Le finestre sono gli occhi delle case e anche il naso. La maggior parte
delle finestre è a una via, possiamo cioè affacciarci dall’interno verso l’esterno
ma non viceversa. A meno che non stiamo attraversando in treno una cittadina e,
curiosi, sbirciamo vite che non sono la nostra ma che potrebbero esserlo.
Le finestre sono un assoluto nei climi temperati e un’assenza dove il clima non è mite, dove il vento soffia implacabile da Nord e ci fa voltare la schiena alle intemperie.
Nella città silenziosa la mia finestra preferita si affaccia sull’albero
bellissimo, sulle sue foglie danzanti, sui muri di una vecchia scuola e su
quelli ancor più antichi di una fabbrica che non esiste più dai tempi della
Seconda Guerra Mondiale. Il davanzale è molto basso, quindi non posso
affacciarmi in senso stretto, posso, però posso sdraiarmi sul divano e godere
dell’alba argentata che arriva sempre più tardi in questo scorcio di fine
estate.
Dalle finestre della casa dove vivevo da bambina contemplavo soprattutto il cielo e le vite dei bambini che abitavano nel palazzo di fronte. La maggior parte delle finestre della mia vita sono finestre sul mondo esterno, sul grande o piccolo paesaggio che in città si riesce ad abbracciare con lo sguardo.
A volte mi sono affacciata da finestre a piani molto alti e lo sguardo poteva correre libero verso l’intero orizzonte. Ma, quasi sempre, lo sgomento era più forte del piacere, perché veniva meno una delle funzioni fondamentali della finestra, cioè contenere il mondo in una cornice e favorire lo sguardo convergente che tanto piace alla poesia.
Anche potersi affacciare dall’esterno all’interno favorisce questo tipo di visione. Qui, nel giardino della Casa delle Parole, mi affaccio a tutte le finestre del piano terreno per cogliere la casa vuota in modalità “natura morta” e gli altri abitanti come se fossero quadri viventi, colti nei semplici gesti della vita quotidiana, attori inconsapevoli in una storia raccontata da altri.
O in una poesia che arriva da un passato ormai remoto.
Stelle alla finestra
Avvolge il silenzio questa casa
dove simuliamo infanzia. Un letto
verde, le ali sopra la finestra,
i libri che sono una torre e le parole,
ascolta, già sono fortezza. Si può
aspettare che l’inverno passi sapendo
che mai il suono delle voci sarà
uguale se viene meno un canto.
Tu custodisci questi quaranta anni,
la nostra traversata del deserto,
il tributo al Dio feroce cui non
cedemmo allora ma che oggi ci
impone la caduta. Manna o neve
o stella, nessuno resiste alle leggi
dell’attrazione. Di stelle inghirlando
la finestra, per dare gioia alla notte
che viene.
Da una passeggiata nel bosco dietro casa ritorno con un’altra poesia che appartiene a un episodio della vita di Mansfield e Woolf di cui entrambe raccontano nei rispettivi diari, ma senza svelare il contenuto della loro conversazione.
Scena da una passeggiata di Katherine e Virginia
Tocco la corteccia dell’albero che
chiami platano, sull’angolo della
tua strada vedo la tua casa in
fondo e cerco un senso a questo
mio vagabondare.
Ogni senso è poroso e lascia
passare più sentimenti che
ragioni.
Sillabo il tuo nome con la punta
delle dita e il platano risponde
scuotendo i rami e vedo una
foglia perfetta staccarsi e in volo
arrivare sino alla tua finestra.
Ti vedo prendere la foglia, ti
vedo accarezzare la sua pelle
non liscia e poi ti vedo guardare
verso il cielo, in alto, più in alto.
Poggi la foglia sulla tua guancia,
la baci una volta e poi
ancora. E lasci che il vento
la strappi e io aspetto per
vedere se torna e abbraccio
il platano che conosce il nostro
segreto.
Le finestre custodiscono molti più segreti di quanti non ne rivelino, quindi continuo a girare intorno a casa come una rondine impazzita e guardo e riguardo, ma non arrivo a capo di nulla.
Così mi arrendo, mi fermo, accetto i segreti e i custodi che li preservano, accetto il tempo che è una spirale, una scala e una finestra. Accetto la caduta e il sonno lieve, dove tutti i tempi e le creature amate stanno insieme in un luogo dove il male non può arrivare.
Cadere dalla scala del tempo
È una linea sottile rossa e non
un giorno, un mese o altro, è
un istante pieno, rotondo che
all’improvviso si affila e cade
dalla scala del tempo.
È il momento esatto in cui
capisci che il tempo non
esiste, perché la bambina e
la donna, camminano allo
stesso passo e il cuore che
batte è uno, soltanto uno.
Fuori dalla finestra la notte
si ammanta di nebbia e ricordi,
un intero cesto da cui pescare
a caso, a sentimento.
Ora che la notte scuote il mantello torno in casa e mi siedo a scrivere, ma prima parlo a lungo con un’amica che conosce la gioia e il tormento della scrittura. Una finestra è per te Edith, che ami i libri e le parole.
Questa Cronaca 182 è nata nella prima domenica di settembre, il sesto
giorno del nono mese dell’anno senza Carnevale.
Le tre poesie della Cronaca odierna sono mie.
Stelle alla finestra è tratta dalla raccolta Figure del silenzio, Atì editore 2010.
Scena da una passeggiata di Katherine
e Virginia e Cadere dalla
scala del tempo sono tratte dalla raccolta Un’estate invincibile, Atì editore 2019.
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