In questi giorni sono rimasta intrappolata nella poesia
di Wislawa Szymborska e non ho proprio voglia di essere altrove, anzi mi sento
proprio come la cerva di questa poesia, come se anche io fossi solo una
creatura scritta.
La gioia di scrivere
Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?
Ad abbeverarsi a un’acqua scritta
che riflette il suo musetto come carta carbone?
Perché alza la testa, sente forse qualcosa?
Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità,
da sotto le mie dita rizza le orecchie.
Silenzio -anche questa parola fruscia sulla carta
e scosta
i rami generati dalla parola «bosco».
Sopra il foglio bianco si preparano al balzo
lettere che possono mettersi male,
un assedio di frasi
che non lasceranno scampo.
In una goccia d’inchiostro c’è una buona scorta
di cacciatori con l’occhio al mirino,
pronti a correr giù per la ripida penna,
a circondare la cerva, a puntare.
Dimenticano che la vita non è qui.
Altre leggi, nero su bianco, vigono qui.
Un batter d’occhio durerà quanto dico io,
si lascerà dividere in piccole eternità
piene di pallottole fermate in volo.
Non una cosa avverrà qui se non voglio.
Senza il mio assenso non cadrà foglia,
né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo.
C’è dunque un mondo
di cui reggo le sorti indipendenti?
Un tempo che lego con catene di segni?
Un esistere a mio comando incessante?
La gioia di scrivere.
Il potere di perpetuare.
La vendetta d’una mano mortale.
Come dice bene l’ebbrezza del poeta, come intesse il
mistero dello scrivere versi con una gioia che non ha eguali. Per questo l’ho
scelta per questa Cronaca 800 di martedì 17 maggio del terzo anno senza
Carnevale e del primo anno di guerra. Tutti questi 800 giorni sono intessuti di
poesia che ho scritto, letto e copiato, poesia che è gioia e anche salvezza e
salute mentale.
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