Confesso che in giornate come questa mi arrendo alla forza del clima. Il
cielo è basso, di colore incerto, l’aria è umida. I passanti sono un po’ di più
dei giorni passati, sono lenti, chiacchierano come se niente fosse.
Attraverso la città come una straniera, tutto il mondo lo è, oggi. Non apparteniamo a queste case, non a queste nuvole.
Il cielo cavo ci ha strappato la lingua, balbettiamo e singhiozziamo, cerchiamo la pace ma solo le tempeste arrivano sino a noi.
Non c’è perdono in riva al tuo fiume, tutti gli animali sono fuggiti dal giardino. Non cercare di riportarli indietro.
Devi aspettare che il respiro si plachi. Respira e guarda in alto, respira, respira e aspetta.
Non avere paura, alla paura solo la paura risponde, guarda le api come danzano intorno alla lavanda e al girasole.
Tutti i petali si stirano nelle ultime lame di luce, la pioggia è un temporale e poi un velo. Ha voce di sirena e chiama a raccolta le nuvole lontane.
Aspetto, aspetto una svolta in queste ore. Aspetto perché la pazienza è un esercizio che arriva da epoche lontane e io sono veloce quanto basta e lenta quanto necessario per non cadere nel tempo e chiedere che altro tempo dalla tela si sfili.
Cadono piano le gocce e cado anch’io sul prato, in fondo al giardino e lascio che la pioggia mi impregni e si scaldi al fuoco del mio amore.
Saluto questo giorno e aspetto che sia domani. Lo saluto tornando al suo inizio e lanciando un petalo contro il cielo. Una nuvola lo afferra al volo e si tinge di rosa. Non sapevo di questo amore che fa passare i colori degli amori terrestri agli amori celesti.
Ecco, è finito il volo. Non ci sono petali nell’aria, ma solo il mistero che non hanno svelato.
Lo stupore del primo incontro, io e la rosa
Sul sentiero delle rose inizio
questo mattino, è incerto
il passo e trema la mano in
questo nebbioso giorno che
già è stato.
Scontrosa, chiusa nel suo
bocciolo, la rosa che non
colsi, sfida il mio sguardo
a fare di più, così cedo a
questo richiamo.
L’occhio si cesella sulla
forma perfetta, confessa
lo stupore di questo strano
incontro e accoglie la forma
e il nitore.
Di quella rosa che aspetta,
aspetta ogni giorno che tu
ritorni e la chiami per nome,
o che almeno sussurri il
tuo tra i suoi petali tesi
e scompigliati.
Le rose abitano più nella mia poesia che nel mio giardino. Anche questa Cronaca 187 è un roseto fitto che si è mostrato al mondo l’undicesimo giorno di settembre dell’anno senza Carnevale.
La poesia è mia, scritta per questo foglio, anch’esso abitato dalle rose.
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