martedì 8 settembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/184: la volta in cui sono diventata vento e poi nuvola, stella e cielo

 

Si incendia l’aria all’alba ed è un fuoco che segue quello di ieri sera al tramonto. Come può essere così bello e indifferente il cielo che ammicca al nostro povero e sofferente mondo?

Posso stare qui, in spiaggia a guardare albe e tramonti, e sospirare al ritmo delle onde. Devo abituarmi alla vita quotidiana, alle ore di lavoro, ai timori legati alla ripresa della scuola, alla vita in mascherina cui è buona cosa abituarsi per contribuire a tenere sotto controllo la diffusione del virus.

Una cerva sbuca dal sentiero, è strano vederla qui in spiaggia. La riconosco, l’ho già vista altre volte in giardino, la stella sulla fronte la rende inconfondibile. Si avvicina, strofina il muso sulla mia mano e poi fugge via.

È anche per questi incontri imprevisti che mi piace vivere in questa terra bizzarra che assomiglia al mondo della città silenziosa ma non coincide proprio con quel che sappiamo della realtà.

Sorella cerva che corri, fratello sonno che mi assedi, come posso rispondere alla chiamata del tempo?

Mi risponde un angelo, sottile e verde come le foglie tra cui si nasconde, “Accetta il vento – mi dice – accettalo sino a diventare vento tu stessa. Abbandonati a questa trasformazione, sperimenta e poi torna nella tua forma usuale più forte e più ricca”.

Torno nella città silenziosa e imbocco una via a caso, la percorro soffiando e scompigliando le adolescenze già folli che bivaccano sui marciapiedi. Mi fermo su un viso, poi su un altro ma sempre per poco tempo e poi ritorno fino alla mia strada e senza neanche averlo pensato, ho forma di nuvola e ascendo nel cielo chiaro del primo mese d’autunno. Anche la melodia che sento è chiara e salva tutte le parole che arrivano dalla terra. Nient’altro che una memoria verbale, come se le parole da sole bastassero a dire la vita.

Una forza ancora più intensa mi risucchia più in alto e sono la quarta stella della cintura di Orione, risplendo per millenni e poi vado più oltre ancora e divento un cielo immenso.

Il cielo che guarda il poeta girare intorno alla torre e le aquile lanciarsi sulla stessa preda.

Solo qualcosa in me ricorda che sono io, che sono dentro la stella e il cielo, il vento e la nuvola.

Io è la mia ancora nel mondo, Io che è un altro e scrive le poesie al posto mio mi riporta al mio tavolo, ai libri aperti che attendono di essere finiti.

Il tempo compirà il suo giro, le ferite antiche saranno rimarginate, l’osso si sarà saldato dopo la caduta e le cicatrici diranno che qualcosa è accaduto, che qualcuno ha avuto cura del suo simile, così abbiamo imparato la pietà e la compassione, così ci siamo staccati dalla pietra e dalla caverna, e siamo diventati coloro che raccontano. A noi il compito di dare voce al mondo e a tutte le creature animate e inanimate.

Così scrivo quello che scrivo e brucio nell’incendio del giorno nuovo. Bevo l’aria e trasformo le foglie in lettere che ti scriverò.

Un istante ancora, un sogno che si disperde nel risveglio, un profumo che mi ricorda la tua pelle. Sei ancora tu o sei un altro cielo, un’altra stella, un’altra nuvola? Non rispondi e mi mostri la tua valigia. Sei tornato carico di storie e sillabe che presto mi racconterai.

Nelle foglie-lettere le parole si moltiplicano, le scriverò anche se ora siamo insieme, scriverò quelle parole essenziali che fanno di noi un verbo coniugato nel tempo futuro.

 

Questa Cronaca 184 è stata scritta l’ottavo giorno del nono mese dell’anno senza Carnevale. Il riferimento all’osso rotto si riferisce a un aneddoto che riguarda l’antropologa Margaret Mead che è di facile reperimento in Rete. Anche oggi le poesie si sono nascoste nella prosa, ma io le riconosco, sillaba dopo sillaba.

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