Non viviamo mai soltanto in una città, allo stesso tempo viviamo in tutte
le città che l’hanno preceduta, giorno dopo giorno.
Così noi non siamo soltanto noi, ma chi siamo adesso è solo la matrioska più recente che contiene tutti i noi che siamo stati, i volti dell’infanzia e dell’adolescenza, della giovinezza e della prima maturità.
Così, quando amiamo qualcuno amiamo lo sguardo scintillante della piena maturità e allo stesso tempo il volto bambino e quello giovane dove lo sguardo ha le stesse scintille.
Le tracce del tempo sono blu e bianche in inverno, rosse e gialle d’estate. Restano sulla superficie delle cose come la scia di una lumaca invisibile che ci accompagna. È difficilissimo riuscire a vederle, ma quando appaiono e le tocchiamo, ecco che le mostri mani ringiovaniscono per qualche istante, a comprovare che sì, davvero noi eravamo, siamo stati più giovani e che il tempo non è solo un bambino che gioca ma anche un vecchio signore che ci sorride e incoraggia.
A volte qualche parente recupera da vecchi album fotografie dimenticate o mai viste e il tempo esplode come una cascata di coriandoli e rivediamo scene di cui non sapevamo più nulla.
La memoria è una fortezza assediata, piena di finestre e porte di cui non abbiamo le chiavi. Nelle torri più alte stanno i ricordi lontani, al piano terreno le cose di questa mattina.
Così non fatico a rivedere il giardino sempre meno fiorito e le strade non più silenziose della città.
Forse la memoria non è un dono, forse è una maledizione. Ricordare troppo ci impedisce di vivere il presente. Ma allo stesso tempo è vero che dimenticare, almeno qualcosa, è un modo per andare avanti.
Guardo la pioggia, che non sta cadendo, la guardo nella notte di ieri, dove sentivo il rumore e l’ho vista solo con gli occhi della mente.
Scrivo di quella pioggia e delle piogge dei tempi passati. Sono la regina della pioggia perché ne scrivo quasi tutti i giorni. Non è l’intenzione che fa di me una scrittrice, ma i testi che giorno dopo giorno scrivo e accumulo sul mio tavolo.
Scrivo poesie e le nascondo nella prosa, quel che fa di me una poetessa è la voce che mi dice “scrivi”, sono i brividi confessati di chi mi legge, sono io che mi leggo e non mi riconosco più come autrice di quelle parole.
Le parole scritte non sono mai menzognere perché si riferiscono a una realtà che sta nelle pagine e le pagine sono un mondo chiuso che si replica per ogni lettura.
Per questo tutte le storie sono vere anche quando sono inventate ed è vero che le storie ci incantano e ci fanno pensare.
Il tempo oggi è un signore esigente che lavora sulle parole, sillaba dopo sillaba, e scopre come le sillabe e il silenzio si intrecciano per fare una poesia.
Il voto è stato pronunciato, non si può tornare indietro.
Se dico poeta è come se dicessi montagna. Una forma solida e compiuta che svetta verso il cielo e affonda nella terra.
Anche quando dico albero sto dicendo poeta e il principio è lo stesso, i rami che svettano verso il cielo e le radici che affondano nella terra più profonda e oscura.
Se dico poeta sto pronunciando un’isola circondata dal mare su tutti i lati, così come il poeta è circondata da alfabeti, consonanti e vocali, sillabe e sempre lo stesso silenzio, la stessa pausa dopo un respiro e prima di quello successivo.
Abitati dal silenzio stanno i poeti sulla loro riva oggi pomeriggio. Aspettano l’onda successiva, una rondine o il gabbiano zoppo.
E i venti che soffiano e l’infanzia che gioca! E la moneta d’oro smarrita dal re, il bacio della regina che scende dolce sull’ultima rosa.
È una fiaba questa canzone, è una storia che serve a dare ordine al mondo, è una domanda che non chiede risposte.
Il nero azzardo del mirto e lo stelo stanco della lavanda, donano al giardino gli ultimi colori dell’estate che tra poco sarà un “non più che è stato”.
Mi riposo gli occhi in questi colori, lo sguardo si placa e cerco nella memoria da dove arrivino quei fiori, ma non lo so più.
Eccomi, oggi sono anch’io coniugata come un verbo, in un tempo che varia al mutare della luce.
Questa Cronaca 185 vive di immagini e parole di tempi passati, di
stagioni perdute, della memoria che è fortezza e allo stesso tempo assedio. L’ho
scritta il nono giorno del nono mese dell’anno senza Carnevale e anche oggi la
poesia è trama invisibile dell’ordito dei giorni.
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