È l’albero piccolo a scegliere un Maestro tra gli alberi grandi, niente gli viene regalato. L’alberello riconosce la forma delle foglie e si tira e si tende verso l’albero maggiore e lo sfiora. Allora tutti i rami fremono, le radici si arricciano e le foglie chiamano il vento che accorre e inizia a insegnare all’albero piccolo il canto della specie, la giusta intonazione. L’alberello ripete con il vento, agita le foglie allo stesso ritmo, impara presto perché il canto scorre con la linfa e sbagliare è impossibile. Mano a mano che gli alberi giovani nascono e crescono intorno all’albero madre, ecco che il bosco, più piccolo e vicino a noi umani, ce ne sono diversi non lontano dalla Casa delle Parole, si infittisce e si regala radure solo per il piacere di vedere i raggi del sole cadere dritti sull’erba e i cespugli. Tutto pullula di vita sopra e sotto gli alberi e sotto la terra e nel cielo. Quanto più gli umani sono distanti, tanto più il bosco può a iniziare a espandersi oltre i confini che si era dato. Sale e striscia su verso la sommità della collina e non ci saranno padri e regole a fermare questa scalata, il mondo è immenso visto da lassù, le colline seguono altre colline, giù fino alla pianura e al mare da un lato. Mentre dall’altro salgono, dolci e impetuose su fino alle Montagne della Nebbia. Così il bosco è cresciuto e negli anni è diventato foresta, il luogo dove i misteri si infittiscono e dove i lupi regnano in tutte le stagioni.
La casa che era bosco,
era linfa e foglia
Foglie,
foglie sono il mio
tetto,
l’acqua scorre nel
suo
letto e si abbeverano
le
creature che camminano
e
strisciano, anche la pioggia
si
ferma sulla soglia della
radura
e leva lo sguardo oltre
gli
alberi, oltre le colline,
cerca
il mare questa pioggia
d’autunno,
ma il mare non
risponde
al suo richiamo,
neanche
il vento ha voce,
possiamo
solo restare tutti
zitti
e sperare che questo
silenzio
attiri i lupi e con
loro
potremo trascorrere
la
stagione bianca e grigia,
dormire
sotto una coltre di
neve
e sognare che l’autunno
non
è mai arrivato, che noi
non
siamo invecchiati di
un
giorno, che corriamo ancora
nel
bosco, da una radura a quella
dopo,
come i cerbiatti e le poiane,
certi
che ci sarà una risposta
proprio
in fondo al sentiero.
Non solo sento la casa crescermi intorno, offrirmi riparo, sento i rami che stanno crescendo dalle mie braccia, sento le foglie dove c’erano le dita e le unghie. In quale mito sono rimasta se adesso non sono più una fanciulla ma un’antica quercia che i pellegrini si fermano a salutare a metà del loro cammino?
Oggi
è giovedì 4 novembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 606 ha
proprio assunto la forma di quella quercia e della mia immaginazione.
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