Nell’ultimo
giorno non rosso di questo tiepido novembre, ho scelto di chiedere asilo alla
poesia.
Ho sfogliato un mucchio di libri prima di decidere dove andare e poi, come sempre, è la poesia che mi ha chiamata.
È un lungo testo del neo premio Nobel per la Letteratura Louise Glück e bisogna entrarci molto piano, lasciarsi prendere dalle immagini più che ancora dalle parole.
Se il mondo esterno è un groviglio di pericoli e preoccupazioni, starsene rinchiusi in una poesia come in un guscio d’uovo perfetto, mi sembra davvero una buona strategia di sopravvivenza immaginativa.
L’anima ha bisogno di essere supportata e nutrita, accarezzata e curata.
Facciamolo in compagnia di questi versi che vi invito a leggere e rileggere per prepararsi al primo giorno rosso per lombardi e piemontesi, giallo o arancione per il resto d’Italia.
Albata
Il mondo era
molto grande. Poi
il mondo era
piccolo. Oh
molto
piccolo, piccolo abbastanza
per essere
contenuto in un cervello.
Non aveva
colore, era tutto
spazio
interiore: niente
entrava o
usciva. Ma il tempo
si
infiltrava comunque, quella
era la
dimensione tragica.
Prendevo il
tempo molto seriamente in quegli anni,
se mi ricordo
bene.
Una stanza
con una sedia, una finestra.
Una piccola
finestra, riempita dalle forme create dalla
luce.
Nel suo
essere vuoto il mondo
era sempre
intero, non una scheggia di qualcosa, con
il sé al
centro.
E al centro
del sé,
dolore al
quale non credevo sarei sopravvissuta.
Una stanza con un letto, un tavolo. Lampi
di luce
sulle superfici nude.
Avevo due
desideri: desiderio
di essere al
sicuro e desiderio di sentire. Come se
il mondo
stesse prendendo
una
decisione contro il bianco
perché disdegnava
il potenziale
e voleva al
suo posto sostanza:
pannelli
d'oro dove
la luce colpiva.
Nelle
finestre, le foglie
rossastre
del faggio ramato.
Fuori dalla stasi, fatti, oggetti
sfuocati o
intessuti insieme da qualche parte
il tempo era
agitato, il tempo
reclamava di
essere toccato, di essere
palpabile,
il legno
lustrato
scintillante
di decorazioni -
e poi io ero
di nuovo
una bimba in
presenza di ricchezze
e non sapevo
di cosa le ricchezze fossero fatte.
Rimando di nuovo a domani il girovagare nei tre libri acquistati ieri e vi auguro una buona notte. Oggi è giovedì 5 novembre dell’anno senza Carnevale e questa Cronaca 242 risplende di poesia e autunno. La poesia è tradotta da Elisa Biagini e inclusa nella raccolta Nuovi poeti americani, Einaudi 2006
Aubade
The
world was very large. Then
the world was small. O
very small, small enough
to fit in a brain.
It
had no color, it was all
interior space: nothing
got in or out. But time
seeped in anyway, that
was the tragic dimension.
I
took time very seriously in those years,
if I remember accurately.
A
room with a chair, a window.
A small window, filled with the patterns light makes.
In its emptiness the
world
was
whole always, not
a chip of something, with
the self at the center.
And
at the center of the self,
grief I thought I couldn't survive.
A
room with a bed, a table. Flashes
of light on the naked surfaces.
I
had two desires: desire
to be safe and desire to feel. As though
the
world were making
a decision against white
because it disdained potential
and wanted in its place substance:
panels
of gold where the light struck.
In the window, reddish
leaves of the copper beech tree.
Out
of the stasis, facts, objects
blurred or knitted together: somewhere
time
stirring, time
crying to be touched, to be
palpable,
the
polished wood
shimmering with distinctions--
and
then I was once more
a child in the presence of riches
and I didn't know what the riches were made of.
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