venerdì 6 novembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/243: i sogni restano appesi nel cielo, in attesa che qualcuno voglia sognarli di nuovo

 


È un venerdì qualunque, un venerdì né cupo, né chiaro, addormentato come gli alberi e le nuvole che non si muovono nel cielo striato.

Di cosa? Dei nostri sogni che sono rimasti lassù dalla scorsa notte, come zampilli d’acqua trasformati in scintillanti stalattiti di ghiaccio.

La solitudine, quaggiù sulla terra, ha il colore del melograno maturo e la consistenza del miele. Avvolge ogni cosa, è dolce, è trasparente e ci lascia intravedere quel mondo che sappiamo essere esistito e che non sarà mai più lo stesso, perché ci sarà la cicatrice lasciata dalla pandemia.

Tutti abbiamo cicatrici più o meno vistose, più o meno visibili, cicatrici nel corpo dovute a malattie, incidenti, cadute. Ci dicono che siamo creature vulnerabili e mortali e, allo stesso tempo, che possiamo guarire.

Cicatrici nell’anima, dove le delusioni e le sconfitte, si sono insediate prima che noi fossimo in grado di accettarle. L’anima risplende nonostante le cicatrici perché è il nostro legame con l’eternità, è invisibile ai nostri occhi ma reale come un sogno.

Ci sono poi le cicatrici del cuore, le più dolorose, perché sono legate alle persone più che hai fatti. Il cuore spezzato si rinsalda e si spezza di nuovo, riprende a battere perché non può fare altro. A volte parliamo con il nostro cuore come se fosse altro da noi. Lo consoliamo e lo incoraggiamo perché il legame con le persone, il tessuto di relazioni che ha portato alla nostra nascita, il nuovo tessuto che creiamo noi stessi, è ciò che ci tiene in vita.

Le cicatrici nell’intelletto sono le più insidiose, non dipendono così fortemente dal mondo e dalle persone intorno, ma dalle nostre rinunce a imparare ogni giorno che passa qualcosa di nuovo, a non desiderare di conoscere qualcosa in più del vasto universo che ci abita e di quello che ci ospita. Soffre la nostra intelligenza, quando ci accontentiamo di spiegazioni semplici, quando smettiamo di farci domande e ci accontentiamo di risposte pre-confezionate.

Ora la cicatrice terrestre e celeste che la pandemia lascerà su di noi, condizionerà almeno tre generazioni, verrà ricordata con dolore o insofferenza. Ricorderemo le mascherine che imbrigliano il respiro, i confinamenti in casa, la sparizione degli uffici, la didattica a distanza e tanto altro ancora.

Siamo davvero in bilico tra due mondi, quello vecchio non ancora morto, quello nuovo non ancora nato. A poco, a poco, quando il virus sparirà, se sparirà, l’oblio scenderà e sarà come è stato per l’epidemia di Spagnola del 1918: una nota a margine, un libro di storia, un film, una vecchia narrazione.

Ma i sogni, i nostri sogni, saranno ancora appesi nel cielo, in attesa di qualcuno che voglia sognare di nuovo.

Oggi, venerdì 6 novembre dell’anno senza Carnevale e primo giorno di confinamento e ambulanze frequenti, va così:  mi ha portato, in questa Cronaca 243, a riflettere sul senso delle cicatrici e sui sogni che non svaniscono ma cercano altri sognatori. I libri nuovi sono sempre impilati accanto al letto e ancora non mi risolvo a parlarvene. Arriverà, spero domani, il momento giusto.


 


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