venerdì 11 settembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/187: lo stupore del primo incontro, io e la rosa

 

Confesso che in giornate come questa mi arrendo alla forza del clima. Il cielo è basso, di colore incerto, l’aria è umida. I passanti sono un po’ di più dei giorni passati, sono lenti, chiacchierano come se niente fosse.

Attraverso la città come una straniera, tutto il mondo lo è, oggi. Non apparteniamo a queste case, non a queste nuvole.

Il cielo cavo ci ha strappato la lingua, balbettiamo e singhiozziamo, cerchiamo la pace ma solo le tempeste arrivano sino a noi.

Non c’è perdono in riva al tuo fiume, tutti gli animali sono fuggiti dal giardino. Non cercare di riportarli indietro.

Devi aspettare che il respiro si plachi. Respira e guarda in alto, respira, respira e aspetta.

Non avere paura, alla paura solo la paura risponde, guarda le api come danzano intorno alla lavanda e al girasole.

Tutti i petali si stirano nelle ultime lame di luce, la pioggia è un temporale e poi un velo. Ha voce di sirena e chiama a raccolta le nuvole lontane.

Aspetto, aspetto una svolta in queste ore. Aspetto perché la pazienza è un esercizio che arriva da epoche lontane e io sono veloce quanto basta e lenta quanto necessario per non cadere nel tempo e chiedere che altro tempo dalla tela si sfili.

Cadono piano le gocce e cado anch’io sul prato, in fondo al giardino e lascio che la pioggia mi impregni e si scaldi al fuoco del mio amore.

Saluto questo giorno e aspetto che sia domani. Lo saluto tornando al suo inizio e lanciando un petalo contro il cielo. Una nuvola lo afferra al volo e si tinge di rosa. Non sapevo di questo amore che fa passare i colori degli amori terrestri agli amori celesti.

Ecco, è finito il volo. Non ci sono petali nell’aria, ma solo il mistero che non hanno svelato.

 

Lo stupore del primo incontro, io e la rosa

 

Sul sentiero delle rose inizio

questo mattino, è incerto

il passo e trema la mano in

questo nebbioso giorno che

già è stato.

 

Scontrosa, chiusa nel suo

bocciolo, la rosa che non

colsi, sfida il mio sguardo

a fare di più, così cedo a

questo richiamo.

 

L’occhio si cesella sulla

forma perfetta, confessa

lo stupore di questo strano

incontro e accoglie la forma

e il nitore.

 

Di quella rosa che aspetta,

aspetta ogni giorno che tu

ritorni e la chiami per nome,

o che almeno sussurri il

tuo tra i suoi petali tesi

e scompigliati.

 

 

Le rose abitano più nella mia poesia che nel mio giardino. Anche questa Cronaca 187 è un roseto fitto che si è mostrato al mondo l’undicesimo giorno di settembre dell’anno senza Carnevale.

La poesia è mia, scritta per questo foglio, anch’esso abitato dalle rose.


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