mercoledì 16 settembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/192: la pagina bianca e l’inchiostro turchese o di qualunque altro colore

 

Credo che siano già state scritte decine di migliaia di pagine sul blocco dello scrittore. Pagine che interessano solo a chi scrive, vorrebbe scrivere o scriveva e non ci riesce più.

Non ho ricette universali in merito, ma alcune recenti conversazioni con la mia amica Edith, che sa scrivere e con la scrittura si delizia e si tormenta mi hanno convinto a scriverne.

Quando ieri parlavo di persone a geometrie variabili, pensavo anche a lei e al suo percorso di vita, alle sue passioni e al suo desiderio di scrittura.

Così voglio riflettere con la penna in mano e scrivere quali sono le mie modalità di scrittura, i miei rituali e i miei percorsi.

Devo premettere che ho letto moltissimo sull’arte della scrittura, consigli degli scrittori, regole e decaloghi per scrivere e su internet ci sono luoghi pieni di notizie interessanti e scritti imperdibili, come ad esempio brainpickings di Maria Popova.

Però non voglio andare a rileggere ma scrivere, magari proprio in forma di decalogo, le cose che con me funzionano, che favoriscono la scrittura e che mi piace fare.

  1. Quando ho una vaga idea che mi risuona in testa come un martello, la scrivo su un taccuino. Sempre ricordando come Einstein avesse detto a Valery – credo – che si vantava di girare sempre con un taccuino per annotare le buone idee, che lui non ne aveva bisogno, perché di buone idee ne aveva avute due o tre al massimo in tutta la vita.
  2. I taccuini, i quaderni, i bloc notes devono, prima di tutto, piacermi come oggetti da guardare. A volte sono anche semplici quaderni scolastici dalle copertine colorate, l’importante è che mi invitino alla scrittura.
  3. Scrivo a mano con penne bic dall’inchiostro turchese, o rosa, o verde, o arancione, o blu, o nero. A volte scrivo con una stilografica, ne ho parecchie, incluse un paio di Montblanc, e da qualche anno anche con le matite Palomino che sono meravigliose.
  4. Scrivo soprattutto al tavolo della cucina, ho scritto sul tema almeno un paio di poesie, ma dall’inizio della pandemia sono tornata a scrivere alla grande scrivania in soggiorno.
  5. Il tempo che non rientra nel soprattutto lo dedico alla scrittura al computer. A volte copio gli appunti, o delle citazioni o i brani delle prose che sto scrivendo. Le poesie nascono soprattutto così.
  6. Quando non so cosa scrivere, copio brani dai miei autori preferiti. Uno dei libri che più ho copiato e ricopiato è Il giunco mormorante di Nina Berberova.
  7. Scrivo a mano perché il gesto dello scrivere impugnando una penna costringe il pensiero a rallentare, lo sguardo farsi più acuto e l’attenzione a dedicare a ogni parola, a ogni sfumatura il tempo giusto.
  8. A volte scrivo in francese o inglese, le altre due lingue che conosco bene. Soprattutto il francese. Copiare Proust, o la Berberova, o la De Beauvoir, o la Némirovsky dal francese è sublime. Per l’inglese copio i racconti della Mansfield e i diari della Woolf.
  9. Non c’è giorno della mia vita in cui io non pensi alla scrittura. Un tempo la scrittura della prosa e quella della poesia erano rigidamente separate. Da quando scrivo le Cronache non c’è soluzione di continuità. Inseguo gli spunti, le frasi e le immagini e tesso insieme prosa poetica, prosa tout-court, poesia e riflessioni a seconda degli umori del giorno. Se non assecondassi questa modalità di scrittura le Cronache non sarebbero Cronache
  10.  Se proprio non riesco a scrivere prendo uno dei miei libri preferiti dallo scaffale dei libri preferiti e leggo. La Musa, a volte, si fa sedurre da se stessa espressa in libri già noti e io assecondo questo suo desiderio di riconoscimento.

Ecco che sono già arrivata a un decalogo dove convivono modalità, riti e azioni. Devo continuare a pensarci, quindi potrebbe esserci un secondo decalogo e magari anche un terzo, chissà…

 

Per chiudere ecco una poesia dedicata alla scrittura.

 

Al tavolo della cucina

 

Perché scrivo?

Perché scrivo, lo so.

Ho dita prensili per

afferrare la penna

mucchi di carta da rovesciare

per scrivere sul retro, un

appetito vorace e facili

digestioni. Al tavolo della

cucina so stare per ore

senza un falso movimento.

Ho la pazienza della pietra,

l’ostinazione delle onde.

Soffio parole sulla carta

mentre il vento trascina

le ore, il senso, il momento

sono nella punta delle dita.

Questo inchiostro è l’opposto,

l’ombra acquietata, nessuna

luce ne cambia la posizione.

 

 

 

 

La Cronaca 192 è dedicata alla mia amica Edith, lei sa perché. Oggi è il sedicesimo giorno del nono mese dell’anno senza Carnevale. La poesia è mia ed è tratta dal mio primo libro, Il calvario della rosa, Moretti&Vitali 2004.

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