Oggi ho trascorso una piacevolissima domenica con i miei
vecchi e carissimi amici Lucia e Roberto. Lei è anche una ex-collega con cui ho
fatto un viaggio magnifico a Lampedusa giusto venti anni fa e lui è un pittore
eccezionale con il quale collaboro pure da venti anni. non ci vedevamo da prima
dello scoppio della pandemia, anche se siamo rimasti sempre in contatto, e
ritrovarsi è stato come essersi lasciati il giorno prima. Così tra buon cibo e
buon vino, in un trionfo di peonie e rose che ho regalato a Lucia che ama i
fiori, la giornata è trascorsa nella frescura della loro bella casa. Una giornata
dove Roberto mi ha mostrato molte delle opere che ha dipinto e disegnato in
questi due anni ed è stata una gioia vedere opere vecchie e nuove. E la grande
emozione di rivedere La città di vetro intorno
alla quale avevo scritto questa prosa che mi piace riproporre.
“Aspettavo ogni giorno, in piedi sulla riva del lago, che
la città si rivelasse ai miei occhi. In pochi credevano che esistesse, chi
l'aveva veduta era impazzito, chi aveva donato al dio delle risa i suoi
pensieri aveva smesso di cercare, chi era partito non aveva più trovato il filo del ritorno. O forse si era
solo lasciato morire nel lago per non dire la propria sconfitta.
Cosa resta di un uomo che ha perduto la sua visione? Cosa
resta di un uomo che ha smesso di desiderare?
Ah maledetta mattina in cui i miei occhi d'infanzia hanno
visto per un attimo, perfetto e rotondo, gli altissimi palazzi, i monumenti, le
strade della città di vetro rilucere nel mio mattino.
Il sole attraversava le antiche mura dando loro
consistenza e colore.
Le acque del lago, bianche nel riverbero dell'alba, si
aprirono come uno specchio e la città si mosse dal centro dell'acqua sino a me.
Le mie mani diventarono azzurre, la mia fronte splendeva,
il cielo era rosso come i lamponi, rosso come il sangue, rosso come i papaveri,
rosso come un bambino vede il rosso.
Mia madre mi chiamò dalla porta di casa, la città
scomparve, io persi la visione e imparai a desiderare.
La città è in me da quel giorno, l'ho rubata al lago.
Nessuno da allora ha più detto di averla veduta, tutti continuano a cercarla,
io la custodisco come un segreto, come un tesoro rubato.
La città non ha parlato, non ha rivelato ancora a nessuno
il suo mistero, non ha raccontato
le sue storie.
La città dorme nel centro del lago, i suoi abitanti sono
fatti di buio, i suoi abitanti sono fatti di stelle. Se così non fosse loro
pure avrei veduto.
Io cerco una città che custodisco in me e dietro i miei
occhi marchiati dal sole, è una galassia dalle braccia colorate che ruota verso
sinistra a dirmi che la città è la sua capitale.
Io sono il palazzo con le finestre aperte e bianche, io
sono la città intera e la galassia che ruota.
Mia madre mi sta ancora chiamando, ferma sulla porta
della cucina.
La città porta il mio nome, io porto il volto di questa
città.
Perché‚ un palazzo non basta a contenere la mia visione.
Io non ho perduto nulla se non il coraggio di guardare.
Lascio che i colori si sciolgano sulle mie mani, imprecisi come un ricordo
lontano, sfumati come il sapore della tua bocca la prima volta che ti ho
baciata.
La città dorme in me, tranne quel poco che ho lasciato
sulla tela.
Il cielo è rosso, le mie braccia stanche.
Io sono la visione, quel cielo rosso, io sono la tela e
la ragione, la voce che fa vibrare l'acqua del lago.
Io sono, perché‚ in quell'acqua cerco il mio vero volto”.
Ecco che finisce anche questa domenica 22 maggio del
terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 805
ancora si aggira per la città di vetro.
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