mercoledì 2 settembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/178: dove la luce riposa, la foglia canta, il vento danza

 


Settembre è il mese della luce, il tempo in cui i fendenti dell’agosto scemano, si ammorbidiscono e scompaiono in quella dolcezza stagionale che porta a maturazione anche i grappoli ormai pronti per la vendemmia.

Mentre le nuvole vagano indecise se andare o stare, mentre il vento gioca a spettinare le onde marine e le muta da grandi a piccole e viceversa all’insaputa del mare, noi pure entriamo in sintonia con la mutevolezza della stagione.

Ciò che è maturo viene raccolto, ciò che ha compiuto il proprio ciclo si abbandona alla caduta e scivola verso la terra che, ancora calda dei raggi solari, accoglie benevola le foglie morte e le porta a ritornare nell’albero da cui sono nate, o verso nuovi alberi e nuove radici per ritornare in circolo per la primavera dell’anno che verrà.

È la luce che guida i cambiamenti intorno e dentro di noi, che interviene a placare quelle inquietudini che il buio ci conduce. Quel buio che favorisce gli interrogativi e le ansie, le domande senza risposta sul futuro più prossimo e anche su quello più remoto: come andrà la riapertura delle scuole? La pandemia si fermerà o si estenderà? Cosa succederà al mio lavoro? Cosa faranno i bambini che non possono andare a scuola? E le persone ammalate, fragili o solo molto anziane, come possiamo impedire che si ripeta quel che è già accaduto la scorsa primavera?

Nell’incertezza totale di questi giorni, dove le discoteche hanno aperto, ma le biblioteche sono ancora inagibili se non su appuntamento, si cerca di tornare a una parvenza di normalità che, rispetto ai grandi proclami dei mesi scorsi, sono un ostinato tentativo di ritornare al tanto deprecato mondo di prima, mondo che, forse, ai più, non dispiace davvero.

Nella mia bolla social vedo che i libri bloccati nei mesi di lockdown stanno uscendo, che gli scrittori hanno ricominciato a fare presentazioni, che qualche festival e convegno già programmato si terrà, almeno in parte, in presenza.

Si procede a piccoli passi, per tentativi ed errori, molto di più dovrà essere fatto per l’istruzione, l’università, la cultura. Senza studio e formazione continua, non usciremo dalle secche degli ultimi vent’anni dove l’improvvisazione e l’incompetenza, i modelli proposti dalla televisione e dai media, hanno influenzato negativamente diverse generazioni. Anche se, quando smettiamo di ragionare per grandi gruppi, scopriamo intorno a noi un mondo più ricco e vasto di quanto non siamo stati capaci di immaginare. Scopriamo persone giovani ricche di idee e vitalità che pensano al futuro personale e a quello collettivo.

Credo che noi generazioni fortunate dei baby-boomers dovremmo, non solo continuare a impegnarci in quel che sappiamo progettare e fare, ma prepararci al cambio di stagione, dovremmo prepararci a passare il testimone, i posti di responsabilità ai più giovani. Ma in molti campi non lo stiamo facendo, per paura dell’invecchiamento, perché pensiamo di non avere ancora ottenuto i riconoscimenti che meritavamo. I motivi sono molteplici e quelli personali si accavallano con quelli di ordine sociale e colletivo.

Forse bisogna imparare dalla luce e dalle foglie che bisogna lasciarsi andare, mutare forma e colore, scoprire che la vita non è solo infanzia e adolescenza. Dovremmo imparare ad accettare gli anni della maturità e del declino e non pretendere di restare eternamente giovani grazie alla chirurgia estetica.

C’è un tempo per ogni cosa, un tempo debito che ci chiama a fare, dare e a essere non solo quel che abbiamo già dato e fatto, non solo chi siamo stati e chi siamo.

Che settembre e la luce morbida e dorata ci restino accanto, mentre impariamo ad accettare questi cambiamenti.


Il canto della foglia

 

Non ho scelto io il tempo

e il modo per venire al mondo.

Sono esplosa da una gemma,

sono rimasta poi tutta l’estate

a danzare con il vento, ben salda

sul mio ramo. Ora il vento mi

dice che è tempo di andare,

devo solo staccare quel poco

che ancora mi garantisce la

linfa dell’albero madre. Bevo

ogni goccia di pioggia, il vento

mi chiama di nuovo, mi stacco,

scendo e nell’aria resto, ancora

non tocco il suolo, posso giocare

e fingere che non sia mai accaduto,

posso fingere di essere una nuvola,

proiettare la mia grande ombra a

terra. Poi lasciarmi andare alla

notte che viene, guardare le lucciole

e smettere di avere paura. Invisibile

ai vostri occhi, continuerò a danzare

con lo stesso vento che amoreggia

con il vostro mare, con le stesse

stelle che danzano tutte insieme

nel nostro cielo. Tornerò in un’altra

primavera, sarò nuova, sarò io

e qualcun altro ancora. Mi riconoscerete

per quella screziatura chiara sul

dorso. Io vi riconoscerò perché, in

realtà, nessuno va mai via davvero.

 

 

Settembre mi prende sempre così, dolce e malinconico, mi porta a fare bilanci e condividere riflessioni. Oggi mi sento proprio come questa foglia e gioiosa lascio che il vento mi porti via.

Questa Cronaca 178 nasce il secondo giorno di settembre dell’anno senza Carnevale.

La poesia è inedita, scritta proprio oggi.

Nessun commento: