Ecco abbiamo quasi finito, la luce del pomeriggio entra
morbida da Ovest e quando dico la parola casa, sono queste le stanze che subito
mi saltano negli occhi. Certo non ci sono più i rumori noti, il suono dei
vostri passi, le vostre risa, le voci sommesse che parlavano di notte al di là
del muro, il respiro lieve del fratellino che dormiva accanto nella culla che
pure era stata mia. È una belva feroce il tempo, una belva che ci lascia
crescere e nell’ombra aspetta solo il momento per gettarsi su di noi e
riprendere tutto quello che ci aveva dato. Ammesso che davvero qualcosa ci
fosse arrivato tra le pieghe grigie della vita quotidiana. Ma è tutto finito,
solo noi sappiamo quel che ho detto il giorno in cui ci portasti a vedere la
casa. In punta di piedi davanti alla finestra della cameretta ti chiesi, papà: “Ma
è tutta mia?”. “Tua e del fratellino” mi rispondesti mentre il fratellino se ne
stava beato nel gorgogliare dei suoi sette mesi e guardava innocente quelle mura
che sarebbero state davvero sue solo venti anni dopo. Ci sono stati lutti,
commiati e distacchi in questi anni. E anche se so che le cose sono soltanto
cose, staccarmi da qui è una delle prove più dure.
Una cosa, una cosa è
rimasta
Ora che la casa è tutta in ordine
e pulita, ora che i vostri oggetti
preferiti hanno trovato dimora
nelle nostre case, posso salutare
le ombre e lasciarle scivolare via.
Ormai non riconosco più
queste mura, non riconosco
l’impronta dei vostri corpi sul
letto e nelle poltrone. Ma resta
una cosa, una cosa è rimasta:
è il vostro odore, l’odore di casa
e d’infanzia.
Lo so che siamo stati fortunati per averla avuta questa
casa, per avere avuto una famiglia e molti ricordi. Dolori non sono mancati ma
anche tanta gioia, gli alberi nel giardino e un luogo dove poter ritornare ogni
giorno e ogni giorno dire: casa!
Oggi è sabato 14 maggio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 797 odora di casa e d’infanzia.
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