venerdì 4 settembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/180: le forme dell’amore, un nido e l’eternità



Continuo a essere triste e mesta, mille immagini di Gattina vengono a visitarmi e non è solo lei che mi cerca dal passato. Che è davvero un luogo, un luogo dove siamo già stati e dove possiamo ritornare solo grazie alla memoria e all’immaginazione.

Qui, nella Casa delle Parole tutti risentono della mia tristezza, tutti rivivono i loro lutti e le mancanze. Come riusciamo noi umani a far fronte alla mancanza e alla lontananza? Certo, i bei ricordi aiutano, la nostalgia si mescola con il dolore, la gratitudine con la consapevolezza del dono che è l’aver amato.

L’amore, a dire il vero, possiamo declinarlo in tutti i tempi verbali, sta sempre con noi, con le sue molteplici forme. Gli oggetti del nostro amore, oltre che reali, sono oggetti interiori e vivono in uno spazio che varia dalla forma di un nido all’infinito. 

Il nostro spazio interiore coincide con l’eternità? Con il nostro inconscio individuale? Con l’inconscio collettivo? Psicoanalisti, filosofi e neuroscienziati pongono domande e cercano risposte in merito alla nostra coscienza, al senso di sé, alla memoria. E ancora oggi non ci sono certezze e risposte definitive. Sappiamo tante cose sul “come”, ma nulla sul “perché”.

Per questo voglio continuare a interrogarmi poeticamente e a tessere i fili della poesia e del tempo, così come posso e so fare.

La poesia mi suggerisce che gli oggetti del nostro amore vivono nell’eternità, che niente e nessuno è mai veramente perduto. Che l’amore è quel nido caldo che ci consola, che è un ricordo, una presenza, un’assenza e la nostalgia tutta intera.

La poesia mi conforta, mi fa sentire che posso camminare nel futuro e nel presente allo stesso tempo. È l’intenzione nel presente che crea il futuro. È l’impronta dell’ultimo passo che traccia il senso del passato.

Torno nel nostro giardino, la cerco, è ovunque insieme ai suoi gattini. Sospiro, ritorno in casa, guardo la luce dolce del tardo pomeriggio e mi chiedo cosa scrivere stasera.

Una poesia arriva, plana dolcemente sul mio foglio. Sono parole necessarie, per me, almeno. Per non vivere nel rimpianto e nel dolore, ci siamo amate moltissimo, anche il tempo lo sa.

 

 

L’aria che copia la tua forma

 

L’aria ha la stessa forma dei tuoi

baffi e delle orecchie. Nella

penombra della stanza ti vedo

camminare sul soffitto e poi,

sento il tuo peso sulla spalla e

un ronzio come di mille api che

mi accarezza il viso. Sorrido e

allungo una mano per accarezzarti,

ma è solo l’aria che sfioro e

il rumore del traffico invade la stanza.

Ti ho solo sognato? Il tocco della tua

coda, un miagolio, li sento chiari.

Richiudo gli occhi e resto sospesa

nel mondo delle ombre dove ora

vivi, dove ora vivi insieme a loro.



È il quarto giorno di settembre, il primo venerdì del nono mese dell’anno senza Carnevale. La poesia è inedita, scritta apposta per questa Cronaca 180.

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