giovedì 26 novembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/263: da due continenti viene il vento che mi vortica intorno

 


Questo infinito, o che appare come tale, tempo tra il tempo di prima e il tempo che verrà è un tempo che ha bisogno di essere raccontato.

È un tempo, soprattutto, che ha bisogno di simboli, di un simbolo almeno per ciascuno di noi, perché l’io che eravamo possa consegnare all’io che saremo una traccia di ciò che era e ciò che non è più.

Portiamo nel tempo futuro che già ci appartiene quel che di noi appartiene al passato. Riusciremo a trovare il modo di far coincidere le due metà? O forse i pezzi sono più di due e potremo rimetterli insieme solo copiando la tecnica giapponese del kintsugi? Di che materia sarà fatto l’oro necessario a riempire le crepe?

Saremo di nuovo uno o saremo, in maniera ancor più evidente, un insieme di frammenti che ricordano l’unità di un tempo ma che esaltano la nostra molteplicità?

Dal mio io passato ricevo un libro di versi e un quaderno già scritto. L’io presente si trasforma ogni giorno nella scrittura di una Cronaca, l’io futuro si gira distratto verso di noi, perché abita un tempo e uno spazio che ancora non ci appartengono.

Il presente è come una chiusa sul fiume, ferma l’acqua, la fa rifluire, lascia che scorra e raggiunga il luogo dove il destino si compie. Le chiare, fresche e dolci acque possono essere il ristoro della terra assetata, possono fuggire di nuovo nelle nuvole e aspettare la prossima pioggia per ritornare. O possono lasciarsi andare, immemori, distratte, quiete fino al mare.

È lì che la bocca cambia sapore e in maniera così violenta, il troppo sale diventa amaro, ci ottenebra il gusto, a stento riconosciamo i sapori e i profumi.

Sale e corbezzolo, mirto e miele, sapori di una terra antica cui Antonella Anedda ci ha ridato la voce

 

Contra Scaurum

 

No ischio iscrivere de Roma.

Meda belluria, dechidu, mutas 'e linu.

Forzis gòi – sunt binti seculus – pessaint cuddos sardos

bennitos a dimandare zusstissia contra Scauro.

 

"Zente chene ide... terra ue peri su mele est 'ele"

 

Gòi nàrriat Cicero in faeddu suo. Ora, in mesu petras

bortat suo lumene, lestru, minutu. Ma sicutera

morint sos distimonzos, s'ape tribulat.

Reghet su mele: limba e 'lidone, gardu et sale.

 

 

*

 

Contro Scauro

 

Non so scrivere di Roma.

Troppa bellezza, eleganza, tuniche di lino.

Forse così – venti secoli fa – pensarono quei sardi

venuti a chiedere giustizia contro Scauro.

 

"Gente senza fede... terra dove perfino il miele è fiele"

 

Così diceva Cicerone nella sua orazione. Ora il suo nome

gira tra le pietre, minuscolo, veloce. Ma come allora

muoiono i testimoni, l'ape si affatica.

Resiste il miele: la lingua di cardo, corbezzolo, sale.

 

 

Qual è il simbolo di questo anno che si avvia all’ineludibile fine?

I balconi affollati di gente che canta, maratoneti solitari che girano intorno allo stesso giardino, il silenzio diurno che le città non hanno mai conosciuto, le scuole chiuse, il lavoro diventato un affare privato.

Quale miele addolcirà la nostra bocca? Quale ape tornerà dall’invisibile a portarci poesia e conforto?

Apro a caso il libro Luce ovunque di Cees Noteboom e una voce risuona subito, alta e chiara, una voce muta che arriva dall’immaginazione.

 

Albero


Sii me, diventa me

almeno una volta nella tua vita inquieta.

Da due continenti

viene il vento che mi vortica intorno

e che danza con me come un uomo.

 

Io non ho anima,

io sono la mia anima.

Nel linguaggio del mio ininterrotto pensare

oscillo e mi piego e mormoro,

albero esemplare

con la sua lingua di una sola parola.

 

Non sono solo i monaci

a cantare, con la loro voce di esseri umani,

ci sono anch’io, sempre qui in attesa

soffrendo per il male del mondo

nella mia forma irripetibile

senza colpa.

 

 

Il mio albero bellissimo, davanti alle mie finestre sarà il simbolo dello sgomento e della poesia di questi mesi, della poesia che da lui mi arriva e fluisce, che a lui ritorna e nutre questa terra malata.

Questa Cronaca 263 è frutto di un giorno intenso di lavoro e studio, di pensieri di libertà, di suggestioni arrivate dalle parole di Chiara Mirabelli e Romano Madera: “Il simbolo è reso possibile dalla mancanza”. In queste mancanze di futuro e vita vissuta in tutte le sue innumerevoli potenzialità, in questa vita cerchiamo il senso e creiamo laddove c’è una mancanza, una crepa, il luogo attraverso cui la luce può filtrare come scriveva l’amato poeta e cantautore Leonard Cohen. La poesia di Antonella Anedda è tratta dalla raccolta Dal balcone del corpo, Mondadori 2007.

 

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