sabato 12 settembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/188: il tempo ha passi di pietra e ali nel vento

 

L’infanzia è una terra senza inizio e senza fine, una terra che ruota su se stessa e il sole intorno ad essa e ai bambini.

I grandi giardini di un tempo avevano vasche e fontane dove i bambini potevano giocare ai pirati e ai marinai.

Vi ricordate quanto fosse infinito il tempo in quelle giornate? Tempo che non aveva nome e sapore, guidati dalla luce saltavamo sulle scale e ci inseguivamo nei cortili. Ogni gesto era importante, ogni intenzione seria.

Non c’era ancora consapevolezza di sé e degli altri, le amicizie e gli amori erano assoluti e definitivi, così come le gelosie e le delusioni.

Credevamo l’autunno muto dopo gli schiamazzi dell’estate, ancora non sapevamo interpretare il linguaggio delle foglie e del cielo.

Correvamo nell’ombra come se fosse il pieno sole del mattino, non c’era abbandono tra i filari, non c’era nulla di imperdonato nel profilo delle colline.

Sul fiume scendevano uccelli fuggiti da un araldo, l’acqua scorreva seria nel compito di raggiungere il mare, ogni tanto un pesce sfiorava la superficie e poi guizzava verso il fondale, lasciando intatta la curiosità nei nostri occhi.

Quando si tornava a casa le prime finestre erano già illuminate e ciascuno preparava il proprio nido per le illusioni notturne. Nelle cucine baluginavano i primi televisori e il mondo entrava nelle case ogni giorno alle venti e restava sempre un mondo immenso da esplorare e costruire.

Guardavo dal balcone del soggiorno i palazzi di una via intitolata a un qualche russo del passato, ma per me erano i grattacieli di Manhattan che un giorno avrei visto con i miei occhi e forse sarei anche riuscita ad andare a vivere laggiù, o lassù in un appartamento che faceva il solletico alla luna.

Così il mio sguardo iniziava a essere un mosaico infinito del mondo che andavo scoprendo e desiderando.

Nella penombra dei pomeriggi infiniti, dove ero costretta a riposare accanto al mio fratellino, una volta accadde che sentii chiaramente una voce che mi chiamava dalla strada. Mi affacciai per capire chi fosse, ma non c’era nessuno, la strada era deserta, lo sarebbe stata per sempre. Ma mi piace pensare che quella voce mi stesse cercando per invitarmi a seguire i sentieri impervi della creazione e della fantasia. Una voce che mi chiamava, una vocazione precoce alle parole e al mondo che senza di esse era e restava muto.

Tutto mi sfidava, l’acqua così come la terra, la linea dell’orizzonte visibile dietro gli ultimi palazzi in fondo alla strada, i confini invisibili delle strade che sfrecciavano verso la grande città.

Il vento era muto, ma io sentivo il suo respiro tra le fronde sui rami. Le nuvole sembrava non si muovessero, ma io percepivo il loro costante mutare.

Tutto mi parlava e quella voce mi aveva chiamato e io risposi e così un destino venne segnato e le pietre miliari erano soprattutto libri e qualche dipinto.

Cioè lo sguardo di altre creature che di sicuro, come me, un giorno hanno sentito una voce chiamarli, forse da un tetto, forse da un albero, ma tutti da allora abbiamo iniziato a vivere nel mondo della nostra immaginazione e non solo nel mondo materiale percepito con i sensi che sono molti più di cinque.

Anche oggi sono seduta in riva all’acqua, immergo una mano, lascio che la corrente poi mi trasporti come se fossi solo un filo d’erba.

I fondali mi cercano, le stelle si specchiano nelle rose, ne copiano il colore. Mentre le nuvole scendono sul pelo di queste acque verdi, tutti i colori si mischiano e io credo di riconoscere lo scintillio dei tuoi che so intenti tra libri e taccuino a tracciare nuove parole.

Il sabato è il giorno più bello della settimana, è un giorno di festa, di mercato, di rumori vivaci, di attese che mai si compiranno. Oggi è il dodicesimo giorno del mese di settembre dell’anno senza Carnevale e io continuo a seguire le tracce del tempo che ha passi di pietra e ali nel vento.


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