giovedì 17 settembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/193: una cronaca è una poesia scritta nella lingua del giorno

 Quando mi sveglio non so mai di cosa scriverò nella Cronaca. Ho qualche vaga idea, qualche immagine dai sogni, citazioni dalle letture del giorno prima, il volo di un’ape solitaria sulle rose canine in giardino.

Poi il giorno si espande, matura, inizia a sfiorire e le sue immagini restano con me come gli oggetti trovati in riva al mare dopo un naufragio.

Forse la vita è davvero un naufragio, un lento, inesorabile viaggio per mare senza stelle e senza sestante.

Poi, così come si presentano i versi di una poesia nel teatro della mente, proclamati da una voce senza sesso e senza età, anche la materia della Cronaca mi parla.

Mi parlano le immagini, le parole e i suoni. Mi parla il cielo, le nuvole e la strada. Tutto intorno e dentro ha una voce che io sento.

A volte la voce è quella di una persona amica e oggi è quella di Elvio che non vedevo dallo scorso gennaio, prima del diffondersi della pandemia e del lockdown.

Io e lui ci conosciamo da quasi quarant’anni, abbiamo frequentato la stessa scuola superiore, fatto politica negli stessi ambienti e poi, dopo il suo esame di maturità, ci siamo persi di vista per quasi quattro decenni. E quando ci siamo ritrovati non ci siamo riconosciuti, le immagini del passato sono riaffiorate dopo aver “scoperto” che avevamo frequentato la stessa scuola.

Ho frequentato per qualche tempo il suo gruppo di lettura ad alta voce che si riuniva alla Biblioteca Sormani. Lui ha una voce bellissima, cosa che non ricordavo, e grazie a una mia collega che era già nel gruppo, mi ha invitato perché io leggessi un brano dal mio romanzo Frammenti del tredicesimo mese, la cui voce narrante è la città di Milano.

Quando, a causa di svariati motivi, ho smesso di andare al gruppo, io e lui abbiamo continuato a vederci. Elvio è una di quelle persone a geometria variabile di cui ho scritto nei giorni scorsi, parlare con lui è sempre sorprendente. Ha un modo delicato e incalzante allo stesso tempo di fare domande, quando parliamo ho sempre l’impressione di dire cose interessanti e intelligenti, è merito suo farmelo credere, e ascoltarlo mi dà sempre un punto di vista interessante e spesso inaspettato sulle cose che accadono nel mondo.

Oggi abbiamo pranzato insieme, ci siamo raccontati del confinamento, della pandemia, delle aspettative e dei timori, delle cose accadute dalla fine di gennaio in poi. Abbiamo parlate, come sempre anche di libri e letture e lui mi ha chiesto quale fosse il primo libro che avevo letto che mi aveva segnato. Per lui è stato La Storia di Elsa Morante, del suo indimenticabile Useppe.

Per me il vocabolario Zingarelli della Zanichelli che a sette anni non sapendo che leggere dalla prima pagina all’ultima, ho letto in ordine alfabetico, in svariati anni, e poi il Livro de poemas di Garcia Lorca, la poesia della lumaca avventurosa e del Cristo che teneva in mano il suo cuore grondante sangue e miele.

A un certo punto, mentre gli stavo raccontando del riordino monumentale del mio archivio personale, abbiamo convenuto sull’utilità di fotografie, lettere, diari e vecchie sottolineature nei libri che diventano chiavi che aprono porte invisibili su frammenti del passato.

Ci siamo raccontati dei primi amori scolastici, delle cotte e infatuazioni, dei compagni di scuola, del clima che si respirava all’epoca. E, a un certo punto lui mi ha detto che anche altri suoi amici e amiche avevano ritrovato la stessa dimensione di riscoperta del passato anche remoto. Come se “l’impossibilità di viaggiare nello spazio, ci abbia permesso di viaggiare nel tempo, di tornare a persone e luoghi spesso dimenticati. Di sentirli di nuovo nel cuore”.

Come mi piacerebbe raccogliere questi viaggi nel tempo in un libro e non solo l’esperienza nuda del lockdown e dell’angoscia relativa.

Di questi momenti che restano sospesi in noi come polline nell’aria, come polvere nelle lame di luce del sole, Elvio mi ha regalato un momento straordinario. Stava viaggiando in treno di notte, dormiva, si è svegliato alla stazione di Bologna, ha aperto il finestrino, all’epoca si poteva, per guardarsi intorno. Sul binario accanto un altro treno stava per ripartire e una ragazza lo stava guardando dal finestrino di fronte al suo. Uno sguardo col batticuore, uno sguardo grondante sangue e miele. L’altro treno è partito, impossibile per Elvio sapere qualcosa di quella ragazza.

Oggi avrebbe potuto pubblicare una storia su Twitter, Instagram o Facebook e scatenare una “caccia alla donna”.

Ma ai nostri tempi avevamo solo i telefoni duplex e le lettere per comunicare con le persone che ci interessavano.

Così quella ragazza che lo guardava rapito, come lui la stava guardando, è diventata oggi un mito, il simbolo di tutti gli amori impossibili e perduti.

Grazie caro Elvio per questa storia, ti ho detto che ne avrei scritto e l’ho fatto subito.


Questa Cronaca 193 nasce il diciassettesimo giorno di settembre dell’anno senza Carnevale. La poesia di oggi è tutta negli sguardi di quei due ragazzi che non si sono mia più incontrati.


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