengono in
mente tutti gli esuli dalle guerre, i rifugiati, i sopravvissuti, quelli che
non hanno più nulla, che sono ancora rifugiati in fabbriche, scuole e ospedali,
in Ucraina e non solo. Ma l’Ucraina è una ferita aperto sul fianco dell’Europa,
una terra offesa dalla menzogna e dalla violenza, le migliaia e migliaia di
morti, le violenze, la perdita della speranza e le migliaia di giovani soldati
russi costretti a diventare assassini, partite per la guerra senza neanche
sapere cosa stavano per fare. Mi fermo sulla soglia dei miei ragionamenti, già
fatti migliaia di volte sui social da persone ben più competenti di me. Mi fermo
sulla soglia con una vecchia fotografia di famiglia in mano e sento quanto
anche un piccolo oggetto porti in sé il tempo prezioso che abbiamo vissuto con
i nostri cari. Quel che accade oggi in Ucraina in Europa è già successo, è
successo con la disgregazione della Jugoslavia, è successo con la Prima e con
la Seconda guerra mondiale e credevamo che non sarebbe accaduto mai più. Lo credevamo
noi baby boomer, la generazione più fortunata della storia. È difficile trovare
una forma nuova in questi tempi nuovi e al contempo vecchissimi. Di veramente
nuovo c’è che vediamo immagini della guerra pressoché in diretta. Ma la guerra
è vecchia, vecchia come l’umanità. Forse è arrivato il momento di ammettere con
noi stessi che la nostra specie si fa la guerra non solo per necessità o per
difesa, ma perché fare la guerra agli esseri umani piace. Forse sarebbe meglio
ammettere che il male è parte di noi, è la nostra natura profonda e che il bene
è una conquista quotidiana. Forse sarebbe meglio ammettere che il male vince
comunque: vince se non ci difendiamo, vince se ci difendiamo perché la violenza
esploderà in noi. È compito comune dell’umanità imparare a contrastare le
nostre pulsioni profonde, a riconoscere tutte le emozioni, anche quelle
negative, e a dare loro il giusto nome. Ci sono persone che per istinto, fede o
decisione si votano al bene con la stessa forza con cui altre si votano al
male, mentre nella massa oscilliamo tra indifferenza, piccole malvagità e
piccoli beni quotidiani. Sentire il male che gli altri patiscono, sentirlo
nella propria carne è il primo passo per contrastarlo questo male e smettere di
farlo. Siamo tutti in balia delle stesse pulsioni e degli stessi istinti, non è
un caso che della quindicina di specie di ominidi vissuti sulla terra siamo
rimasto soltanto noi, i più efferati, i più violenti, forse i più forti, quelli
che comunque si sono affermati nella conquista di risorse alimentari quando
eravamo cacciatori raccoglitori e in quelle delle terre quando siamo diventati
creature più stanziali, anche se il movimento e la scoperta fanno parte della
nostra natura profonda tanto quanto la violenza. Credo che sia arrivato il
tempo giusto per rileggere un libro interessantissimo di Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie, un libro che
spiega perché l’occidente bianco ha conquistato e dominato il mondo per qualche
secolo. E racconta come anche gli altri popoli non bianchi e non occidentali
erano, sono stati, popoli guerrieri e violenti. E dopo Diamond ho deciso che
leggerò anche il nuovo libro di Federico Rampini Suicidio Occidentale, ne ho già lette alcune parti e credo sia un
libro importante. Per oggi è tutto da giovedì 14 aprile del terzo anno senza
Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 767, da brava studiosa, è
già a capo chino sui libri.
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