martedì 15 settembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/191: non ci sono geometrie cartesiane nel mio cuore

 

Ho già salutato più e più volte l’estate in questi ultimi giorni, ma la stagione bella non è ancora stanca e oggi ha avvolto la città silenziosa in un abbraccio di calore al limite del sopportabile.

In una delle vie del mio quartiere, ricca di bar, bistrot, pizzerie e ristoranti, sono apparsi nuovi dehors, che hanno un’aria così parigina, e piattaforme che sono andate a sostituire un po’ di parcheggi in striscia azzurra. Che bellezza! Vederli mi ha messo allegria. C’era un sacco di gente seduta fuori a pranzare e chiacchierare. Uno di quegli sprazzi di normalità concessi dall’estate ancora rigogliosa.

Ma io già mi ero adagiata tra le braccia del primo autunno e non avevo nessuna voglia di tornare indietro. Ieri sera ho passato una bellissima serata con la mia amica Paola, una serata densa di confidenze, pensieri intelligenti, profondità, risate, commozione, cioè tutto quanto fa un’amicizia e non solo una frequentazione. Quando siamo uscite dal ristorante, una scoperta anche per via della crema catalana allo zenzero, ancora non avevamo finito di parlare e siamo rimaste un po’ a goderci l’aria fresca della sera, con gli aceri e gli ippocastani che seminavano le foglie secche per strada. Ho accompagnato Paola alla sua auto e lei mi ha riaccompagnata sotto casa, dopo avermi regalato una squisita marmellata di fragole e rabarbaro fatta da lei, che è una delle mie persone preferite al mondo, che non è mai banale e scontata e ogni volta che ci vediamo non è solo una riscoperta ma una vera scoperta.

Una delle mie nonne diceva che per conoscere davvero una persona si deve aver mangiato con lei almeno un tummin’ di sale che non ho mai saputo a quanto corrispondesse, ma nella mia testa bambina equivaleva a una tonnellata, perché pensavo, e lo penso ancora, che per quanto si conosca una persona non la si conosce mai davvero fino in fondo, mai.

Anche se ci sono persone che negli anni confermano e reiterano la loro forma, e il pensiero che abbiamo su di loro, che finiscono con l’essere forme geometriche chiuse, che danno conforto come le vacanze sulla riviera romagnola, la pizza il sabato sera e il gelato d’estate. Conosco moltissime persone così, che sono così da quando le conosco e sto bene con loro e non mi aspetto grandi guizzi.

Poi ci sono persone come Paola che sono a geometria variabile e mi sorprendono ogni volta che ci parliamo. Lei e le persone come lei, sono un mare burrascoso, un sentiero in salita, un giardino inselvatichito. Poi la burrasca passa e ti trovi in una baia che non hai mai visto, il sentiero finisce su un prato costellato di fiori e attraversato da un ruscello e abitato da placide mucche al pascolo, il giardino inselvatichito tale non è, e le fragoline di bosco crescono in moltitudine in mezzo all’erba.

L’intensità del sentire e del vivere non significano una vita agiata e senza preoccupazioni. Sentire la vita che ci cresce intorno e che ci attraversa, sentirne le spine sui rovi e pungersi, non fermarsi di fronte alle difficoltà, vivere è anche questo. È non avere timore di guardarsi intorno, di lasciare che le geometrie si aprano e ci permettano di rivelare prima di tutto a noi stessi chi siamo.

Ho sempre sentito profondamente mia questa citazione da Joachim Du Bellay

 

 

La vita è una goccia

di miele che ho potuto

suggere sempre ma

soltanto da un ramo di

rovi.

 

 

E adesso apro il barattolo di marmellata di fragole e rabarbaro, preparo un buon tè e faccio finta che fuori sia autunno anziché estate. E scrivo a un’amica quanto le sue geometrie variabili siano preziose.

 

 

Geometrie

 

Una singola equazione

il risultato è la conferma,

la punta delle dita sulla

piega del tuo sorriso

aspetta l’esito definitivo

che non tolga ombra

al solco di sale che ha

rovesciato nel suo contrario

il triangolo iniziale: 

 

non ci sono geometrie

cartesiane nel mio cuore.

 

 

 

Questa Cronaca 191 appartiene al quindicesimo giorno del nono mese dell’anno senza Carnevale. Il titolo e i versi finali della poesia sono una citazione da Ivan Illich.

La poesia è tratta dal mio primo libro Il calvario della rosa, Moretti&Vitali 2004.

Joachim Du Bellay è citato da Rossana Rossanda con Manuela Freire nel libro-conversazione La perdita.


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