Quando le stagioni arrivano è la luce che lo
annuncia, muta intensità e colore, e noi non possiamo che piegare lo sguardo
sotto le nuove tonalità. Amo la luce azzurra dei freddi tramonti novembrini e
questo nuovo scarto della luce so che entrerà in una poesia, in una Cronaca o
anche solo in un appunto che resterà nel suo quaderno. Vorrebbero unirsi al
coro della luce anche gli alberi, ma non trovano modo di inserirsi in un canto
che solo la luce conosce e capisce e tutte le altre creature possono solo
intuire. La minima variazione fa vibrare le corde invisibili del creato, la
luce è l’unica prova evidente che l’universo è energia prima ancora che massa,
che il tempo è una nostra narrazione e che le nostre parole e immaginazioni
riescono a rendere conto solo di una minima parte, una parte residuale,
dell’immenso mistero che abitiamo e che ci abita. Mi piace tirare uno di questi
fili luminosi che accendono la giornata e tirarlo per vedere dove mi porta. A volte
diventa una storia nuova, a volte una poesia, la maggior parte delle volte
diventa il filamento di luce che era già e resta sospeso nell’aria come una
farfalla o una foglia, sino a quando non svanisce o non cade a terra. Un filamento
di luce caduto sceglie di solito una foglia per cadere, è questo il motivo per
cui le foglie autunnali si accendono di colori meravigliosi.
La
luce che non ci appartiene
Se dico luce ognuno comprende
cosa annuncio: un giorno nuovo,
il sole che sale, un’intuizione,
una vita che nasce. Anche quando
pronuncio a voce bassa ombra,
ognuno comprende e vede
la luce infrangersi sui corpi
opachi di persone e cose. Ombra
non è buio, il buio arriva prima,
è la condizione originaria da
cui la luce scaturisce. Come lo
è il silenzio per la parola, è
il nido ed è anche lo scoglio
dove le onde del senso devono
infrangersi per permettere
alle parole di risplendere e dire
la luce, anche quella che non
ci appartiene, anche quella che
verrà dopo di noi.
La vita è fatta davvero di poco, di piccole
contemplazioni, di ricordi che ci saltellano in testa come le rane nello
stagno, di una buona conversazione con un amico, di una parola o di un gesto d’amore,
di un libro nuovo appena comprato per irresistibile impulso. A volte il libro
se ne sta da anni su un ripiano della nostra biblioteca ed è bello scoprirlo e
riscoprire perché lo avevamo comprato.
Ci sono foglie secche e una tazza di tè sulla
mia scrivania, una raccolta di racconti fantastici scelti da Borges, il manoscritto
del nuovo libro di poesie di Danilo Bramati per cui voglio scrivere una nota di
lettura, molte penne colorate, molti quaderni. Ho qui con me tutto il mondo che mi serve perché
nelle fredde giornate novembrine sto chiusa in casa, lavoro, scrivo, penso,
leggo e torno a scrivere, mi lascio portare dai pensieri e dalle immaginazioni.
Anche questa Cronaca 625 di martedì 23 novembre del secondo anno senza
Carnevale respira la mia stessa aria e contempla la mia stessa luce e dopo un
giretto davvero breve, torna ad acciambellarsi nella sua cesta accanto al
fuoco.
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