venerdì 20 novembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/257: polline e api, tempo e nuvole stanno nell’angolo del nostro occhio

 


Per ogni cosa che accade, per ogni cosa cercare sempre il suo contrario, contrastare le cose tristi con immagini belle, contornare le cose belle con la loro ombra per non dimenticare quanto la bellezza e la poesia siano fragili alleati del nostro passaggio in questa realtà.

Oggi sono uscita dalla casa nella città silenziosa e ho percorso la strada dove dimora l’albero bellissimo che mi fa compagnia da decenni.

Ho salutato le ultime foglie che vibravano nell’aria e ho visto un nugolo di farfalle estive svolazzare nel giardino della Casa delle Parole.

Hanno nomi bellissimi queste farfalle, l’Aglaia arancione, la Colia gialla, la Melitea tigrata, la Vanessa del Cardo. Hanno nomi antichi la maggior parte delle farfalle e questi nomi non dicono la bellezza, bisogna affidarsi allo sguardo e alla memoria.

L’aria era tersa dopo giorni di umidità spessa e noiosa, durerà poco perché qui, nella città sospesa, l’umidità è una sorta di mantello, così nella via vuota ho respirato per dieci secondi l’aria che aveva sentore di foglie secche, erba appena tagliata, sottobosco e riva di un lago.

Il lago che amo più di tutti, l’ho già scritto all’inizio delle Cronache, è il Lago d’Orta dove ho trascorso, soprattutto in autunno e inverno, giornate magnifiche. Quell’odore inconfondibile, lo sciabordio dell’acqua ferma che tocca le rive, le anatre che stanno per partire, il profilo dell’isola e dell’antico convento. E solo pace intorno e solo silenzio e una profondissima quiete.

In Piazza Piemonte mi sono incantata a guardare la falce di luna tra i due “grattacieli” dell’architetto Mario Borgato. Gli appartamenti magnifici dell’ultimo piano erano illuminati, non lo sono quasi mai, questa sera.

Ho affiancato a questa immagine il ricordo di una sera di giugno in cui uscivo dal cinema Zenit, dove ora c’è la libreria Feltrinelli che sta per riaprire, e il cielo splendente dell’estate faceva scintillare le due torri e guardandole avevo pensato che non le avrei mai più viste in un’immagine così definitiva e iconica. E così è stato e ogni volta che le guardo mi chiedo perché due torri e non tre e non una soltanto. Forse anche perché le torri soffrono di solitudine e hanno bisogno di rispecchiarsi in una gemella che sta accanto.

Nel quartiere gli unici negozi chiusi sono quelli di abiti, scarpe, le gioiellerie e il pub. Tutto intorno la gente fa file disciplinate e aspetta senza protestare, si fanno battute sulle mascherine e una pasticcera che lavora da Elli, una delle migliori pasticcerie di Milano, sempre lì in piazza mi ha detto “Signora, ormai sto imparando a riconoscere il sorriso dei clienti dagli occhi e lei sta sorridendo ora!”.

Al buio dei negozi chiusi oppongo il tripudio di stoffe colorate che riempivano tutta la casa, quando mia madre doveva scegliere i tessuti per i nostri abiti estivi. Oggi ho pensato a quell’abito di lino nero con piccoli disegni geometrici rossi e bianchi, gialli e blu, alla cintura gialla e alta, alla giacca dello stesso tessuto e al piacere di indossare un abito cucito su misura.

Alle strade poco trafficate, ma non vuote come durante il primo confinamento, ho regalato schiamazzi di ragazzini e di clacson, arrivati sino a me da qualche sabato degli anni Novanta.

Alla desolazione delle edicole chiuse ho opposto quella barocca e ridondante di giornali che stava in piazza prima del parcheggio sotterraneo e dove era un piacere fermarsi a curiosare.

Mentre stavo sovrapponendo lo sguardo del passato a quello del presente, un’immagine della piazza devastata, come dopo un bombardamento, mi ha aggredita. È il ricordo di un sogno di epoche scomparse, forse un ricordo non mio del quartiere martoriato dai bombardamenti nel 1943.

In altri luoghi della città sono passati nel cielo gli storni migratori, ma non qui. Da tanto tempo sono spariti gli uccelli canterini e i piccioni che facevano concorrenza a piazza del Duomo. Sono sparite anche le cornacchie, e non mi dispiace, e così sono arrivata a pensare che qualcuno se li sia mangiati perché come hanno fanno a sparire tutti insieme così?

Alla notte che è scesa offro da un lato il ricordo del giorno che è appena trascorso, un giorno molto simile ai suoi predecessori, e dall’altro lato offro la speranza dell’alba, quel ritorno della luce che invochiamo da millenni, noi della specie umana.

Siamo figli della tenebra tanto quanto la luce, ma è alla luce che siamo devoti, mentre trascuriamo le nostre ombre sul selciato, anche se le abbiamo sempre accanto.

Basta chinare lo sguardo e cambiare prospettiva. A volte nell’angolo dell’occhio si posano polline e api. Altre volte sono le farfalle e i fiori che non abbiamo colto. A volte uno sguardo amoroso che attraversa gli anni e le nuvole per posarsi su di noi, delicato proprio come le nostre farfalle.

Oggi è venerdì 20 novembre dell’anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 257, dove gli sguardi si incontrano e si riposano.

1 commento:

Camilla Miglio ha detto...

Grazie per questi sguardi sulla vita. I cieli le ali le foglie. Attraversiamo la notte con queste piccole luci