Ha piovuto per un paio di
giorni, un sollievo temporaneo per la città e la terra, per i nostri sfibrati
polmoni. Ma non è bastato sentire il ristoro delle gocce per avere la certezza
di una riprese, di aria pulita e alberi vigorosi. Potrei offrire al cielo una
rosa, ma ho come il sospetto che il cielo non sappia cosa farsene della mia
rosa, perché le rose gli appartengono già tutte. Dall’alto le scruta, le
accarezza, delega al vento ogni tenerezza e alle nuvole il privilegio di
rosseggiare grazie al colore delle rose, un suggerimento che diventa visibile
verso il tramonto, quando il tramonta gareggia con le rose che fioriranno a
maggio. Ma il cielo è ancora più ansioso di noi e si porta avanti. Tinge a
memoria la bellezza di ogni rosa e non sa che così, prepara il colore delle
future rose. Anche la pioggia si prepara all’incontro, cerca una coerenza tra
tutte le sfumature del bianco e la trasparenza delle gocce. Perché quando
diciamo pioggia stiamo abbracciando ogni singola goccia, così come quando diciamo
rosa stiamo abbracciando ogni singolo petalo e ogni sfumatura di colore e ogni
sfumatura impalpabile del profumo.
Quando la poesia è una
rosa non ancora sbocciata
Come la pioggia è
acqua trasparente, così
la rosa è profumo prima
ancora che bellezza. Ma
cosa accade quando una
rosa incontra la pioggia?
Tutto sfolgora nell’istante,
la luce ci rapisce e ci
conduce in quell’altrove
dove dimora la poesia,
una rosa non ancora
sbocciata, un verso solo
pensato, un silenzio chiuso
nella sua stessa origine,
e la sillaba rossa e intensa
dell’ultima parola.
Ecco che questo mercoledì 6
aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra si chiude con
questi miei versi inediti e con la Cronaca 759 che respira il profumo della
nostra, rapito dalla sua bellezza. Il titolo proviene da altri versi di René Char.
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