martedì 2 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/604. Ecco, venite a questa tavola imbandita dall’immaginazione

 


Come lo sappiamo che gli oggetti trattengono parti dell’anima, tracce, sensazioni di chi li ha posseduti e usati? Non è solo una forma di animismo mescolato con un feticismo di matrice cattolica. Le reliquie delle persone religiose, le tombe dei santi, valgono i manoscritti e le tombe degli scrittori per noi amanti dei libri, dispieghiamo una vera devozione che sfocia nel fanatismo. Ma quando sono oggetti di uso comune a racchiudere in sè l’anima delle persone? Ne ho la prova quando uso le posate che usava mio padre quando era militare, quando apro la scatola con i rocchetti del cotone che usava mia madre. I piatti bianchi di porcellana con il bordo d’oro zecchino, evocano un Natale degli anni Settanta, una buonissima pasta al forno, erano rigatoni con la crosticina croccante, e poi arrosto con le patate. I bicchieri di cristallo con il gambo esagonale sono un regalo, sempre di Natale, degli anni Novanta, ci abbiamo bevuto solo nelle feste comandate e ai compleanni. In una scatola ho trovato le candeline di non so più quanti compleanni, il numero e la candelina rosa o azzurra. Le tovaglie della festa sono ricamate a mano, tranne quella celeste che non ha ricami, ma che è la mia preferita. In una grande pentola di terracotta cucinammo per la prima volta il sugo degli spaghetti “alla pirata”, eravamo così entusiasti io e mio fratello, da avere disegnato apposite bandierine nere col teschio montate sugli stuzzicadenti da infilzare nella pasta. Il sugo è un ragù di manzo con soffritto di cipolla e mortadella, basilico, prezzemolo e una montagna di peperoncino. Quanto erano buoni quegli spaghetti di una nebbiosa sera d’autunno del secolo passato. Quando sfioro la macchina da cucire di mia madre, una Pfaff professionale del 1955, non mi pento di non avere imparato a usarla, non era la mia strada, era la sua. Sfioro decine di fazzolettini ricamati da una zia, lenzuola tessute al telaio a mano negli anni Cinquanta e bordate di pizzo finissimo fatto all’uncinetto. Poi ci sono le enciclopedie, i libri di scuola di mio padre, romanzi di scrittori dimenticati, altre enciclopedie, tra cui quella medica che leggevo regolarmente senza che mai mi sfiorasse il pensiero di studiare medicina. Potrei continuare a elencare tutti quegli oggetti con i quali non convivo più da decenni, ma preferisco fermarmi qui. È doloroso toccare cose che appartengono a persone che abbiamo amato e che non ci sono più. Ogni oggetto che viene scartato è una piccola morte che si ripete, che preannuncia la fine nota di tutti noi, una fine che gli oggetti ci aiutano a tenere lontana, in un rito scaramantico che ci porta dalla collezione all’accumulo compulsivo, ma come non badare all’anima di quella tazzina bordata di rose arancioni?

 


Le cose, rose con un altro nome

 

Sono solo piccoli tocchi,

un leggero passaggio della

punta delle dite. Sussurrano

le anime degli oggetti quando

ci riconoscono. Perché tanto

quanto noi le sentiamo, loro

sentono il nostro attaccamento

e lo ricambiano. Per questo certi

giorni mi guardo allo specchio e

il naso mi pare il manico di una

teiera, per questo certi giorni

la testa si sovrappone all’ombra

del paralume e la mano sta tutta

intera dentro quel fazzolettino

di organza ricamata con piccoli

tralci di rose. Ecco sono le rose

a essere dappertutto, legano

le nostra anime a quelle delle cose,

che sono rose con un altro nome,

un’altra iniziale e che possiamo

usare, stringere in mano, lasciar

cadere, non solo contemplare

come ci chiedono le ultime rose

di novembre, tutte insieme

soffiano sulla fiamma e

ravvivano il fuoco, vogliono

splendere più ancora di quando

respirano e si vantano nel

cuore del nostro giardino.

 

 

Sono giorni strani dove torrenti in piena di ricordi sovrastano questa dimensione del reale, dove le mie mani tornano piccole e trovano la sicurezza, il calore delle mani dei miei genitori. 

Ci siamo amati, questo è l’unico pensiero che condivido con gli oggetti alla fine di questa giornata, martedì 2 novembre del secondo anno senza Carnevale e della sua Cronaca 604, che assomiglia a una tavola imbandita a festa in un giorno feriale.

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