Storie dell’Avvento/2. La maestra Margherita
e la biblioteca sugli Appennini
La stazione era così piccola e così poco
importante che non costruirono il muro intorno se non quando tutta la frontiera
era già stata definita e nei paesi più grandi la gente cercava di scappare, ma
era troppo tardi. La casa cantoniera, di mattoni rossi, con il tetto di tegole
rosse, le imposte e le porte verdi e bianche sembrava una di quelle casette
delle favole fatte di canditi e pan di zenzero. Quando le due squadre di
muratori, una che arrivava da est e l’altra da ovest furono a pochi metri dal
giardino, si fermarono a pranzare e a decidere se far passare il muro davanti o
dietro la casa. Quando la signora Margherita li aveva invitati a mangiare i
tortellini in brodo col pezzo di parmigiano intero e il cappone, agli operai
non era sembrato vero. E mica c’erano solo i tortellini, la padrona di casa
aveva fatto anche lo stinco di maiale al forno con le patate e dei tortelli
alla crema che si scioglievano in bocca. Aveva servito anche del Lambrusco non
troppo vivace e lasciato che gli operai si prendessero tutto il tempo per
mangiare e fare anche una pennichella. Mentre dormivano tutti, lei sussurrò
nelle orecchie dei due capomastri la soluzione per finire di costruire il muro.
Senza più consultarsi le due squadre terminarono il lavoro e così quella che
arrivava da est finì il muro contro lo spigolo della facciata che guardava a
sud e la squadra che veniva da ovest, aveva finito il muro contro lo spigolo
della facciata nord. Così si entrava da una parte e si usciva dall’altra, cosa
che tutto il paese e la regione seppero nel giro di pochi mesi, ma che nessuno
si sognò di segnalare all’autorità suprema. Con il tipico spirito che aveva
contraddistinto quell’antica nazione che si chiamava Italia, non c’era legge o
norma o regolamento che non potesse essere battuto dal sano pragmatismo che
aveva permesso al popolo di sopravvivere a qualunque forma di potere. Anche quando
la pandemia dell’inizio del terzo decennio del secolo aveva fatto implodere l’ordine
costituito, e non solo in Italia ma in tutto il mondo, i sopravvissuti avevano
dovuto fare i conti con l’interruzione di qualunque rete di comunicazione per
parecchio tempo. All’inizio fu il panico, perché dopo quella che sembrava una
normalizzazione, il coronavirus era esploso con una forza che neanche l’influenza
spagnola aveva avuto nel secolo precedente, quando aveva sterminato circa l’otto
per cento della popolazione mondiale. Nel giro di pochi mesi la popolazione era
dimezzata, le pire funebri offuscavano tutti i cieli del pianeta, la società
cercava di riorganizzarsi intorno ai sopravvissuti. Sparirono tutti quei
mestieri legati alla società iperconnessa, basta marketing e pubblicità, basta
moda e intrattenimento. Le metropoli erano diventate monumentali deserti
battuti dal vento e dai cani inselvatichiti che si muovevano in branco a
cercare cibo. La vita era diventata possibile solo nei piccoli centri agricoli
e manifatturieri e bisognava sperare che non arrivassero bande di giovinastri a
cercare di rubare il cibo. Ma bande di giovinastri non ce n’erano, perché il
virus aveva colpito soprattutto i giovani e i bambini e risparmiato gli anziani.
Per fortuna dei sopravvissuti c’erano molti che ancora sapevano fare lavori
manuali e c’erano infermiere e dottori, qualche militare e gente che sapeva
cucire e cucinare, badare agli animali, mucche, pecore e maiali non mancavano,
così come non mancavano gli orti e i campi di grano che potevano essere
coltivati con grande fatica, ma qualcosa cominciava a funzionare quando la
grande frontiera era stata disegnata per tenere lontani quelli che arrivavano
da sud e che spesso, erano portatori del virus. Le scorte di cibo accatastate
nei paesi ancora non erano finite, sarebbero bastate ancora per qualche anno,
ammesso che dopo qualche anno ci fossero ancora sopravvissuti in giro. Quando Margherita
aveva visto i muratori aveva deciso di dare fondo alla dispensa, convinta che
ormai non sarebbe vissuta ancora a lungo. Invece, le cose andarono meglio,
erano stati ripristinati i telegrafi e le radio per tenersi in contatto. Nei paesini
venivano usati di nuovo i piccioni viaggiatori e il mondo occidentale si era
ritrovato a vivere come se la rivoluzione industriale non fosse ancora
iniziata. Margherita era una maestra in pensione e ci vollero un paio d’anni
prima che ci fossero abbastanza bambini e ragazzi da far studiare a Modigliana.
Lei era contenta che il paese si fosse ripopolato e che i comuni della Romagna
fossero riusciti a federarsi con quelli dell’Emilia, ma ognuno era padrone
della propria terra e della lingua. Anche la biblioteca aveva riaperto e c’erano
abbastanza libri e vecchi film per poter raccontare com’era il mondo prima
della nuova era.
Oggi è domenica 5 dicembre del secondo anno
senza Carnevale e una nuova storia ha bussato alle porte della mia Cronaca 637
che un po’ si sente medioevale e un po’ futurista.
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