Storie dell’Avvento/4. Il romanzo della seconda figlia
Avevo comprato le prime cartoline da un
rigattiere che aveva il negozio davanti al Duomo di Cefalù. Erano tutte
fotografie della famiglia Lanza, ormai estinta e dimenticata. Uomini con baffi
imponenti, donne con ampie scollature e collane di perle a più giri. Feste della
Bella Epoque, gli ultimi anni prima che il Vecchio Mondo iniziasse a
dissolversi e la vecchia Europa a suicidarsi. L’album che conteneva le venti
fotografie era rilegato in una delicata pelle color avorio, probabilmente
capretto. Una ghirlanda d’oro zecchino sottolineava la forma rettangolare e le
iniziali dell’antica proprietarie erano impresse nell’angolo inferiore destro,
sempre in oro. Donna Camilla era la matriarca della famiglia, rimasta vedova ancora
giovane, aveva preso in mano le redini della tenuta e l’aveva fatta prosperare
garantendo così un futuro ai tre figli, due maschi belli come il loro defunto
padre e una femmina bella come la madre. Non era facile essere una donna bella
e non maritata a quei tempi. Anche i più rispettabili padri di famiglia si
sentivano in diritto di proporre la loro compagnia. Ma donna Camilla, così mi
raccontò il rigattiere, non accettò le avances di nessuno. Il vecchio
negoziante non sapeva molto altro, però pensava che avrei potuto trovare
informazioni nell’archivio del Duomo e di sicuro anche nell’archivio del Museo
Mandralisca, perché donna Camilla era stata grande amica della baronessa Maria
Francesca. Non avevo, al tempo, intenzione di fermarmi più a lungo nella pur
bella cittadina di mare e mi ripromisi che ci sarei tornata. Cosa che non
accadde, però, per tantissimo tempo. Fu proprio un paio di anni più tardi che
mi trovavo a Parigi in cerca di ispirazione e, come sempre, girovagavo per i
mercatini delle pulci. Potete immaginare il mio stupore quando, su una
bancarella specializzata in vecchie fotografie, trovai un secondo album di donna
Camilla. La festa fotografata doveva essere stata in uno dei palazzi sui grandi
boulevard parigini. I soffitti altissimi del salone, i lampadari, i tappeti,
gli oggetti rimandavano di certo a un’epoca di poco successiva a quella del
primo album. Donna Camilla era sempre al centro delle fotografie, ancora
splendida, circondata dai figli e da numerosi amici. Il rigattiere mi disse che
possedeva quell’album da parecchi anni, che lo aveva comprato dopo che la casa
ritratta era stata sgombrata e venduta perché gli eredi erano troppi perché potessero
andarci a vivere tutti. Ricordava Marcel, questo era il suo nome, che un suo
collega che aveva una bancarella sulla Rive Gauche, ne aveva comprati altri due
e forse avrebbe saputo raccontarmi qualcosa sulla storia delle persone
ritratte. Comprai l’album senza questionare sul prezzo, sempre troppo basso
secondo me, e mi precipitai a cercare il secondo rigattiere parigino che si
chiamava Philippe. Conoscendo la loro scaltrezza, chiesi con aria vaga se
avesse vecchie fotografie e lui estrasse da un cassetto proprio i due album di
cui mi aveva parlato l’altro. Che, prima che io arrivassi, gli aveva telefonato
e lo aveva avvisato che un’italiana sarebbe passata a chiedergli proprio quelle
foto. Mi chiese per i due album lo stesso prezzo ottenuto da Marcel e anche
questa volta fui ben contenta del mio acquisto. Nel primo album c’erano
immagini della vita quotidiana, tavole imbandite, bambini che giocano in un
giardino rigoglioso, fotografie di alcune stanze dove dovevano essere stati
cambiati i mobili ma non i lampadari perché li riconobbi in diverse
inquadrature. Nell’altro album erano riconoscibili le spiagge di Honfleur e
Cabourg, le Falaise de Vaches Noires, il porticciolo, le case sulla spiaggia di
Bayonne e Biarritz, l’ancor più minuscolo porticciolo di Saint Jean de Luz. C’erano
panoramiche, ma anche fotografie di alcuni dettagli delle case e delle spiagge.
La particolarità di quest’album era la totale mancanza di figure umane. Non trovai
altro materiale sui Lanza, ma tornai a Milano con il mio ricco bottino e la mia
piccola collezione che meritava di essere esposta. Mentre mi arrovellavo su chi
coinvolgere in questo mio intento, feci un giro alla fiera degli Oh Bej! Oh Bej!
Dove mi aspettava una nuova sorpresa. Su uno dei banchetti c’era un altro album
di fotografie gemello di quelli già in mio possesso, una borsetta da sera
ricamata con perline di vetro e perline di fiume, un ventaglio di piume di
struzzo, una spilla di ametiste. Il rigattiere mi disse che li aveva comprati
da una vecchia signora che abitava proprio nel quartiere di Sant’Ambrogio e
che, ogni tanto, si liberava dei cimeli di famiglia per permettersi di
continuare a mantenere il suo stile di vita abbastanza dispendioso. Come si
chiamava la signora? Magari Assunta, che era il nome della figlia di donna
Camilla? No, mi rispose l’uomo, si chiamava Maria Francesca in onore della
baronessa amica di sua madre. Questa seconda figlia non mi era stata citata dal
primo rigattiere, ne appariva nelle fotografie in mio possesso. Se le interessa
tanto – mi disse l’uomo – vada a trovarla. Le piace chiacchierare, vedrà che
magari riuscirà a fare qualche buon affare con lei. Ebbi così il numero di
telefono e una volta tornata a casa, la chiamai. Una voce non particolarmente
anziana, ferma e gentile, rispose al terzo squillo. E qui inizia la storia che
ho raccontato in questo romanzo ancora senza nome.
Oggi è giovedì 9 dicembre del secondo anno
senza Carnevale e questa Cronaca 641 sta giocando con le mie collane di perle.
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