domenica 6 settembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/182: metafisica delle finestre aperte, a volte chiuse

 

Le finestre sono gli occhi delle case e anche il naso. La maggior parte delle finestre è a una via, possiamo cioè affacciarci dall’interno verso l’esterno ma non viceversa. A meno che non stiamo attraversando in treno una cittadina e, curiosi, sbirciamo vite che non sono la nostra ma che potrebbero esserlo.

Le finestre sono un assoluto nei climi temperati e un’assenza dove il clima non è mite, dove il vento soffia implacabile da Nord e ci fa voltare la schiena alle intemperie. 

Nella città silenziosa la mia finestra preferita si affaccia sull’albero bellissimo, sulle sue foglie danzanti, sui muri di una vecchia scuola e su quelli ancor più antichi di una fabbrica che non esiste più dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Il davanzale è molto basso, quindi non posso affacciarmi in senso stretto, posso, però posso sdraiarmi sul divano e godere dell’alba argentata che arriva sempre più tardi in questo scorcio di fine estate.

Dalle finestre della casa dove vivevo da bambina contemplavo soprattutto il cielo e le vite dei bambini che abitavano nel palazzo di fronte. La maggior parte delle finestre della mia vita sono finestre sul mondo esterno, sul grande o piccolo paesaggio che in città si riesce ad abbracciare con lo sguardo.

A volte mi sono affacciata da finestre a piani molto alti e lo sguardo poteva correre libero verso l’intero orizzonte. Ma, quasi sempre, lo sgomento era più forte del piacere, perché veniva meno una delle funzioni fondamentali della finestra, cioè contenere il mondo in una cornice e favorire lo sguardo convergente che tanto piace alla poesia.

Anche potersi affacciare dall’esterno all’interno favorisce questo tipo di visione. Qui, nel giardino della Casa delle Parole, mi affaccio a tutte le finestre del piano terreno per cogliere la casa vuota in modalità “natura morta” e gli altri abitanti come se fossero quadri viventi, colti nei semplici gesti della vita quotidiana, attori inconsapevoli in una storia raccontata da altri.

O in una poesia che arriva da un passato ormai remoto.

 

Stelle alla finestra

 

Avvolge il silenzio questa casa

dove simuliamo infanzia. Un letto

verde, le ali sopra la finestra,

i libri che sono una torre e le parole,

ascolta, già sono fortezza. Si può

aspettare che l’inverno passi sapendo

che mai il suono delle voci sarà

uguale se viene meno un canto.

Tu custodisci questi quaranta anni,

la nostra traversata del deserto,

il tributo al Dio feroce cui non

cedemmo allora ma che oggi ci

impone la caduta. Manna o neve

o stella, nessuno resiste alle leggi

dell’attrazione. Di stelle inghirlando

la finestra, per dare gioia alla notte

che viene.

 

Da una passeggiata nel bosco dietro casa ritorno con un’altra poesia che appartiene a un episodio della vita di Mansfield e Woolf di cui entrambe raccontano nei rispettivi diari, ma senza svelare il contenuto della loro conversazione.

 

Scena da una passeggiata di Katherine e Virginia

 

Tocco la corteccia dell’albero che

chiami platano, sull’angolo della

tua strada vedo la tua casa in

fondo e cerco un senso a questo

mio vagabondare.

Ogni senso è poroso e lascia

passare più sentimenti che

ragioni.

Sillabo il tuo nome con la punta

delle dita e il platano risponde

scuotendo i rami e vedo una

foglia perfetta staccarsi e in volo

arrivare sino alla tua finestra.

Ti vedo prendere la foglia, ti

vedo accarezzare la sua pelle

non liscia e poi ti vedo guardare

verso il cielo, in alto, più in alto.

Poggi la foglia sulla tua guancia,

la baci una volta e poi

ancora. E lasci che il vento

la strappi e io aspetto per

vedere se torna e abbraccio

il platano che conosce il nostro

segreto.

 

Le finestre custodiscono molti più segreti di quanti non ne rivelino, quindi continuo a girare intorno a casa come una rondine impazzita e guardo e riguardo, ma non arrivo a capo di nulla.

Così mi arrendo, mi fermo, accetto i segreti e i custodi che li preservano, accetto il tempo che è una spirale, una scala e una finestra. Accetto la caduta e il sonno lieve, dove tutti i tempi e le creature amate stanno insieme in un luogo dove il male non può arrivare.

 

Cadere dalla scala del tempo


È una linea sottile rossa e non

un giorno, un mese o altro, è

un istante pieno, rotondo che

all’improvviso si affila e cade

dalla scala del tempo.


È il momento esatto in cui

capisci che il tempo non

esiste, perché la bambina e

la donna, camminano allo

stesso passo e il cuore che

batte è uno, soltanto uno.

 

Fuori dalla finestra la notte

si ammanta di nebbia e ricordi,

un intero cesto da cui pescare

a caso, a sentimento.

 

 

Ora che la notte scuote il mantello torno in casa e mi siedo a scrivere, ma prima parlo a lungo con un’amica che conosce la gioia e il tormento della scrittura. Una finestra è per te Edith, che ami i libri e le parole.

 

Questa Cronaca 182 è nata nella prima domenica di settembre, il sesto giorno del nono mese dell’anno senza Carnevale.

Le tre poesie della Cronaca odierna sono mie.

Stelle alla finestra è tratta dalla raccolta Figure del silenzio, Atì editore 2010.

Scena da una passeggiata di Katherine e Virginia e Cadere dalla scala del tempo sono tratte dalla raccolta Un’estate invincibile, Atì editore 2019.

 

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