Storie dell’Avvento/3. Hans dei lupi e dei mirtilli
Non aveva ancora deciso se preferiva
raccogliere i mirtilli, affondare le dite tra i rami e far cadere i frutti nel
cestino o chinarsi a raccogliere le fragoline di bosco che si nascondevano
dietro le foglie. Così si offriva sempre di andare per i boschi a raccogliere
quei piccoli frutti e tanti riusciva a portarne a casa, tanti ne aveva mangiati
durante la raccolta. Fu durante uno di quei giri che un’estate, Hans aveva
trovato dei cavalletti di filo spinato arrugginito e dei cartelli in una lingua
straniera con un alfabeto strano che non aveva mai visto. Quando tornò a casa
chiese alla mamma di quei cavalletti e dei cartelli indecifrabili e la mamma
gli aveva raccontato che un tempo quello era un confine con un grande paese che
si chiamava Unione Sovietica, ma che non esisteva più da ben prima della sua
nascita. Hans amava le vecchie storie, ma sembrava che nessuno conoscesse la
storia di quello specifico confine, così dopo qualche giorno era tornato a
curiosare senza dire niente a casa. Erano ormai passati diversi anni da quell’estate
e tutto il paesaggio intorno era innevato, anche se l’inverno ancora non era
arrivato. In tarda mattinata, quando era ancora a scuola, il bambino iniziava a
programmare un altro pezzetto di esplorazione della grande casa di Sollia.
Nonna gli aveva detto che c’era stata una grande riunione segreta di uomini
importanti, ma che la casa era crollata sotto il peso di una tremenda nevicata
durante una tempesta, quando il nuovo secolo era appena iniziato. Ma sbagliava
anche nonna, il cielo bianco della stagione fredda custodiva bene quel segreto.
La grande casa bianca non era crollata, era stata solo inghiottita dal bosco e
quando gli ultimi proprietari avevano chiuso l’albergo, se ne erano andati in
città lasciando tutte le loro cose lì. O forse non se ne erano andati, forse
erano scappati, o erano morti. Il confine tra i due stati attraversava la casa
a zig-zag, così in cucina stavi in Norvegia e in salotto in Unione Sovietica.
Hans lo sapeva perché nello studio del signor Einar aveva trovato diverse mappe
molto dettagliate e carteggi di uomini politici importanti in quel lontano
passato. Non aveva mai svelato a nessuno di quei ritrovamenti, così la casa di
Sollia era diventata il suo rifugio, dove d’estate si fermava anche a dormire,
quando la famiglia pensava che lui fosse in giro per i boschi a caccia. Nell’armadio
della signora Astrid, la moglie di Einar, erano custoditi abiti di tutti i
decenni del secolo Ventesimo. Fossero esistiti ancora i musei quella casa
sarebbe stata già un museo. Invece, era la sua casa segreta, la casa dove un
giorno sarebbe andato ad abitare. O da dove sarebbe fuggito, un giorno. Nella dispensa
aveva accumulato barattoli di marmellata di mirtilli e di fragole che aveva
imparato a fare guardando la nonna e la mamma innumerevoli estati. Aveva conservato
anche farina, sale e zucchero, strutto, carne secca e aringhe sotto sale. Poteva
resistere tutta la stagione fredda con quel cibo e poi rinnovare le scorte. Aveva
esplorato tutta la casa e nella grande biblioteca c’erano molti più libri di
quanti ne avrebbe mai potuti leggere in tutta la vita. Aveva trovato anche un
corso di russo e diverse grammatiche che si potevano studiare utilizzando delle
cassette, come aveva visto fare nei vecchi film. Ora che era diventato
abbastanza grande per la caccia, aveva comunicato in famiglia che sarebbe partito
alla ricerca di volpi artiche e di lupi. Ne aveva già avvistati parecchi, ma
non aveva cuore di ucciderli. Anzi, quando si avvicinavano alla casa buttava
sempre dei pezzi di carne per sfamarli. Il branco, piccolo, aveva imparato a
fidarsi e aspettava che il vecchio maschio alfa si avvicinasse fino al cancello
che recintava il giardino e poi anche gli altri si avvicinavano. C’erano la sua
compagna, altre tre femmine di età diverse e un solo maschio giovane, troppo
giovane per allontanarsi dalla famiglia. Indietro restava sempre un altro lupo,
così vecchio che maschio o femmina era impossibile dirlo. Quando la carne secca
cominciò a scarseggiare, Hans decise di andare a caccia e non gli fu difficile
abbattere un cervo. Dopo averlo scuoiato e smembrato, aveva portato via la
carne e il grasso che riusciva trasportare sullo slittino e aveva lasciato la
carcassa ai lupi che gradirono molto. La pelle del cervo avrebbe potuto
conciarla per farne pantaloni e una giacca nuova per l’estate. Ma quel giorno
non vedeva l’ora di tornare a casa per leggere Čërnyj monah, il racconto il
monaco nero di Anton Čechov che aveva già letto tradotto e che aveva deciso
di leggere in originale, ora che padroneggiava piuttosto bene la lingua russa. In
lontananza sentiva i lupi ululare, la neve aveva ricominciato a scendere,
attizzò il fuoco e si sedette alla scrivania. Aveva deciso che leggere non gli
bastava, doveva anche copiare quelle frasi per impadronirsi della lingua e di quella
storia. La pendola del salotto batté le due del pomeriggio, fuori la notte
scendeva con passi di volpe.
Oggi è lunedì 6 dicembre del secondo anno
senza Carnevale e le Storie dell’Avvento continuano a presentarsi alla mia
porta, così anche questa Cronaca 638 si rotola nella neve come un cucciolo.
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