Storie dell’Avvento/17. Ci sono racconti, una
tavola imbandita, l’aria profuma di mandarini. Vieni a sederti con noi
Tutte le storie hanno un inizio, è il momento
in cui scegliamo di tagliare il tempo e di fare di quella scena, di quelle
parole le fondamenta di una narrazione. Lo si fa per istinto, lo si fa per
vocazione e lo si fa per scelta, per accanimento e testardaggine. Per questo
Parker sta nel suo capanno sul lago a chiacchierare con Jack London e in
un’altra casa con un giardino ci sono Emma, il Signor Buio, lo gnomo senza nome
e le bambine impossibili Lele e Riri. Ma per questa sera della Vigilia, posso
fare un’altra cosa ancora e portarli tutti a cena con i personaggi della storia
di Natale dell’anno scorso, con Bimba, Chino e Lino, Geppo e Miren. Il Natale è
per me, insieme al giorno del compleanno, il giorno in cui un cerchio si chiude
e uno si apre. È l’eterno ritorno della luce e della speranza. Gettati nel
mondo da non si quali forze, non percepiamo il nostro eterno vagare, il nostro
rotolare in questo spazio-tempo dove la nostra realtà è una costruzione
quotidiana e dove la nostra immaginazione costruisce quel che in questo mondo
non c’è più o non è mai stato. Questo è il nostro secondo anno senza Natale, un
Natale in cui la narrazione dell’immunità di gregge si è frantumata contro l’aggressività
di una variante, non è la prima, non sarà l’ultima. Possiamo sperare che i
vaccini ci proteggano contro le manifestazioni peggiori dell’infezione, che ci
evitino ricoveri, terapie intensive e morte. Proprio lei, la nera signora
rimossa dalle narrazioni del reale e continuamente vissuta e rivissuta nei
videogiochi, nei film horror, nei libri gialli. Il covid ci ha riportato a
vivere, almeno in parte, nelle stesse condizioni dei nostri antenati che
morivano di peste nera, lebbra e colera e influenza spagnola senza avere nessun
vaccino a difenderli. Abbiamo guadagnato anni di vita, di benessere, di gioia
quotidiana, abbiamo perduto l’incanto del mondo, la potenza numinosa del
trascendente, quella ancor più misteriosa dell’arte. Eppure mi basta entrare in
una chiesa qualunque della mia città, negli ultimi giorni ho visitato la
Basilica di San Nazario in Brolo, una delle più antiche di Milano che si trova
nell’omonima piazza, con la sua cappella di Santa Caterina; e la chiesa di
Santa Maria degli Angeli e di San Francesco che è in piazzale Velasquez per
sentire di nuovo quell’incanto. In questi due luoghi pressoché deserti ho
sentito intatta la potenza della natività, del Dio che si incarna e trascende
la sua onnipotenza per farsi bambino, una delle creature più fragili del
pianeta. È sempre un lungo viaggio quello del bambino divino, un viaggio che
inizia con un annuncio angelico e finisce su una croce. Ma l’Angelo ritornerà,
ritorna sempre, e sempre il bambino nascerà nella prima famiglia non
tradizionale della storia. Mentre scrivo in questo venerdì 24 dicembre del
secondo anno senza Carnevale, la Cronaca 656 sta finendo di addobbarsi per il
cenone e la festa che inizierà questa sera e finirà domani. Nella mia famiglia
si festeggia sia con il cenone della Vigilia, che con il pranzo di Natale per
far contenti tutti. Che è lo scopo dello stare insieme in queste ore. Ben protetti
nelle nostre case, con buon cibo sulla tavola e i nostri cari intorno. Auguri a
tutti e tutte – questo è il massimo dell’inclusività linguistica che intendo
praticare – Buon Natale e che il bambino divino ci sfiori la mente con la sua
grazia.
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