lunedì 7 settembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/183: se lancio le mie parole nell’aria il vento le porterà sino a te?


Si entra nel silenzio come nell’acqua fredda del mare a inizio stagione, tutto d’un colpo.

A volte si entra nel silenzio per sottrazione, un rumore dopo l’altro tutto tace, o almeno pare che taccia.

Con gli occhi chiusi il silenzio diventa ancora più vivido, il respiro diventa gigantesco e il mondo intorno non più vasto, ma minuscolo, perché lo abbiamo chiamato a noi.

Diventa un presepe il mondo, e noi ci avviciniamo alla caverna seguendo una stella cometa invisibile agli altri. Lì, nel cuore di tutte le nascite, si mescolano il respiro del neonato e quello degli animali.

Non c’è silenzio laggiù, non c’è silenzio neanche nella città oggi, piove e fa freddo, il traffico incalza la strada e l’autunno ha già occupato gli alberi e sta costringendo le foglie a fargli spazio.

Cosa c’è nell’aria stamane che rende tutto diverso? Quel che resta del sogno sembra darci la risposta.

Noi siamo quel che resta del sogno dell’estate, noi e soltanto noi, che trasciniamo le ossa sul cammino che porta al bosco da un lato e su quello per la scuola dall’altro.

Agli occhi non bastano le finestre, non basta il giro intorno alla casa. Se rimango chiusa tra queste mura le parole faranno naufragio e non saprò dove andarle a cercare.

Il silenzio tiene unite le rose in fondo al giardino, le sfiora e poi le consola. Arrivo, portata dal profumo che inseguo, le sfioro io pure e divento quello stesso silenzio.

Poi mi sdraio sul prato per dare requie agli occhi sconsolati e guardo. Le chiome degli alberi che sfrangiano il cielo grigio, poi il cielo orlato di nuvole, uno squarcio d’azzurro e di sole, il vento che scompiglia me e le rose.

Poi la pioggia mi annuncia che sta arrivando, poche gocce mi sfiorano il viso, sorrido. Saranno le stesse nubi d’Occidente che già hanno impregnato il tuo giardino? Se lancio le mie parole nell’aria il vento le porterà sino a te?

Lo sguardo senza finestre si espande e cerca la cintura di Orione, anche se so che dovrei essere più vicina all’orizzonte per vedere le tre stelle che cerco.

È lo sguardo che crea il mondo o il mondo che determina il nostro guardare?

Dall’alfa all’omega di ogni giorno creiamo e distruggiamo tutto intorno e non possiamo smettere di farlo.

L’orizzonte è invisibile, ma le aquile gli volano contro per poi tornare e dirci che non c’è niente dietro, che anche il cielo è un sistema chiuso e che il movimento sembra infinito solo perché giriamo in tondo.

Siamo oblunghi come i gatti sdraiati nell’erba e guardiamo il rosso del vino mutare il colore del calice.

Così è il mondo: trasparente e nitido. I colori sono opera nostra e del vento, di un rimpianto e di un desiderio.

Non sono menzogne quelle che scrivo, il mondo è davvero fragile come un cristallo e solo l’amore fà sì ogni giorno che, al nostro risveglio, diamo al mondo la nostra forma e la nostra speranza.

Le finestre sono tutte spalancate ora, i cardini cigolano e il vento entra ed esce dalla casa come se fosse il vero padrone.

Non mi ascolta, chiamo il tuo nome allora e solo un’eco mi risponde. Poi ti sento arrivare dal sentiero del bosco e mi tranquillizzo.

Raccolgo le mie distrazioni insieme alle more dal loro cespuglio. È tempo di tornare, la fiamma brilla in cima alle candele e solo un uomo è ancora addormentato nel giardino e sogna la pioggia che gli bagna il viso.

 

Questa Cronaca 183, scritta il primo lunedì e settimo giorno del mese di settembre dell’anno senza Carnevale, segue il filo misterioso delle parole che reclamano un posto nella pagina. Ve le consegno perché sono parole poetiche, fragili e piene di speranza.


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