Storie dell’Avvento/5. La vecchia e lo gnomo del giardino
Aveva smesso di piovere durante la notte, se
ne era accorta perché il silenzio l’aveva svegliata. Le previsioni dicevano che
ci sarebbe stato il sole e sole fu. I platani e gli ippocastani erano nudi,
mentre resistevano ancora manciate di foglie gialle e rosse sugli aceri.
Sembrava che quegli alberi rifiutassero di accettare che la stagione fosse
ormai prossima all’inverno. C’erano addirittura due foglioline verdi, deboli e
già stropicciate, che non sarebbero sopravvissute alla prima gelata. La donna,
né giovane, né vecchia, ma più vecchia che giovane, uscì a passeggiare in
giardino. Le lunghe gonne marroni, che d’inverno indossava a strati, uno
sull’altro, spazzavano il sentiero e le foglie secche. Forse aveva iniziato a
rimpicciolire come accadeva agli anziani, forse avrebbe dovuto accorciare gli
orli. Intanto che camminava, spostava con la punta del bastone foglie morte e
sassi. Si poteva giocare alla morra cinese con foglie, sassi e un bastone? Chi
avrebbe vinto chi? Quando arrivò al suo acero preferito, il più alto, grande e
vecchio di tutto il giardino, vide che su di lui di foglie non ce n’erano più.
Di lui poteva fidarsi per valutare l’andamento delle stagioni. Se non c’erano
più foglie, l’inverno era arrivato. Quando avrebbe letto i primi germogli tra
la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, sapeva che in un mese e mezzo tutto
sarebbe esploso nella nuova fioritura. Fu mentre girava intorno all’albero,
piccolo rito che compiva tutti i giorni, vide accanto alla panchina, che
d’estate beneficiava dell’ombra dell’acero, uno gnomo da giardino con la faccia
arrabbiata che qualche buontempone le aveva lasciato lì. Forse era un gioco,
portare un nano in giro e fotografarlo, magari poi se l’erano dimenticato. Quando
si avvicinò per guardarlo meglio, le sopracciglia del nano si aggrottarono
ancor di più, lo sguardo si alzò verso di lei e un’invettiva tonante uscì da
quel petto largo che avrebbe meritato altre spalle e altre gambe. “Vrsmhl@#!!” “prfrs@@##!!!”.
Benché non avesse capito un accidente di quelle parole, pronunciate in chissà
quale lingua, si rese conto che l’omino si sapeva comunque esprimere con sufficiente
chiarezza perché stava indicando la giubba verde senza diversi bottoni, i
gomiti lisi anche sulle toppe, il cappello da gnomo, verde con una coccarda
rossa, tutto sfilacciato, i pantaloni all’inglese strappati in più punti e
anche gli stivali erano malmessi e di sicuro non lo proteggevano dalla pioggia.
Ci mise meno di un istante a decidere, fece cenno allo gnomo di seguirla e si
incamminò verso casa. Saltellando e continuando a imprecare “Prul@@##!
Csss##@@!”, il mancato nano da giardino camminava e saltellava come fanno i
bambini e tenne il suo passo. Quel che la donna ancora non sapeva era che, per
essere uno gnomo, era ancora molto giovane, poche centinaia di anni appena,
anche se doveva essersi allontanato da parecchio dalla sua famiglia, visto com’erano
malmessi i suoi abiti. La donna guardò con occhio critico anche le sue vecchie
gonne marroni, la giacca lisa e sfilacciata, sentì i capelli sfuggiti allo
chignon che ricadevano in ciocche disordinate sul collo e intorno al viso, si
vergognò del fazzoletto che metteva per uscire quando non aveva voglia di
pettinarsi. Cosa mangiavano gli gnomi? Bacche, felci, funghi crudi? Mentre si
poneva le oziose domande, il nano era salito in piedi su una sedia e stava
guardando con occhi languidi, il ciambellone con la granella di zucchero che lei
aveva sfornato il pomeriggio precedente. Così ne tagliò una fetta abbondante
per l’inaspettato ospite e andò alla cucina economica per scaldargli una tazza
di caffèlatte. Ma, accipicchia! Non aveva fatto in tempo a girarsi che la
fettona di ciambellone era già sparita nella pancia dello gnomo. Aspettò di
servirgli anche la bevanda prima di tagliarne un’altra, ma lui fu più lesto e
si impadronì della metà torta restante e in quattro bocconi la inghiottì.
Accipicchia! Esclamò la vecchia! Ma da quanto tempo non mangiavi? “Fffreupr@@##!!!”,
sì doveva essere proprio tanto tempo. Visto che era ancora in piedi sulla
sedia, Emma si avvicinò e, lesta quanto lui, estrasse dalla tasca della gonna
il suo centimetro da sarta arrotolato e gli misurò le spalle, la lunghezza
della braccia, la lunghezza della vita e della schiena, la circonferenza delle
braccia, del torace, della pancia e della vita. Lo gnomo guardò in silenzio
mentre lei gli prendeva le misure. Quando gli fece cenno di sollevare la giubba
per misurare la lunghezza del cavallo dei pantaloni, riuscì anche ad arrossire
e chiuse gli occhi. Lei sorrise, non erano molti i maschi così pudici, di
solito si offrivano sfrontatamente alle sue mani, ma lui no, lui era diverso. Sotto
la giubba c’erano anche un gilet verde e rosso, sopra una camicia e una
canottiera di lana. Sotto i pantaloni portava di sicuro dei mutandoni di lana, perché
così si usava in quei tempi. E anche dei calzettoni di lana grezza che dovevano
fargli prurito sotto ai vecchi stivali. Prima che lui ricominciasse a
imprecare, mise a scaldare un pentolone d’acqua per fargli fare il bagno e andò
nel ripostiglio a cercare quegli stivali da ragazzo che non sapeva neanche più perché
fossero lì. Allo gnomo si illuminò lo sguardo quando vide le calzature nuove e
quando lei gli indicò la bagnarola pronta a essere riempita, fece per
protestare, ma poi cambiò idea e fece cenno di sì con il testone che non teneva
più ciondoloni ma che stava ben ritto sul collo. Dopo avere riempito la
bagnarola, la schermò con il paravento che teneva chiuso in un angolo, mise in
mano all’ometto un pezzo di sapone di Marsiglia e un grande telo da bagno e gli
fece cenno di andare nella vasca. Lo gnomo obbedì senza fiatare.
Curiosi di sapere cosa succede poi? Anch’io e
lo scopriremo domani, per oggi, domenica 12 dicembre del secondo anno senza
Carnevale dobbiamo accontentarci dell’inizio di una nuova storia. Questa
Cronaca 644 ridacchia, perché pensa di sapere cosa accadrà domani. Ma lo sa
davvero? Intanto che vada anche lei a farsi un bagno prima di andare a dormire.
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