Questo
infinito, o che appare come tale, tempo tra il tempo di prima e il tempo che
verrà è un tempo che ha bisogno di essere raccontato.
È un tempo, soprattutto, che ha bisogno di simboli, di un simbolo almeno per ciascuno di noi, perché l’io che eravamo possa consegnare all’io che saremo una traccia di ciò che era e ciò che non è più.
Portiamo nel tempo futuro che già ci appartiene quel che di noi appartiene al passato. Riusciremo a trovare il modo di far coincidere le due metà? O forse i pezzi sono più di due e potremo rimetterli insieme solo copiando la tecnica giapponese del kintsugi? Di che materia sarà fatto l’oro necessario a riempire le crepe?
Saremo di nuovo uno o saremo, in maniera ancor più evidente, un insieme di frammenti che ricordano l’unità di un tempo ma che esaltano la nostra molteplicità?
Dal mio io passato ricevo un libro di versi e un quaderno già scritto. L’io presente si trasforma ogni giorno nella scrittura di una Cronaca, l’io futuro si gira distratto verso di noi, perché abita un tempo e uno spazio che ancora non ci appartengono.
Il presente è come una chiusa sul fiume, ferma l’acqua, la fa rifluire, lascia che scorra e raggiunga il luogo dove il destino si compie. Le chiare, fresche e dolci acque possono essere il ristoro della terra assetata, possono fuggire di nuovo nelle nuvole e aspettare la prossima pioggia per ritornare. O possono lasciarsi andare, immemori, distratte, quiete fino al mare.
È lì che la bocca cambia sapore e in maniera così violenta, il troppo sale diventa amaro, ci ottenebra il gusto, a stento riconosciamo i sapori e i profumi.
Sale e corbezzolo, mirto e miele, sapori di una terra antica cui Antonella Anedda ci ha ridato la voce
Contra Scaurum
No ischio
iscrivere de Roma.
Meda
belluria, dechidu, mutas 'e linu.
Forzis gòi –
sunt binti seculus – pessaint cuddos sardos
bennitos a
dimandare zusstissia contra Scauro.
"Zente
chene ide... terra ue peri su mele est 'ele"
Gòi nàrriat
Cicero in faeddu suo. Ora, in mesu petras
bortat suo
lumene, lestru, minutu. Ma sicutera
morint sos
distimonzos, s'ape tribulat.
Reghet su
mele: limba e 'lidone, gardu et sale.
*
Contro Scauro
Non so
scrivere di Roma.
Troppa
bellezza, eleganza, tuniche di lino.
Forse così –
venti secoli fa – pensarono quei sardi
venuti a
chiedere giustizia contro Scauro.
"Gente
senza fede... terra dove perfino il miele è fiele"
Così diceva
Cicerone nella sua orazione. Ora il suo nome
gira tra le
pietre, minuscolo, veloce. Ma come allora
muoiono i
testimoni, l'ape si affatica.
Resiste il
miele: la lingua di cardo, corbezzolo, sale.
Qual è il
simbolo di questo anno che si avvia all’ineludibile fine?
I balconi affollati di gente che canta, maratoneti solitari che girano intorno allo stesso giardino, il silenzio diurno che le città non hanno mai conosciuto, le scuole chiuse, il lavoro diventato un affare privato.
Quale miele addolcirà la nostra bocca? Quale ape tornerà dall’invisibile a portarci poesia e conforto?
Apro a caso il libro Luce ovunque di Cees Noteboom e una voce risuona subito, alta e chiara, una voce muta che arriva dall’immaginazione.
Albero
Sii me, diventa me
almeno una
volta nella tua vita inquieta.
Da due
continenti
viene il
vento che mi vortica intorno
e che danza
con me come un uomo.
Io non ho
anima,
io sono la
mia anima.
Nel
linguaggio del mio ininterrotto pensare
oscillo e mi
piego e mormoro,
albero esemplare
con la sua
lingua di una sola parola.
Non sono
solo i monaci
a cantare,
con la loro voce di esseri umani,
ci sono
anch’io, sempre qui in attesa
soffrendo
per il male del mondo
nella mia
forma irripetibile
senza colpa.
Il mio albero bellissimo, davanti alle mie finestre sarà il simbolo dello sgomento e della poesia di questi mesi, della poesia che da lui mi arriva e fluisce, che a lui ritorna e nutre questa terra malata.
Questa Cronaca 263 è frutto di un giorno intenso di lavoro e studio, di pensieri di libertà, di suggestioni arrivate dalle parole di Chiara Mirabelli e Romano Madera: “Il simbolo è reso possibile dalla mancanza”. In queste mancanze di futuro e vita vissuta in tutte le sue innumerevoli potenzialità, in questa vita cerchiamo il senso e creiamo laddove c’è una mancanza, una crepa, il luogo attraverso cui la luce può filtrare come scriveva l’amato poeta e cantautore Leonard Cohen. La poesia di Antonella Anedda è tratta dalla raccolta Dal balcone del corpo, Mondadori 2007.
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